20160722 sironi

Nelle scorse settimane ho attraversato l'Italia andando a piedi dal Conero all'Argentario sulle tracce di un vecchio libro di Enrico Brizzi; non ho potuto che fare i conti con l'anima collinare di questo paese.

Sui testi di geografia si legge che la collina, a seconda delle definizioni che le si danno, copre circa il 50 o 60% del suolo nazionale. Siamo un paese collinare, il più collinoso d'Europa, e questo è stato vantaggio e svantaggio nel tempo. La collina ha rappresentato in epoche buie un paesaggio salubre e sicuro e nella nostra penisola più che altrove la colonizzazione delle colline è stata precoce. Il risvolto negativo sta nel fatto che la geografia ha finito per dare forma alla mente e il ritiro medievale entro la cerchia delle mura ha creato le basi per la formazione di quella cultura clanica, ancora molto viva, che separa il bene e il male a seconda di ciò che sta dentro e fuori dal borgo. La novità, il vagabondo, colui che arriva dall'esterno, in questo paese sono ancora oggi "erranti"; la lingua parla: errante, uno che allunga la strada, che si è smarrito, che infine ha fatto la scelta sbagliata.


Attraversare l'Italia da est a ovest è infrequente; è più probabile seguire le grandi vie di comunicazione da nord a sud.
Andare dall'Adriatico al Tirreno significa passare un paio di settimane camminando e mettendo a fuoco una cosa: la collina è l'anima prevalente di questo paese. E' una regola: ovunque andrete in Italia vi fermerete prima o poi ai piedi di un colle.

Spostarsi da est a ovest è poi come tagliare e sezionare una cipolla: si scopre una stratificazione fine, si scopre che "la collina" sono in verità tante colline diverse. Lo si vede bene in campagna - per povertà, un ambiente da sempre poco soggetto a stravolgimenti – il paesaggio rurale porta sulla pelle i segni del tempo ed è rivelatore di differenze interessanti.

In una regione storicamente antiurbana come le Marche, ad esempio, dove l'agricoltura ha sempre avuto pochi capitali a disposizione, la campagna ha conservato strutture agrarie tipicamente premoderne. I campi sono ancora coltivati a ritocchino (seguendo le linee di massima pendenza del terreno), le proprietà sono state in qualche caso riaccorpate, le piantate e i filari – un tempo tipici della policoltura - sono stati abbondantemente ridotti, ma il disegno complessivo del paesaggio è ancora essenzialmente quello antico. Le cascine, che altrove hanno logge, pertinenze, fienili, qui somigliano per sobrietà a dei casoni quadrangolari, senza fronzoli.


L'Umbria è coperta di colline a bosco e dove c'è agricoltura prevale l'olivo; nei borghi umbri l'architettura militare e quella religiosa si mischiano in una miscela che in una volta sola affascina e opprime.

La Toscana cambia pelle dalle ormai dimenticate colline di Maremma, un tempo rifugio di carbonai e minatori, fino alla Val d'Orcia, più a nord, con le sue linee nitide, sottolineate da eleganti filari di cipressi. Le colline della Val d'Orcia sono figlie di raffinata cultura urbana, modellate dal pennello dei pittori senesi e dal sudore dei mezzadri. Uno di quegli esempi, direbbe Farinelli, in cui è la carta (l'immagine) a dare forma al mondo e non viceversa.

Questo vasto ondulato un tempo scelto come sede di vita dignitosa e sicura, con la modernità, perde molto del suo magnetismo e viene tagliato fuori dai flussi importanti, uomini e risorse vengono drenati a valle.

In moltissime tappe di questo cammino ci siamo fermati dentro borghi in via di spopolamento, dove le case vuote e le finestre chiuse superano di gran lunga i locali abitati.

A Gualdo Cattaneo abbiamo fatto due chiacchiere con un residente che torna in centro perché lì si trova la casa degli anziani genitori: : «Il centro è ormai un pezzo da museo, è vuoto. La gente di qui preferisce la villetta con giardino, il box per parcheggiare facilmente, non interessa a nessuno tornare in questo scomodo e bellissimo centro». È un peccato, penso tra me e me, perché si perde una forma dell'abitare insieme per un'altra dell'abitare da soli. Un giorno capiremo che questo ha dato una mano all'involuzione culturale a cui stiamo andando incontro.

A Nocera Umbra abbiamo avuto l'occasione di fare un giro in paese col vicesindaco. Ci ha mostrato i lavori in corso per suturare le ferite del terremoto che colpì gravemente il paese nel 1997. Dopo vent'anni mancano ancora alcune parti della città da recuperare, ma non è questo il problema. I soldi pian piano sono arrivati e sono stati ben spesi, il centro è rimesso a nuovo con grande rispetto del passato. Tutto è pronto per essere nuovamente abitato, ma nel frattempo chi risiedeva in centro si è ritrovato a vivere in villette o case popolari esterne al borgo e non intende fare ritorno nella vecchia dimora. Fuori è più comodo, ci sono meno limitazioni. Così, un vasto patrimonio storico restaurato si trova in attesa, messo in vendita o affitto, mentre la popolazione vive nelle frazioni. Per rifarci al titolo di un significativo libro di Tomaso Montanari, qui le pietre sono state abbandonate dal popolo.

Non diversa la sorte che tocca a città come Onano e Sorano, con le loro inquietudini medievali, di cui ho scritto qualcosa nei giorni scorsi. Abbandono in corso anche in città medie come Todi e Orvieto, per ragioni diverse: il turismo ha fatto lievitare i prezzi delle case e degli affitti, il cuore storico è oggi economicamente inaccessibile per buona parte della popolazione e chi ha proprietà in centro preferisce metterle a profitto sfruttando la rendita da posizione.

In questi giorni, con lentezza, abbiamo osservato il tempo della storia pendolare tra pianura e montagna, abbiamo camminato l'Italia interna accompagnati da notizie macabre, salite ai colli da centri e pianure. Il terrorismo acefalo, le nuove dittature, la nuova barbarie. Che presto torni il tempo delle alture, del rifugio in collina, lontano dai grandi flussi e dai grandi centri? E se così sarà, saranno spostamenti figli di chiusura mentale? O ritorno a una dimensione delle cose più a contatto con la vita e con le umane possibilità?
Il ritorno ai sentieri costituisce un'avvisaglia di questo tempo nuovo o rappresenta l'ennesima variante di una vacanza per alternativi?

Ovviamente nessuno lo sa, in fasi di passaggio così rapide e profonde è difficile solidificare idee. Magari i poeti e forse qualche intellettuale potrebbero dirci qualcosa, i pochi che guardano il mondo e guardando vedono.

Io come camminante sono sempre in cerca di punti di riferimento. Se ne avete visti, fate girare qualche indicazione, non tenetele per voi. O se ne esce insieme o non se ne esce.

 

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Gli autori di Vorrei
Alfio Sironi

Mi occupo di tematiche geografiche dentro e fuori la scuola.

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