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Il formato di pasta simbolo dell’Italia nel mondo incontra un dipinto e due film

«Maccarone, m'hai provocato e io ti distruggo adesso, maccarone! Io me te magno...!» memorabile la citazione di Nando Mericoni, protagonista di Un Americano a Roma, film del 1954, straordinariamente interpretato da Alberto Sordi.

Sono il simbolo dell’Italia nel mondo, dopo la pizza ovviamente, il formato di pasta che riusciamo a condire in tutte le salse o semplicemente con aglio, olio e peperoncino.

 

1 Alberto Sordi Un americano a Roma 1954

Alberto Sordi, scena del film Un Americano a Roma (1954)

 

Un antenato degli spaghetti essiccati potrebbe essere l’itrya o la fettuccina secca, una pasta probabilmente giunta in Sicilia grazie agli arabi, a forma di fili leggermente arrotondati, già presente nei ricettari medievali dei re Ruggero II e Federico II di Svevia.

Si dovrà però attendere l'opera del poeta e commediografo napoletano Antonio Viviani, Li maccheroni di Napoli, del 1824, per sentir parlare per la prima volta di spaghetti (diminutivo della parola ''spago''). Le fonti letterarie anteriori, invece, descrivono lo stesso alimento con le parole ''vermicelli'', "maccheroni" o ''maccaroni''. Dunque nati ufficialmente a Napoli, ufficiosamente già presenti altrove. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il merito dell’invenzione di un tipo di pasta filiforme, anche se con farine diverse da quelle del nostro grano duro, va i cinesi del IX – X secolo.

In alcuni casi, però, le origini sarebbero ancora più vaghe e discordanti, perché c’è chi parla di ritrovamenti archeologici di spaghetti nella Cina del 2000 a.C. o nella valle dell’Indo nel VI secolo a.C., questi ultimi nati dagli scarti di lavorazione della pasta nelle cucine del Sultano di Bahawalpur.

Dibattiti storici o eziologici a parte, stavolta voglio raccontarvi del matrimonio tra gli spaghetti e le incantevoli vongole.

Sabato sera, invito a cena da una mia amica, piatto a sorpresa. Spaghetti, rigorosamente numero 5, vongole di media grandezza dalle meravigliose striature grigie, gialle e azzurre. La pace dei sensi.

Sapore straordinario, profumo di mare, pepe, pomodorini e l’immancabile dettaglio verde del prezzemolo. Foto di rito al piatto, che la serata abbia inizio.

Ogni volta che mangio gli spaghetti non posso non ricordare la scena del film Miseria e nobiltà, anch’esso del 1954, con Totò e i suoi compagni di tavola che divorano gli spaghetti in piedi sulla tavolata e arrivano a conservarseli in tasca per la fame. Fotogrammi indimenticabili ormai entrati nella storia del cinema.

 

2 Toto Miseria e nobilta 1954

Totò, scena del film Miseria e nobiltà (1954)

 

Dunque il dipinto che sento di associare a questo formato di pasta, non a caso tra i miei preferiti, è del 1956, praticamente coevo ai due film citati poco fa. Si tratta dell’Uomo che mangia gli spaghetti, del pittore siciliano Renato Guttuso, un olio su tela venduto all’asta a Milano nel 2012 (a suon di quasi 150.000 euro) e oggi in collezione privata.

Guttuso, maestro del Realismo socialista (in questo caso sociale) italiano, ci offre una scena domestica intima, quella di un uomo che indossa una cangiante giacca rossa nell’atto di consumare il proprio succulento pasto. Mani nodose e possenti, bocca spalancata pronta ad accogliere la colma forchettata. E poi c’è un curioso dettaglio che solo Guttuso poteva permettersi, una linea rossa, sorta di cresta al centro dei capelli del mangiatore, il riflesso del sugo al pomodoro?

 

renato guttuso uomo che mangia gli spaghetti 1956 olio su tela cm 80x872 collezione privata

Renato Guttuso, Uomo che mangia gli spaghetti, 1956, olio su tela, cm 80x87,2, collezione privata

 

Il punto di vista dell’osservatore potrebbe essere quello della moglie che analizza il proprio marito che si gusta il meritato piatto di spaghetti al pomodoro dopo una faticosa giornata di lavoro. È proprio così, il dipinto è ispirato al padre dell’artista, che solitamente quando tornava dal mare chiudeva le tende e scacciava le mosche, per sedersi nella penombra e gustarsi un piatto di spaghetti al pomodoro.

Nell’osservare l’opera mi viene in mente il Mangiafagioli di Annibale Carracci (1584 - 1585) della Galleria Colonna di Roma, nel quale però troneggia una tavola povera ma relativamente copiosa.

Il mangiatore di Guttuso ha invece una tovaglia scostata su un lato, disordinata, come se l’uomo l’avesse spostata per avvicinare a sé il piatto, e null’altro, neanche un bicchiere di vino. C’è il buio alle sue spalle, un eco caravaggesco che però dona giustizia alla virilità e alla possanza di un uomo della metà del XX secolo in preda ad un “pasticidio” indubbiamente memorabile, proprio come quello dei miei spaghetti alle vongole.

Gli autori di Vorrei
Gianni Miglionico
Gianni Miglionico

Instancabile investigatore del buono e del bello, vive di arte ed insegna italiano e storia.
Si occupa di cultura e grafica "non affidata al caso".
Ha ideato "Interviste Informali", con cui cerca di risolvere i dubbi esistenziali grazie alle risposte di intervistati "informali".

Nato ad Altamura, vive e lavora a Milano.

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