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Intervista al cantautore toscano già protagonista di un numero di "BandAutori": la ricerca di una sua voce, l'amore per il folk americano, il rapporto con la poesia.

David, nella nostra rubrica “BandAutori” ho analizzato il tuo disco d’esordio, “Portland”, che ho apprezzato per diverse ragioni. Nella recensione ho scritto che hai trovato la quadratura del cerchio tra aspirazioni cantautorali e anima pop. Era uno degli obiettivi che ti eri prefissato durante la lavorazione del disco?
Non avevo nessun obiettivo in particolare se non quello di riuscire a trovare una mia voce, un mio modo per dire quello che avevo visto e vissuto. Credo di avere sicuramente uno spirito cantautoriale, per quanto riguarda l'anima pop, dipende. Per chi ascolta un certo tipo di musica, sono molto pop, per altri un cantautore intimista. Sinceramente, ormai, non mi pongo più questo quesito. Faccio.

Altre traiettorie che si incrociano sono quelle del cantautorato italiano e di quello americano indipendente, come ad esempio alcune cose di Sufjan Stevens o di Elliott Smith. Dal tuo punto di vista, ci sono queste due anime musicali in ciò che fai? O una delle due prevale?
Amo il folk americano. Una delle mie aspirazioni sarebbe riuscire a ricreare quel mondo con la mia lingua madre. Ma sappiamo tutti che poi in italiano cambia molto; credo sia molto più difficile ottenere e tessere certe linee melodiche.

 

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Ci sono autori da cui hai tratto ispirazione o che vedi come modelli nella canzone italiana?
Ce ne sono e molti. Dal genio di Modugno passando per Battisti e Mogol, poi la scuola genovese con Tenco, Gino Paoli, Fossati, De Andrè, il mondo ironico e malinconico di Enzo Jannacci. Francesco De Gregori che ho ascoltato per anni ed anni e che amo profondamente. La voce unica di Mina e gli arrangiamenti incredibili che ci hanno regalato in quelle canzoni. E molti altri chiaramente.

Come vedi il mondo cantautorale italiano di oggi, sia quello indie che quello mainstream? E che ruolo vorresti ritagliarti all’interno di esso?
Non ho idea nemmeno più di quale sia la differenza. Ormai esistono pure artisti indie-mainstream-latinpop-grunge. Ci sono cose che mi emozionano e cose che non mi emozionano. Tutto qui.

Il disco è prodotto da Giuliano Dottori: come sei arrivato a lavorare con lui? E cosa ha dato al disco?
Mi è stato segnalato da Stead - Stefano Antoci D'Agostino, un cantautore italiano che vive a Londra e canta in lingua inglese. Giuliano ha dato prima di tutto a me la possibilità di sentirmi capace di portare alla fine il progetto. Perdere la fiducia, durante un processo del genere, è una cosa che può mandare tutto a rotoli. Mi ha messo a disposizione la sua grande capacità di essere empatico. Ascolta cosa suona nella tua testa. Io non sono un granché come musicista, certe cose che ho in mente non so realizzarle nella pratica. Giuliano è stato fondamentale.

 

 

I tuoi testi parlano soprattutto di sentimenti, di esperienze personali in cui cerchi di trovare punti di contatto con la realtà di tutti. Come hai deciso di dare questo taglio alla tua scrittura?
Sono stato introdotto alla poesia da mio padre. Creare immagini, il gusto per le parole. Cerco quel punto in comune, quell'archetipo, che riverbera in tutti allo stesso modo. Ho scritto questo album con l'aiuto della mia Mentore. Una signora saggia con cui mi confronto. Mi ha aiutato a cercare all'interno di un linguaggio psichico degli spunti testuali che poi ho utilizzato.

Sembra che nel disco tu stia cercando di smorzare i forti sentimenti che descrivi andando in cerca di un distacco quasi zen. È effettivamente così? Il distacco è l’unica via per salvarsi in questi casi?
Non parlerei di distacco, col distacco il rischio poi è di sentirsi degli outsider magari. È una prospettiva diversa, un guardare le cose dall'alto, con la giusta comprensione, che ci arriva dalla conoscenza; di noi spesso, della nostra storia. Anche la storia familiare, le caratteristiche dei vari componenti. Imparare a spogliarci di abiti che non ci fanno sentire a nostro agio.

 

 

Dal punto di vista live come sta andando la promozione di “Portland”? Riesci a trovare date o la situazione oggi è difficile anche da quel punto di vista?
Ci stiamo lavorando, per il momento ho fatto alcuni piccoli live in radio. Nel frattempo qualche data sta spuntando fuori. È difficile, però è così.

Come hai intenzione di portare avanti il tuo discorso artistico nei prossimi anni?
Lo sapessi, ma non lo so.

Gli autori di Vorrei
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi

Nasce nel 1984. Studi liceali e poi al Politecnico. La grande passione per la musica di quasi ogni genere (solo roba buona, sia chiaro) lo porta sotto centinaia di palchi e ad aprire un blog. Non contento, inizia a collaborare con un paio di siti (Indie-Eye e Black Milk Mag) fino ad arrivare a Vorrei. Del domani non v'è certezza.

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