L'animatore di Paginauno racconta a Vorrei il suo mestiere, l'approccio politico e l'ambiente editoriale

 

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o trovato la sua biografia molto ironica e divertente. Chi l’ha scritta?
Si tratta di un redazionale della casa editrice che ha pubblicato i miei primi romanzi. La frase “Trent’anni della mia vita li ho buttati, per altri cinque ho dormito e gli altri, finalmente, li ho vissuti” invece è mia. Ne vado molto orgoglioso anche perché nel tempo mi sono accorto di quante persone, quando la leggono, la trovino adattabile alla propria storia. Naturalmente dicendo ‘buttati’ mi riferisco all’impianto ideologico, frutto delle imposizioni scolastiche, familiari e sociali delle quali, un po’ come capita a tutti, sono stato inconsapevolmente vittima. Il sonno degli altri cinque anni posso dire, a mia parziale discolpa, che siano stati in realtà un periodo di dormiveglia.

Mai come oggi il libro è stato un oggetto di consumo, deprivato di qualsiasi valore artistico e culturale.

Qualcosa che non c’è in essa e che le andrebbe di condividere.
Leggendola si potrebbe pensare che il processo di miglioramento sia terminato con l’approdo sulle rive del mondo editoriale. Quasi si trattasse di un’isola felice. Le cose non stanno proprio così, al contrario. Quando si parla di editoria occorre sempre precisare quanto essa sia legata alle dinamiche tipiche del mondo economico e del suo propellente: il consumismo. Mai come oggi il libro è stato un oggetto di consumo, deprivato di qualsiasi valore artistico e culturale. E questo ha prodotto in me un certo disinganno.

    Paginauno rivista culturale e adesso anche casa editrice. Questa scelta può sembrare ardita in un contesto macroeditoriale. Eppure qualcosa vi ha convinto ad agire in tal senso. Senza dubbio un atto politico.
    È un atto politico come lo è qualunque azione che ambisca a inserirsi e a incidere nel tessuto culturale di un Paese. Nel mio linguaggio tendo a operare una distinzione tra ‘Industria editoriale’ e ‘Casa editrice’, al posto di grande e piccola casa editrice., Una definizione che nella testa dei profani (buona parte dei quali, purtroppo, sono lettori) si trasforma in un giudizio di merito.

    Un tempo, i romanzi (e i film in alcuni casi) di scrittori come Sciascia, Volponi, Pasolini, venivano considerati alla stregua di approfondimenti e riflessioni sulla società, e come tali erano trattati nel dibattito politico.

    Nel suo ultimo romanzo, pubblicato a gennaio 2011, lei tratta temi contemporanei, dagli anni di piombo fino a oggi; i protagonisti sono un giornalista e uno scrittore, chiamati ad avere una funzione sociale e attiva tramite la loro professione. Potremmo dire che sente il mestiere di scrivere etico e fondante per la nostra società?
    Diciamo che il mestiere di scrivere è necessario nel momento in cui riesce a inserirsi (e oggi sarebbe più corretto dire ‘riconquistare’) in uno spazio dialettico, riconducendo immaginazione e realtà sul medesimo asse semantico. Un tempo, i romanzi (e i film in alcuni casi) di scrittori come Sciascia, Volponi, Pasolini, venivano considerati alla stregua di approfondimenti e riflessioni sulla società, e come tali erano trattati nel dibattito politico. Oggi la narrativa ha perso questo tipo di importanza, per colpa sia delle industrie editoriali che degli scrittori. Troppa ignoranza politica tra la maggior parte degli scrittori di cassetta.

    Azzarderei a dire che condivide il motto nannimorettiano “le parole sono importanti”. Come si concilia questa vena con la scrittura creativa?
    Non so se sia vero, come lui afferma, che “chi parla male, pensa male”. Nanni Moretti parla bene, ma condivido molto poco del suo pensiero. Lui odia la critica alla sinistra che viene da sinistra, e temo che il mio ultimo romanzo ‘Altri destini’ non gli piacerebbe.
    Quando parliamo di scrittura creativa, ci troviamo di fronte a una materia che mira a conciliare le due forme della creatività legate al Che cosa dire?, e Come? Ovvero: le parole sono importanti tanto quanto i contenuti. Ritengo che la ricerca delle giuste parole sia un mezzo per dire, e mai il fine ultimo della scrittura.

    Veniamo alla scuola di scrittura creativa in cui insegna e per la quale tiene anche altri seminari. Com’è cresciuta la partecipazione degli studenti del territorio negli anni?
    C’è molta risposta. Devo precisare, però, che la mia esperienza è limitata alla scuola che ho fondato a Milano e alla mia collaborazione con la biblioteca di Monza, per cui la mia testimonianza vale per quel che vale. Il successo dei corsi di scrittura creativa organizzati dalla biblioteca civica, però, credo sia indicativo di un’esigenza culturale, di una curiosità, di una domanda (per dirla con il linguaggio mercantile) spesso disattesa dall’offerta. Una domanda indicativa di un bisogno di spazi di aggregazione, di confronto con una riflessione che sia ricca di contenuti. Ciò che avverto è un forte desiderio di acquisire strumenti non solo per scrivere e leggere, ma anche per riflettere su di sé e sulla società che ci circonda. Per non essere condannati, per citare De Andrè “a viaggiare una vita da scemo nel giardino incantato” del pensiero unico. Questo, detto in generale. Riguardo agli studenti credo che vada affrontato un discorso sulla scarsa sensibilità mostrata dall’istituzione scolastica in proposito. Concentrare l’insegnamento alla sola storia della letteratura credo sia limitativo sia per la comprensione di un romanzo, che per la diffusione dell’amore per la lettura.

    Sarei curioso di sapere quanti monzesi leggono più di un libro all’anno. E quanti in tutta la Brianza. O forse no. Forse è meglio non saperlo.

    Le iniziative letterarie a Milano non sono mai mancate, ma si può dire che anche il territorio monzese abbia una certa industriosità. Sempre più spesso ci sono eventi culturali organizzati in biblioteche, caffè, librerie e si va dai reading ai bookcrossing. Lei cosa pensa dell’ambiente culturale di Monza e dintorni?
    Non saprei rispondere. Temo di non essere molto informato. Non avverto, però, tutta questa vivacità culturale. Non a Monza, almeno. Percepisco piuttosto un grande disinteresse da parte dei suoi cittadini. Sarei curioso di sapere quanti monzesi leggono più di un libro all’anno. E quanti in tutta la Brianza. O forse no. Forse è meglio non saperlo. A ogni modo, questo non vuole essere un giudizio di merito, ma una considerazione circoscritta alla questione della diffusione della lettura. Non penso – l’ho pensato un tempo, ma sbagliavo – che la lettura in sé sia un’attività che renda una persona migliore e più consapevole – in senso umano, sociale o politico – di un’altra. Dipende dal ruolo che si affida alla lettura nella propria vita. E questo vale anche per la passione di scrivere.

    Oggi si parla molto della nuova poetica italiana, che mette insieme fatti realistici e aspirazioni romanzesche, il cui paladino sarebbe Roberto Saviano. Lei cosa ne pensa?
    La preferisco di gran lunga all’altra, agli eccessi di psicologismo e a molti gialli che stanno infestando le librerie da alcuni anni a questa parte. Un modello di letteratura, il romanzo non-fiction, che, tengo a precisare, esiste da molto prima della notorietà raggiunta da Saviano, il cui libro contiene parti consistenti di fiction. Senza per questo nulla togliere alla qualità di Gomorra.

    Sia la rivista che la casa editrice hanno un taglio politico rivolto al presente. Le chiederei quindi un parere da scrittore, giornalista, cittadino, comune mortale sulle ultime vicende comunali – scelga lei se parlare del sindaco, di come stanno trattando la Villa Reale…
    L’ingresso dei privati nella cosa pubblica ormai fa parte dell’aria che respiriamo. Non serve criticare il fenomeno caso per caso. A mio avviso è il concetto stesso che andrebbe criticato alla radice. Senza per questo alimentare molte speranze, dal momento che le privatizzazioni sono da vent’anni un indirizzo politico-economico trasversale alle parti politiche; e che la società civile, oggi, si rivela incapace di mobilitarsi in forme autonome e indipendenti dalla politica.

    Legge i suoi conterranei?
    Se mi sta chiedendo un giudizio sui colleghi scrittori viventi in Brianza, direi, recuperando il discorso sulla scrittura creativa, che trovo Andrea Vitali carente riguardo alla componente del Che cosa?, e Sergio Paoli, che comunque preferisco al primo, mi sembra debole dal punto di vista del Come?


Chi è Walter G. Pozzi

altri_destiniWalter G. Pozzi, nato a Monza nel 1962, è scrittore e docente di scrittura creativa. Ha curato l’edizione italiana di “Personaggi” di Marcel Proust e di “Gatti, lupi e altri animali” di Saki. Promotore di iniziative letterarie quali il “Ronchi’78” e il “One-Man-Book”. Oltre alla Scuola di Scrittura Creativa “Paginauno” è responsabile e docente di numerosi altri laboratori di scrittura nel nord Italia. Nel 2006 fonda, insieme a Giovanna Cracco, la rivista “Paginauno”, bimestrale di cultura, letteratura e analisi politica, di cui è anche direttore editoriale. Nel 2010, sempre insieme a Giovanna Cracco, fonda la casa editrice “Paginauno” (che non pubblica a pagamento né richiede, sotto qualsiasi forma, alcun contributo all'autore).

 

 

 


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Azzurra Scattarella
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