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«In "La vita di Alfredo" la carta vincente del protagonista è il coraggio di riconoscersi nel passato e, allo stesso tempo, la sua capacità di partecipare al presente»

 

Incontrata alla Festa del Libro di Lissone, la scorsa estate, Paola Cereda è una giovane autrice nata e cresciuta in Brianza ma che da anni viaggia per il mondo. Pubblicato da Bellavite Edizioni, “La vita di Alfredo” è un dolce inno alla brianzolitudine, ci si può riconoscere, se ne può prendere le distanze, se ne può ridere o sorridere. In ogni caso è un’occasione per capire forse meglio chi siamo, da dove veniamo e magari dove stiamo andando (o dove non vorremmo andare).

Quando e come è nato il desiderio di scrivere "Della vita di Alfredo"? In quanto tempo lo hai scritto?

Ho cominciato a scrivere in maniera continuativa attorno ai diciassette anni. Stranamente mi divertivo a scrivere commedie teatrali in dialetto, un genere abbastanza atipico per una ragazzina di quell’età. Nello stesso periodo è nata la passione per l’umorismo e le piccole storie di paese, passione che mi ha accompagnata anche quando, da adulta, la mia vita è diventata “cosmopolita”. L’Alfredo è nato in pochi mesi, dopo tre anni interi di lontananza dalla scrittura. La scelta del soggetto è stata naturale: dovevo ricominciare da un luogo fisico e mentale che sentivo finalmente come “casa”, e quel luogo era la Brianza.

Il tuo rapporto con la Brianza e con il tuo paese nativo?

Ho lasciato la Brianza parecchi anni fa, prima per motivi di studio e poi di lavoro (e di curiosità per il mondo). Sono originaria di Veduggio, un paese la cui economia gira attorno alla produzione di viti e bulloni. Non scherzo quando scrivo che da bambina sul mio albero di Natale, al posto delle tradizionali palline, c’erano bulloni di cioccolata! E’ stato difficile dire la mia, differenziarmi da un contesto dove mi sentivo estranea. Adesso le cose sono cambiate: non mi sento un’estranea ma semplicemente una persona con un percorso di vita differente.

 

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Hai scritto questo libro quando eri a Buenos Aires, la lontananza e il distacco dalla Brianza ti hanno aiutato a descriverla meglio? Ti hanno permesso di vederla da un punto di vista differente?

Ho vissuto per alcuni anni all’estero. La lontananza mi ha permesso di apprezzare alcuni aspetti della Brianza che avevo negli occhi e nella memoria: i paesaggi, i sapori, i suoni, l’etica del lavoro e la dignità del far bene e del fare sempre. Paradossalmente questo ultimo aspetto rischia di essere anche l’altra faccia della medaglia. Dice Ray Bradbury che nella scrittura, così come nella quotidianità, oltre alla sostanza serve l’agio, cioè il tempo di pensare e di assimilare la vita. A volte questo spazio di assimilazione è poco considerato dai brianzoli, più improntati al fare. Naturalmente non voglio generalizzare!

20101004-paola-cereda-1Non sono numerosi i libri di narrativa che vedono utilizzati il dialetto e le tradizioni brianzole secondo te qual è il motivo?

I motivi sono tanti. Uno dipende da noi: siamo i primi a chiederci a chi potrebbe mai interessare una storia di Brianza, eppure leggiamo storie siciliane o venete senza farci la stessa domanda. Siamo anche poco avvezzi a raccontarci: poche parole e molti fatti. Fuori dalla Lombardia siamo conosciuti per il lavoro e per il design, molto meno per le bellezze naturali o la cultura. Mi è capitato di presentare l’Alfredo a persone che non avevano neppure idea di dove fosse geograficamente la Brianza!

Alfredo esiste? Pensi che per come oggi si sono sviluppati i piccoli nuclei abitati ci sarebbe ancora spazio per uno come lui o tutto ha assunto una dimensione più metropolitana?

Alfredo esiste, deve esistere. Nel nostro contesto spero ci siano tanti come lui, capaci di esprimere sentimenti, passioni e pensieri senza la preoccupazione di quello che dicono “i gent”. Il libro racconta le tradizioni di un tempo e arriva ai giorni nostri. E’ una storia di diversità e di immigrazione, dove la società si confronta con la paura del diverso e con la resistenza al cambiamento. La carta vincente di Alfredo è il coraggio di riconoscersi nel passato e, allo stesso tempo, la sua capacità di partecipare al presente.

Un pregio ed un difetto della Brianza

Un pregio è la determinazione: nessuno ti regala niente. Se vuoi qualcosa, devi andare a prenderla. Un difetto è il rischio di godersi poco la vita: sappiamo restare uniti nel dolore e nella fatica, molto meno nella gioia. Dovremmo concedere un po’ di vacanza al nostro massiccio Super-Io!

 

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DELLA VITA DI ALFREDO
di Paola Cereda
44 pp.
126x190 mm
ISBN 978-88-7511-116-8
9,00
Bellavite