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Lunedì 7 dicembre il nuovo capitolo dalla saga di Larsson.
La recensione di "Bastardi senza gloria"

Bastardi senza gloria, ma con molto, moltissimo stile.

Diviso in capitoli che sentono il pubblico tirare il fiato al termine di ciascuno, “Bastardi senza gloria” rapisce gli occhi con ottima qualità di riprese e il cuore, intento a seguire le vicende narrate con tutto quel coinvolgimento ipnotico che solo un maestro del cinema come Tarantino può creare. Non c’è brano di musica che “stoni” sullo schermo o che non abbia inizio esattamente nel momento in cui il nostro orecchio sente di doverlo richiedere, perfetta sincronia anche nei dialoghi e nella sequenza dei flashback.

I dialoghi, però, pretendono un’ovazione a parte, da dividere con la bravura dell’attore, sconosciuto che mantiene in equilibrio sul dito l’essenza del film come una grande palla da basket roteante. Christian Waltz : è un’unghia che stride su una lavagna la sua presenza sullo schermo, è angoscia e allo stesso tempo senso di scorrevolezza per un’interpretazione che non fa una piega. Dalla scena dello strudel con la proiezionista a quella finale non c’è una sbavatura. Bravo lui e anche il resto del cast chiamato ad impersonale ruoli non sempre facili ma genialmente architettati da Quentin.

Questa recensione è dichiaratamente pro Tarantino, le mie parole uniscono la gioia di aver visto un ottimo film con quella di aver ritrovato nella pellicola molti richiami, più che altro nello stile, ai film precedenti del regista come Kill Bill e Pulp fiction. E queste soddisfazioni si trovano a dover dividere il sorriso stampato sul mio viso a uscita sala con la novità apportata da Bastardi senza gloria: la possibilità di giocare con la storia e reinventarla rendendola puramente schiava del cinema, alla faccia di molti critici rigorosamente legati a letture rigide relative all’uso rigido della rievocazione anche nell’arte creativa del cinema.

Tarantino ancora una volta non sta al loro gioco e rovescia il mondo e gli eventi con quella sua genialità che non manca di rispetto proprio perché intelligente, dichiarata e meravigliosamente realizzata.

 

La ragazza che giocava con il fuoco

Un film di Daniel Alfredson. Con Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Annika Hallin, Per Oscarsson, Lena Endre.

Titolo originale Flickan som lekte med elden.

Thriller, durata 129 min. - Svezia 2009.

Larsson, capitolo due, meno flirt e più intrighi, si riconferma un thriller fuori dai canoni patinati e ultramachi dei film americani.

Ecco il capitolo centrale della trilogia, ”La ragazza che giocava con il fuoco” occupa un posto sfortunato non potendo godere né dell’effetto “novità” che ha avuto “Uomini che odiano le donne”, né del “dulcis in fundo” o effetto “vediamo come finisce” di cui probabilmente godrà “La regina dei castelli di carta” previsto nelle sale la prossima primavera.

Anche questa volta, il sapore della storia Larssoniana nel film «c'è», nei limiti dettati dal tempi del cinema impongono, soprattutto se il romanzo consiste in più di 700 pagine di pura trama intrigante e rovesciamento di scene. Larsson non è mai avaro, il materiale da girare non manca e non si tratta di una pellicola thriller-noir americana in gita nelle fredde lande svedesi. Le atmosfere nordiche traspaiono in ogni particolare che un attento spettatore può capotare osservando con curiosità lo stile di vita dei protagonisti, ma della Svezia c’è ben altro, a partire da all'intreccio propriamente poliziesco, che sfrutta la vicinanza geografica col mitico ex impero sovietico e i suoi bui segreti.

Tema scottante dell'inchiesta: il traffico di prostitute minorenni. Tornano in scena i due protagonisti, questa volta lontani fino all’ultima scena del film: rinunciando al piacevole sapore di ambiguità della loro relazione, che aveva dominato il primo capitolo della trilogia, si ha la possibilità di scoprire un Mikael Blomkvist molto più giornalista d’inchiesta che ci apre le porte della redazione di Millenium e dei meccanismi che la regolano. E una Lisbeth sempre più dark, perversa e lottatrice, lascia aprire uno spiraglio di qualche grado sul suo passato non perdendo per questo la durezza e il mistero: i suoi aculei di riccio.

La trama è quella riportata sulla quarta di copertina del libro, un avviso, quasi ovvio: per chi non ha visto il primo film o non sa nulla dei romanzi il film può risultare incomprensibile, recuperate il primo film, leggete i romanzi o risparmiate i soldi del biglietto.

Poc-corn curiosities

Per chi non l’avesse notato Daniel Alfredson soppianta Niels Arden Oplev nei titoli di testa de La ragazza che giocava con il fuoco, ancora lui dirigerà il terzo capitolo della trilogia. Inoltre mentre il primo film era previsto per il cinema, gli altri erano stati inizialmente destinati direttamente al pubblico televisivo, è stato il gran successo di “Uomini che odiano le donne” che ha decretato il cambio di destinazione.

I tre film sono stati girati in continuità, nel giro di un anno e mezzo per fare in modo di entrare nell'universo di Stieg Larsson rispettando l’ordine con cui lo aveva creato, evitando quindi di mescolare l'ordine o invertire il percorso.

Per quello che mi riguarda posso dire che anch'io, come Mikael, amo le donne, mi piace parlare con loro, perché gli uomini ti chiedono cose di cui conoscono già le risposte, mentre le donne sono in grado di chiederti cose di cui non conoscono davvero la risposta e questo mi rende curioso rispetto alla vita.” E’ quanto afferma Michael Nyqvist a proposito del lato da donnaiolo del ”suo” Mikael.

Daniel Alfredson ha scelto di passare ad un utilizzo massiccio della steadicam, questo modifica la percezione dello spettatore che si sente coinvolto nell’inseguimento della notizia, la fiuta e la rincorre assieme ai protagonisti del film.

Immaginavate? Nascoste nel noir ci sono le trecce pimpanti e le vispe lentiggini di Pippi Calzelunghe, nota icona svedese: il nome sulla porta della casa di Lisbeth Salander è “V. Kulla” e la casa della pimpante bimba con trecce e lentiggini si chiamava proprio “Villa Villekulla”.

Si vocifera che l'attore che fa Zalachenko somigli troppo a Massimo Boldi, dubito in sue ignote origini nordiche nonostante i tanti film natalizi alle spalle.