20160215 mostre a

Titoli anni 60 in due mostre oltre le barriere di tempo e spazio. 
Dal Palazzo delle Esposizioni di Roma spunti per confronti storico-artistici e digressioni a ruota libera

 

Il Palazzo delle Esposizioni di Roma ha recentemente chiuso i battenti su due mostre, Russia on the road (1920-1990) e Una dolce vita? Dal Liberty al design italiano 1900-1940, che grazie alle loro peculiarità si prestano ad alcuni confronti e digressioni su arte, storia e costume.

 

Russia on the road Palazzo delle Esposizioni di Roma 56

Scorci di alcune sale della mostra Russia on the road a Palazzo delle Esposizioni di Roma

 

Scorci dalla mostra UNA DOLCE VITA 49  

Scorci della mostra Una dolce vita? Dal Liberty al design italiano. 1900-1940
a Palazzo delle Esposizioni di Roma

 

Russia on the road, ora trasferitasi all’Istituto dell’Arte Socialista Russa di Mosca fino al 22 maggio 2016, presenta il settantennio pittorico sovietico attraverso un percorso tematico focalizzato su mezzi di trasporto terrestri e ultraterrestri e su macchinari industriali. Nata da un’idea di Aleksej Ananiev e curata da Nadezna Stepanova Matteo Lanfranconi, la mostra è la seconda tappa di un cammino intrapreso dal Palazzo delle Esposizioni nel 2011 con la più variegata e comprensiva Realismi socialisti. Grande pittura sovietica 1920-1970, prima panoramica italiana su un territorio  artistico ancora praticamente sconosciuto.

In Una dolce vita?, direttamente proveniente dal Musée dOrsay di Parigi, i curatori della mostra Guy Cogeval Beatrice Avanzi hanno invece consentito un’immersione a 360 gradi nell’eccellenza artistica italiana del primo quarantennio del secolo scorso, grazie all’interazione tra opere pittoriche, mobili, sculture, vetri, ceramiche e vari oggetti artigianali o frutto della collaborazione tra il design e ditte come Venini e Richard-Ginori.
Numerosi sono i riferimenti alle prime quattro Mostre Internazionali delle Arti Decorative tenutesi alla Villa di Reale di Monza dal 1923 al 1930, le cosiddette Biennaliprima del loro trasferimento al Palazzo dellArte di Milano. Appositamente costruito per ospitare la manifestazione, l’edificio milanese, in seguito più comunemente chiamato Triennale, viene inaugurato nel 1933 con la quinta mostra, privando definitivamente Monza di un evento di altissimo livello qualitativo.

 

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Alcune locandine delle quattro edizioni della Mostra Internazionale delle Arti Decorative
tenutesi alla Villa Reale di Monza nel 1923, 1925, 1927 e 1930.

 

Sulla scia dell’interrogativo palesemente dichiarato dal punto di domanda nel titolo della mostra italiana, Dolce vita on the road cercherà di indagare la possibilità di una libera espressione dell’arte in periodi prebellici, bellici e dittatoriali. Uno degli obiettivi è infatti scoprire se, qualora un’eventuale libertà espressiva abbia luogo in sistemi totalitari, essa risieda nella condivisione dell’ideologia dominante da parte degli artisti, oppure nell’apertura del regime verso le diverse necessità espressive personali, oppure in peculiarità individuali che permettono afflati di libertà interiore pur nelle costrizioni imposte dall’esterno, oppure ancora nella combinazione  di questi fattori o in altri ancora.

Un ulteriore obiettivo è lasciare emergere analogie, a volte scontate a volte forse azzardate, tra opere e correnti artistiche, mettendo in relazione non solo quelle italiane e russe presentate nelle due esposizioni, ma allargando l’orizzonte anche ad ambiti geograficamente e temporalmente più ampi.
Ad esempio all’ambito statunitense, elemento apparentemente estraneo ma letteralmente chiamato in causa dall’uso dell’espressione on the road, oppure a quello tedesco.
Dalle Avanguardie di inizio secolo alla Prima Guerra Mondiale, dall’esplosione creativa della Repubblica di Weimar alla mostra Entartete Kunst, allestita a Monaco nel 1937 per volere di Hitler e Goebbels con le opere degli artisti “degenerati” da mettere al bando, i percorsi storico-artistici tedeschi entrano inevitabilmente in rotta di collisione con quelli italiani e russi. Nonostante prendano in considerazione periodi che si intersecano solo per il ventennio 1920-1940, le mostre Russia on the road. 1920-1990 e Una dolce vita? Dal Liberty al design italiano 1900-1940 presentano infatti artisti che con quelli tedeschi e mitteleuropei condividono le vicende dittatoriali, temporalmente più o meno dilatate, rispettivamente legate a comunismo, fascismo e nazismo.  

Ma il punto di contatto che dà il via a queste pagine riguarda piuttosto una curiosa e casuale affinità citazionistica presente nei titoli con l’uso di espressioni nate negli anni ’60 ed immediatamente entrate nel linguaggio comune.

 

KEROUAC e ON THE ROAD 75

Jack Kerouac, schizzo dello scrittore per la copertina di  On the road, scroll dattiloscritto
e prima edizione americana del romanzo uscito nel 1957,  sei anni dopo la sua stesura.

 

locandina LA DOLCE VITA 81

Locandina di La dolce vita, 1960

 

È del 1957 la prima edizione di On the road di Jack Kerouac, nonostante lo scrittore della Beat Generation girasse da sei anni con il suo “scroll” dattiloscritto nello zaino, poiché nessun editore voleva saperne di pubblicarlo. È del 1960 l’allora film scandalo sulle notti della Roma bene raccontate da Federico Fellini  in La dolce vita, Palma d’Oro a Cannes nello stesso anno e nominato a sei Oscar l’anno successivo. 

Considerando nel loro insieme le opere esposte nella mostra sovietica, il titolo Russia on the road ne sintetizza in modo esemplare l’intento selettivo.
Scrive Matteo Lanfranconi nel suo saggio contenuto nel catalogo insieme ad altri testi interessanti:
«La mostra ha voluto prendere in considerazione nella sua completezza la parabola cronologica della Russia sovietica individuando, sottesa ad una sequenza tematica, tutte le principali tendenze e scansioni evolutive di questa controversa parabola storica (...) La matrice idealista che è alla base del Realismo socialista individua infatti nella possibilità di movimento generata dal progresso tecnologico una metafora perfetta dellUomo Nuovo proteso verso una meta, ma anche una metafora dellUnione Sovietica stessa».

 

cataloghi RUSSIA ON THE ROAD e UNA DOLCE VITA 43

Cataloghi delle mostre Russia on the road (1920-1990) e
Una dolce vita?Dal Liberty al design italiano 1900-1940

 

Relativamente a Una dolce vita? il titolo si deve a Guy Cogeval, presidente dei Musées d’Orsay et de l’Orangerie. Partendo dal presupposto che i primi quarant’anni del 1900 sono stati una eccezionale fucina creativa, ricca di personalità di enorme talento per l’arte, l’artigianato e il design italiano, Guy Cogeval si chiede nella prefazione al catalogo della mostra romana:
« (...) può esistere un periodo di creatività straordinaria mentre la nazione corre verso la catastrofe? Poteva esistere una  “dolce vita”, prima che Federico Fellini rendesse celebre questo termine negli anni sessanta?»
La perentoria risposta al quesito è ampiamente argomentata nella sua successiva introduzione storica, intitolata Una spensierata corsa verso labisso.
«Nellinconsapevolezza della sua gabbia dorata, la classe media italiana ostentava un ottimismo inaudito e paradossale (una “dolce vita”?), “ballando su un vulcanoe fingendo di ignorare di essere sullorlo della grande catastrofe che avrebbe precipitato il paese negli anni più bui della sua storia.»

 

Se il punto di domanda nel titolo della mostra italiana invita al pubblico ad interrogarsi sulle contraddizioni della storia soprattutto in relazione all’arte, in quello scelto per l'esposizione sovietica si può leggere una sorta di ossimoro metaforico nell’accostamento di Russia e Stati Uniti, essendo l’espressione on the road molto più assimilabile all’americano che non all’inglese, e non solo per Kerouac ma per la vastità degli spazi percorribili.
Innanzitutto molti dei decenni presi in considerazione sono quelli in cui la divergenza tra comunismo e capitalismo porta le due nazioni a scontrarsi ripetutamente su più fronti e a mettere spesso in pericolo l’equilibrio mondiale, eccezion fatta per la forzata alleanza contro Hitler.
Ma la contrapposizione principale risiede forse nelle più che ipotizzabili differenti accezioni che l’espressione on the road richiama nell’immaginario occidentale e in quello russo, perlomeno fino alla dissoluzione del comunismo.

 

Cassady e Kerouac   Tour di On the road 84

Neil Cassady e Jack Kerouac
Mappa delle strade percorse  in
On the road

 

Vero è che le scorribande in macchina tra est, ovest e sud degli Stati Uniti di Sal Paradise e Dean Moriarty, alias Jack Kerouac e Neil Cassady, e dei loro amici alludono alla possibilità di spostarsi all’interno delle città e dello sterminato territorio sovietico grazie alla diffusione di mezzi di trasporto di ogni tipo. Tuttavia l’inno alla poesia, l’anelito alla libertà e la sua momentanea concretizzazione attraverso il viaggio, con le esperienze più o meno eccessive e trasgressive che esso comporta per i protagonisti della Beat Generation e per i loro emuli, sono cose sconosciute ai passeggeri che affollano molti dei quadri esposti in Russia on the road.

 

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I beatink  nella stampa anni ’50 e ’60

 

Tuttavia, a onor del vero, val forse la pena di sottolineare come i beat, la cui esistenza sarebbe stata sicuramente impossibile  nell’Unione Sovietica, non abbiano avuto vita facile neanche negli Stati Uniti.
Scherniti e considerati feccia della società dall’establishment, dalla cultura ufficiale e dal cittadino medio americano, Jack Kerouac, Allen Ginsberg and company si vedono presto appioppare il dispregiativo beatnik, che li accosta così ai russi nella top-list degli esseri più disprezzabili al mondo.
Questo accade dopo il lancio nello spazio dello Sputnik nel 1957. Verificatosi in piena guerra fredda, quando il terrore rosso e gli echi della caccia alle streghe del senatore Joseph McCarthy con i processi pubblici ad intellettuali e personalità di Hollywood  sono ancora più vivi che mai, l’impresa dello Sputnik costituisce un enorme smacco per gli USA. La stragrande maggioranza della popolazione è infatti convinta della supremazia americana in campo scientifico e tecnologico, nonostante sia contemporaneamente terrorizzata dalle potenzialità nucleari russe. Gli americani vedono nel nemico sovietico l’incarnazione di quel male in grado non solo di privarli del loro modo di vivere libero e democratico, ma di distruggerli fisicamente. Giornali e riviste, documentari, spot pubblicitari e persino cartoni animati trasmessi alla televisione e al cinema mettono continuamente in guardia dal pericolo comunista ed insegnano come comportarsi in caso di attacchi nucleari, diffondendo spesso il panico nella popolazione.

Ne può dare un esempio un breve filmato costituito da alcune delle riprese rubate da chi scrive al Nitehawk Cinema di Brooklyn. Situato nel vivacissimo quartiere di Williamsburg, il Nitehawk ha piccole sale le cui poltrone sono fornite di piani d’appoggio per la consumazione di breakfast, brunch, cocktail, bevande e menu di diversi tipi serviti da camerieri che prendono le ordinazioni prima e durante le proiezioni.

 

In occasione delle traballanti riprese effettuate con un telefonino, il film in programmazione era il cult del 1956  Invasion of the body snatchers, L’invasione degli ultracorpi, di Don Siegel,  tratto dal romanzo The body snatchers di Jack Finney e interpretato da Kevin McCarthy, per caso omonimo del senatore inquisitore Joseph. Nonostante le rivendicazioni di indipendenza ideologica e di estraneità alle successive strumentalizzazioni del film più volte ribadite da Siegel, peraltro costretto dalla produzione a cambiare il finale da lui previsto in uno più consolatorio, L’invasione degli ultracorpi viene fatto passare come un’allusione al pericolo sovietico mascherato da attacco proveniente dallo spazio. Le furtive riprese al Nitehawk non riguardano però il film, gustato in santa pace con una birra e senza più correre pericoli di figuracce all’italiana, bensì il fuori programma, un lungo montaggio di spezzoni di altri film di fantascienza, di interviste a Don Siegel e a Kevin McCarthy e soprattutto di materiale di propaganda antisovietica di quegli anni. Tra i parecchi film citati compaiono ad esempio un altro cult del periodo, The day the earth stood still, da noi Ultimatum alla terra, e il primo dei successivi tre remake di Invasion of the body snatchers, quello del 1978 interpretato da Donald Sutherland e diretto da Philip Kaufman. Nel film, uscito negli Usa con lo stesso titolo del precedente ed arrivato in Italia come Terrore dallo spazio profondo, spicca l’inquietante cameo di un Kevin McCarthy con vent’anni in più.

 


Considerata l’operazione propagandistica antisovietica e la facilità con cui l’americano medio degli anni 50-60 si adegua a credere a tutto ciò che i media gli vogliono far credere, il cittadino statunitense non risulta poi così differente da quello sovietico. Ipnotizzati dalla propaganda di due ideologie opposte sono comunque entrambi ugualmente omologati. La bilaterale convinzione della supremazia della propria nazione e l’odio reciproco, alimentati da tutti i mezzi di comunicazione sia da una parte sia dall’altra, esemplificano come censura e propaganda, con il conseguente stato di ignoranza e paura nel quale risulta conveniente tenere la popolazione, siano sì fenomeni riguardanti ogni aspetto della vita in Unione Sovietica, ma siano presenti anche nella terra della democrazia e della libertà.

Per chiudere la digressione su beat, beatnik e body snatchers, che meriterebbe un trattamento esclusivo vista la ricchezza di aneddoti e correlazioni qui tralasciate, e per entrare finalmente nel vivo delle opere esposte in Russia on the road restando in tuttavia ambito ultraterrestre, si può partire dall’ultima sezione della mostra intitolata La corsa allo spazio.
Delle infinite celebrazioni pittoriche esistenti sul tema, molto caro alla propaganda per esaltare la supremazia della nazione e consolidare nei cittadini l’orgoglio di appartenenza, i curatori della mostra ne hanno scelte una decina che, partendo dagli anni ’20 e arrivando alla fine degli anni ’80, testimoniano i differenti stili degli artisti pur all’interno della corrente realista. Le opere dedicate allo spazio, come del resto quelle degli altri settori, mostrano infatti come nel settantennio comunista il realismo socialista abbia dato vita a lavori molto diversi tra di loro, a dispetto dei diffusi pregiudizi che fanno di tutta l’arte sovietica un unico fascio asservito alla propaganda e privo di differenziazioni temporali e di ispirazioni individuali.

 

ANDREJ PLOTNOV Arrivederci, terrestri! 1979 46

Andrej Plotnov - Arrivederci terrestri!
olio su tela - 80,5 x 100,5 cm - 1979

 

L’orgoglio nazionale nella celebrazione delle conquiste spaziali e dei suoi eroi è senz’altro una caratteristica delle tele Arrivederci, terrestri! dipinta da Andrej Plotnov nel 1979 e Vostok 1 si prepara al lancio realizzata nel 1982 dal tandem artistico Andrej Sokolov - Aleksej Leonov.
Le due opere sono in stretta relazione innanzitutto perché rappresentano l’una Jurij Gagarin, il primo uomo ad orbitare intorno alla terra, e l’altra il razzo a bordo del quale quell’impresa viene compiuta nel 1961.
Gioioso e solare è il ritratto di un sorridente Jurij Gagarin che saluta da dentro il suo scafandro rosso sullo sfondo azzurro del cielo. Il dipinto di Plotnov, diventato un famoso marchio dell’URSS, è uno dei tanti omaggi che il pittore dedica all’amico astronauta e ai suoi traguardi spaziali.

 

ALEKSEJ LEONOV   ANDREIJ SOKOLOV   Vostok 1 si prepara al lancio   1982 87

Andrej Sokolov e Aleksej Leonov - Vostok 1 si prepara al lancio 
olio su cartone - 50 x 70 cm - 1982


In Vostok 1 si prepara al lancio è la monumentalità del razzo a dominare la scena, nel momento in cui il bestione attraversa il varco delimitato dalle pareti della fabbrica per il suo primo contatto con l’esterno, sovrastando diagonalmente il personale all’interno dell’edificio. L’orgoglio traspare dalle figurine dei lavoratori che lo salutano, in chiaro da una parte e in controluce dall’altra per i fasci di luce ed ombre provocati da una simbolica giornata solare che si intravede, oltre le quinte, nell’azzurro limpido del cielo.

Alcune curiosità riguardano gli autori  di quest’ultimo dipinto, Leonov e Sokolov.

Aleksej Leonov, appassionato di disegno fin da bambino ma altrettanto affascinato dall’areonautica, al termine dei primi cicli scolastici viene ammesso all’Accademia di Belle Arti di Riga, ma sceglie di intraprendere gli studi aeronautici. Le sue qualità gli permettono presto di distinguersi, tanto da venire scelto per un’altra impresa storica dell’Unione Sovietica. Al suo primo volo nello spazio nel 1965, il neoastronauta è a bordo della della Vostok 2 e, come Gagarin quattro anni prima di lui, conquista un altro record mondiale per il suo paese, compiendo la prima passeggiata all’esterno della navicella. Pur continuando i suoi voli celesti, come quello che nel 1975 lo vede partecipare alla missione congiunta USA-URSS Sojuz-Apollo, Leonov si dedica costantemente anche alla pittura, sia in coppia con Andrej Sokolov sia da solo. Le molte mostre personali in patria e all’estero e i numerosi apprezzamenti  gli valgono la nomina di Membro d’Onore all’Accademia Russa delle Arti.

Anche Andrej Sokolov merita un discorso a sé. Scomparso nel 2007 a 76 anni e considerato il più grande artista sovietico nella raffigurazione dello spazio, tra il 1984 e il 1990 Sokolov è protagonista di una curiosa collaborazione con il suo omologo americano, il “pittore dello spazio e della fantascienza” Robert McCall, a sua volta scomparso novantenne nel 2010, per la realizzazione di una tela di più di due metri per tre e mezzo intitolata Stairway of Humanity.

 

ANDREJ SOKOLOV e ROBERT MCCALL Stairway of Humanity 1987 1990 95

Andrej Sokolov e Robert McCall
Stairway of Humanity - 1988-1990

 

I due artisti si incontrano per la prima volta nel 1984 nell’appartamento moscovita di Sokolov grazie alla mediazione del comune amico Frederick Durant, tra le altre cose direttore dello Smithsonian Air and Space Museum, al quale per primo viene l’idea di far lavorare insieme i due pittori. In un angolo appartato della casa Sokolov e McCall abbozzano schizzi e si scambiano opinioni, mentre una telecamera li riprende per permettere loro di potere in seguito visualizzare e riflettere indipendentemente su quelle idee iniziali. Passano ben quattro anni prima di un nuovo incontro, che avviene negli Stati Uniti. Questa volta la decisione è presa. I due artisti rinunceranno a qualsiasi sponsor per poter lavorare in totale indipendenza e a malincuore accantonano anche l’idea di realizzare una tela di proporzioni enormi. L’opera sarà comunque abbastanza grande, ma tale da potere essere trasportata da un paese all’altro, data l’intenzione di lavorarci sia in URSS sia negli USA. Optano così per un trittico che si possa smontare e rimontare e che dal 1988 al 1990 viaggia avanti e indietro, insieme ora all’uno ora all’alto artista, per sessioni di lavoro russe e americane eseguite rigorosamente insieme. Tensioni e suspense si hanno in occasione dei viaggi, soprattutto per la tratta URSS-USA, per il timore che il dipinto possa essere trattenuto dalle autorità doganali. E’ per questo motivo che quando il trittico è quasi ultimato a Mosca, Sokolov e McCall decidono di fargli correre l’ultimo rischio e di portarlo negli Stati Uniti dove l’artista americano apporta i ritocchi finali. A questo punto si presenta il problema di quale debba essere la sua ubicazione. Poiché McCall è convinto che se l’opera, ormai diventata famosa, dovesse entrare in Russia per essere esibita sarebbe impossibile farla tornare indietro, questi decide di comperare di tasca sua la parte di Sokolov, il quale accetta e così il quadro diventa di proprietà dell’artista statunitense.

 

ANDREJ SOKOLOV Attraversando un cratere 1972 165

Andrej Sokolov - Attraversando un cratere
olio su tela - 65 x 100,5 cm -1972

 

Reativamente a Sokolov, innumerevoli sono i dipinti che l’alter ego sovietico di McCall realizza da solo.
Russia on the road ospita Attraversando un cratere, che offre una prospettiva opposta rispetto a quella delle altre opere in mostra. Non siamo più sul globo terrestre, rappresentato in lontananza e per metà, bensì sulla sulla luna, dove si sta muovendo Lunokhod 1, un robot primo al mondo nel suo genere, telecomandato dalla terra da scienziati sovietici. Entrato in funzione nel 1970 e rimasto attivo per circa un anno, Lunokhod 1 invia dati relativi a 80.000 mq di superficie lunare e 25.000 fotografie.

Quando Sokolov dipinge questa tela nel 1972 l’abbondanza di materiale fotografico e filmico proveniente dalle varie imprese spaziali è impressionante ed ha ormai completamente stravolto l’immaginario delle persone rispetto al mondo extraterrestre. La produzione di romanzi di fantascienza di qualità più o meno apprezzabile è in pieno boom ed eccelle negli Stati Uniti con “the big three” Isaac Azimov, peraltro russo di nascita, Arthur C. Clarke e Robert Heinlein, in Unione Sovietica con i fratelli Arkadij e Boris Strugackij e in Polonia con Stanislaw Lev.  Anche la produzione cinematografica è abbondante e tocca vertici insuperabili nel 1968 e nel 1972 con 2001: a space odyssey di Stanley Kubrick e Solaris di Andrej  Tarkovskij, rispettivamente ispirati ai romanzi di Clarke e di Lev.

 

SOLARIS ANDREJ TARKOVSKIJ locandine originale e italiana 98

Locandina russa e locadina italiana del film Solaris di Andrej  Tarkovskij 

 

I due film vengono subito considerati antagonisti come si evince ad esempio dalla frase propagandistica nella locandina della versione italiana di Solaris, peraltro talmente massacrato nei tagli che Tarkovskij si rifiuta di riconoscerlo.
La risposta della cinematografia sovietica a 2001: Odissea nello spazio è lo slogan commerciale con cui il film russo entra nel mondo occidentale. Nulla di più errato ma, come spesso accade, false frasi ad effetto pagano molto di più al box-office.
Fatti passare come opere di opposte vedute per la semplice appartenenza nazionale, Solaris e 2001, pur con tutte le loro differenze tematiche e di approccio, non sono poi così distanti, soprattutto se si considera l’innumerevole quantità di domande etico-filosofiche che entrambi suscitano. Né lo sono del resto i due registi, in particolare per la posizione esclusiva che si conquistano nella storia del cinema seppure con un esiguo numero di film.
Inoltre Tarkovskij non è certo un autore che possa essere strumentalizzato a scopi propagandistici, dati i suoi continui problemi con il Goskino, il Comitato di Stato per la Cinematografia. Ad esempio Andrej Rublev del 1966 deve aspettare sei anni prima di essere distribuito in Unione Sovietica, nonostante le acclamazioni internazionali. Altre volte i suoi progetti vengono rifiutati del tutto o subordinati a cambi di sceneggiatura, altre ancora i suoi film ricevono il bollino della terza categoria, il che significa una limitatissima distribuzione e l’accusa di sperperare soldi pubblici.

 

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Alcune locandine del film Stalker di Andrej Tarkovskij  del 1979

 

Quasi astratte e cariche di simbolismo, le opere di Tarkovskij disturbano i censori sovietici per il loro individualismo e “oscurantismo”.  Il regista, come lui stesso dichiara, non è  interessato alla «struttura drammatica normale in cui si spreca un sacco di tempo per informare lo spettatore di quello che succede nella storia», ma gli importa piuttosto mostrare «il sogno, il pensiero, la memoria, non la logica oggettiva». 
Una posizione scomoda la sua, poiché va  contro i diktat nazionali secondo cui l’artista, con gli strumenti specifici della sua disciplina, ha il dovere di rappresentare l’individuo come parte di una collettività soddisfatta, in cui non c’è posto per elucubrazioni esistenziali. Ma il poeta Tarkovskij non si può adeguare e quindi, pur non essendo un fan della fantascienza, in due momenti della sua carriera prova ad aggirare l’ostacolo adattando due romanzi cult del genere fantascientifico, generalmente ritenuto dai censori più comprensibile alle masse e meno soggetto a possibilità di personalizzazioni.
Nel 1972 con Solaristratto dall’omonimo romanzo di Stanislaw Leme nel 1978-79 con Stalker (termine che non ha nulla a che vedere con l’attuale significato della parola), ispirato a Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugatskyriesce seppure con diverse difficoltà a superare i veti del Goskino. E così, utilizzando il vettore fantascientifico, il regista realizza due capolavori di indagini metafisiche e introspezioni psicologiche, nonché due pietre miliari della storia del cinema. 
Tuttavia proprio durante la lavorazione di Stalker, che nel 1978 Tarkoskij deve forzatamente interrompere per un periodo poiché colpito da infarto, i suoi rapporti con il comitato della censura si incrinano sempre più, al punto che Stalker è l’ultimo film realizzato in Russia. Il regista abbandonerà definitivamente il suo paese nel 1984 in seguito ad altre insopportabili vessazioni, nonostante al figlio venga negata la possibilità di espatrio. Andrej Junior si riunirà al padre solo all’inizio del 1986 a Parigi, dove il regista è in cura per un cancro ai polmoni che lo priva della vita nel dicembre dello stesso anno a soli 54 anni. Dall’inizio degli anni ’90  dopo il crollo dell’URSS, questa morte si ammanta peraltro di mistero, a causa di voci secondo cui essa sarebbe stata provocata da un complotto del KGB. Uno dei  medici personali del regista ad esempio afferma che quel tipo di cancro non si sarebbe potuto sviluppare per cause naturali. La malattia sarebbe stata dunque ingegneristicamente studiata e successivamente trasmessa artificialmente durante le riprese di Stalker al fine di liberarsi di un personaggio tanto scomodo. Il contagio avrebbe coinvolto anche Larisa Tarkovskaya, moglie e aiuto regista di Tarkovskij e l’attore Anatoly Solonitsyn, entrambi scomparsi per lo stesso tumore.

 

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Locandine di 2001: a space odyssey di Stanley Kubrick
realizzate con illustrazioni di Robert McCall

 

Per concludere questa prima parentesi su Tarkovskij, che tornerà nel prossimo capitolo per le influenze esercitate su un interessante pittore presente in Russia on the road, e per chiudere contemporaneamente il cerchio della fantascienza tornando a Kubrick, val la pena di notare che le locandine di 2001: a space odyssey sono opera di quel Robert McCall protagonista con Andreij Sokolov del curioso avanti e indietro russo-americano per la realizzazione di Stairway of Humanity, nonché illustratore della serie televisiva Star Trek, del film del 1970 Tora Tora Tora di Richard Fleischer e del film Disney del 1979 The black hole.

 

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Monumento alla Cosmonautica eretto  a Mosca nel 1964

 

Nel marzo del 1958, a pochi mesi di distanza dall’avventura dello Sputnik, viene indetto un concorso per l’edificazione di un monumento dedicato ai successi sovietici nella conquista del cosmo. La costruzione del progetto vincitore viene realizzata nel 1964, a celebrazione non solo dello Sputnik ma anche delle successive imprese spaziali. L’obelisco moscovita alto 107 metri si diparte curvo da un’enorme piattaforma per svettare nel cielo assottigliandosi sempre di più, fino a culminare con un razzo in partenza.

 

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Mikhail Kuznetsov-Volzskij - Gloria agli eroi della cosmonautica!
olio su tela - 149 x 99 cm - 1964

 

Nel dipinto Gloria agli eroi della cosmonautica!, realizzato nello stesso 1964, Mikhail Kuznetsov-Volzskij ritrae il monumento, di giorno quasi bianco grazie al rivestimento in titanio, in un ampio cielo notturno. Il razzo alla sommità della costruzione piramidale, vista da una posizione obliqua accentuata dal taglio diagonale del marciapiedi in basso a destra, si sovrappone parzialmente  alla luna e si staglia in controluce nel bagliore che essa diffonde nel cielo scuro, facendo da contrappunto ai dettagli chiari alla base del monumento. I piccoli tocchi rossi sparsi qua e là e i riflessi rosati sul pavimento accentuano un’atmosfera che sa di romanticismo, intendendo con il termine un’attitudine dello spirito e una categoria dell’arte che travalica i limiti temporali imposti dagli storici ai vari movimenti artistici.

Un’atmosfera romantica è riscontrabile anche in altre sezioni della mostra in diverse opere nelle quali la maestosità degli elementi naturali sovrasta o interagisce con l’uomo e con i nuovi mezzi di trasporto da lui inventati. É il caso ad esempio di In aria e Aerei sulle montagne rispettivamente di Aleksandr Dejneka e Georgij Nisskij, i due artisti del periodo sovietico forse più conosciuti.

 

ALEXANDR DEJNEKA In aria 1932 142

Aleksandr Dejneka - In aria - olio su tela - 80,5 x 101 cm - 1932

 

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Georgij Nisskij - Aerei sulle montagne
olio su tela - 45,5 x 64,5 cm -1934

 

Tuttavia sono altre due tele di Nisskij, In viaggio e Sopra le nevi, a richiamare maggiormente le atmosfere romantiche, anche grazie alla scelta crepuscolare e notturna delle ambientazioni.
In viaggio, iniziato nel 1958, studiato e modificato molte volte fino alla definitiva versione del 1964, quando l’insoddisfazione dell’artista rispetto alla composizione trova finalmente la sua soluzione, è una tela davanti alla quale si resta rapiti. Viene quasi il desiderio di entrare nella magica combinazione di naturale e di industriale e di salire lassù, su quel ponte in secondo piano, e da lì contemplare ciò che il quadro suggerisce al di là dell’inquadratura. A sinistra la locomotiva vista da una prospettiva frontale e a destra lo spazio sconfinato di una natura inesplorata.

 

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Georgij Nisskij - In viaggio - olio su tela - 141x 156 cm -1958-1964

 

GEORGIJ NISSKIJ   Sopra le nevi   1964 copia 110

Georgij Nisskij - Sopra le nevi
olio su tela - 87 x 165 cm - 1964

 

Se nel dipinto In viaggio è una imponente locomotiva fumante il mezzo di trasporto che ci conduce oltre la tela nell’immensità della natura, in Sopra le nevi è invece la vastità dello spazio naturale ad accogliere due piccoli mezzi di trasporto agli antipodi tra loro, rappresentanti di due mondi contrapposti eppure ancora coesistenti. In basso a sinistra un minuscolo calesse tirato da un cavallo, simbolo del passato e della tradizione, sta uscendo dalla scena, mentre un aereo, simbolo del futuro e del progresso, vi entra da destra sul basso orizzonte della terra innevata. In effetti il piccolo aereo nella realtà è un velivolo gigantesco, il Tupolev 104, primo aereo di linea per il trasporto nazionale e antesignano internazionale quanto ai moderni standard di sicurezza e di servizio a bordo.

 

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Caspar David Friedrich - Monaco sulla spiaggia - olio su tela - 110 x 171,5 cm - 1808-10

 

L’immensità dello spazio, le proporzioni tra cielo e terra, i colori e la loro disposizione,  la minuscola figura umana che cammina solitaria, sono tutti elementi che possono richiamare Caspar David Friedrich, quasi fosse proprio lui, redivivo romantico nell’era delle conquiste celesti, a dipingere la tela.  Qui non c’è il mare del Monaco sulla spiaggia, tuttavia non mancano assonanze con quel dipinto del 1810 che ha segnato una tappa fondamentale per le successive evoluzioni sia del Realismo, sia dell’Astrattismo, al punto da essere più volte ripreso da autori inseriti nell’una o nell’altra corrente. Courbet, Turner, Whistler ne sono degli di esempi a testimonianza di come alcune personalità artistiche siano difficilmente catalogabili. Lo stesso può dirsi per Nisskij, nella cui produzione pittorica i paesaggi marini sono peraltro molto frequenti e spesso con le stesse suggestioni degli artisti citati, nella precisione realistica di navi e barche e nelle turbolenze astratte di cieli e mari.

 

GEORGIJ NISSKIJ Vedute marine 107

Georgij Nisskij - Vedute marine con navi militari sovietiche

 

Comunque se in Friedrich, puro romantico nell’era del puro romanticismo, è soprattutto l’infinitesimalità dell’essere umano a confrontarsi con l’incommensurabilità della natura, le piccole dimensioni dell’uomo e dei suoi mezzi di trasporto che caratterizzano diverse opere di Nisskij danno adito ad una possibile ambiguità di lettura. Forse anche questi mezzi sono piccole cose rispetto all’universo, pur offrendo nuove possibilità di spostamento e di conoscenza inimmaginabili solo pochi decenni prima. O forse al contrario proprio la loro piccolezza mette in risalto la grandezza dell’uomo, ed in particolare dell’uomo sovietico, che con quei mezzi all’universo lancia una sfida.

Ma l’opera forse più intrigante dell’ampia panoramica dedicata allo spazio è…

 

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DOLCE VITA ON THE ROAD  II 

Ai confini della realtà in bilico tra realismo magico, realismo sociale e realismo socialista

 

casorati, tooker, russo 24

 

Gli autori di Vorrei
Elisabetta Raimondi
Elisabetta Raimondi
Disegnatrice, decoratrice di mobili e tessuti, pittrice, newdada-collagista, scrittrice e drammaturga, attrice e regista teatrale, ufficio stampa e fotografa di scena nei primi anni del Teatro Binario 7 e, da un anno, redattrice di Vorrei.
Ma soprattutto insegnante. Da quasi quarant’anni docente di inglese nella scuola pubblica. Ho fondato insieme ad ex-alunni di diverse età l’Associazione Culturale Senzaspazio.

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