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Micaela Tornaghi ci parla dell'evento da lei ideato nel giardino di Villa Tornaghi e giunto alla quinta edizione

 

Munschasc è un termine dialettale ormai desueto. In passato veniva usato dagli stessi monzesi per autodefinirsi. La lingua italiana non aveva ancora sostituito il dialetto. Parlare in munsciasc, può portare in un contesto culturale distante nel tempo e nello spazio. Anche antecedente l'unità d'Italia. In luoghi dove l'idioma monzese non era considerato un linguaggio incolto.

 

Con Munschasc, Micaela Tornaghi ha ideato una singolare manifestazione artistica: salutare la luna, simbolo di Monza e ringraziare quella terra antica e feconda lambita dalle acque del Lambro. Diverse decine di artisti si ritrovano a celebrare un rituale unico nel suo genere e cominciato nel 2012. Ri-fondare. Ri-trovare l'arte dei monzesi partendo dalle radici.

 

Siamo andati a visitare Villa Tornaghi a pochi giorni dall'evento e abbiamo incontrato Micaela. Con lei abbiamo parlato del luogo in cui si svolge. Della sua storia, di quella della famiglia Tornaghi, di Monza e di tante altre cose che costituiscono il Munschasc.

 

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Giardino di Villa Tornaghi - foto di Pino Timpani

 

Micaela Tornaghi mi accoglie nella Villa Tornaghi, facendomi entrare dall'ingresso di Via Zanzi. Conosco molto bene il centro di Monza. Quando ero ragazzo ho lavorato per 4 anni nella bottega del vetraio più antico di Monza: Pini Geremia di via Mapelli. Questo mi ha permesso di entrare in molte case del centro. Per consegnare una cornice, oppure per riparare un vetro.

 

Nella Villa Tornaghi non avevo avuto finora i piacere di entrare. E' come avevo immaginato: uno spicchio prepotente di natura rimasto intatto nei secoli. Due immensi Cedri del Libano dominano maestosamente il grande isolato che si estende dalle rive del Lambretto da via Aliprandi fino in via D'Azeglio.

 

Qui, si sente, c'è la storia secolare di Monza. Durante la conversazione Micaela si rammarica più volte per la perdita subita anni fa del terzo cedro, quello che stava in mezzo ai due ed era anch'esso immenso. Sono state contate alla base del tronco tagliato 450 cerchie! Per chi è vissuto qui a lungo, è comprensibile avvertirne la mancanza.

 

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Micaela Tornaghi

 

Micaela, cominciamo a parlare delle tue radici umane. Chi sono i Tornaghi che hanno costruito questa villa?
La famiglia Tornaghi nasce qui sul fiume Lambro. Da una tradizione secolare di spremitori. La nostra era una antica famiglia patriarcale.

 

Nei mulini del Lambro?
Si, ma non erano mugnai: erano più propriamente produttori di olio.

 

Di quale olio?
Di vari oli. Principalmente si occupavano di lino: il lino cotto o crudo e il lino imbianchito. Con i residui della spremitura, i pannelli di lino, producevano mangime fine per animali. Producevano anche olio di colza e di altri semi. Ogni volta che si ampliava la famiglia con la nascita un figlio, si aggiungeva una nuova specializzazione di macina.

 

Anche olio di noci?
Di tutto. Con la capacità di saper declinare il “segreto della macina” su diversi prodotti. C'è stato a lungo lavoro per tutti.

 

I Tornaghi sono qui da più secoli?
Con certezza dal'800. Il mestiere di spremitori lo facevano probabilmente a partire dal '600. Mio padre, Vittorio Tornaghi, che pure aveva fatto ricerche genealogiche, era riuscito a risalire fino a un certo punto. Poi aveva perso le tracce.


E prima di allora, da dove arrivava la famiglia?
Non si sa esattamente. C'è un gran numero di Tornaghi a Trezzo Sull'Adda. Anche lì c'è l'acqua e ci sono i mulini. Ho scoperto che nel nome stesso ci sono riferimenti all'attività di spremitori: il cognome Tornaghi deriva dal nome tornasol, girasole in francese. Quindi i murnèe erano i mugnai in brianzolo e turnèe forse era la distinzione assegnata agli spremitori.

 

Ci sono documentazioni datate intorno al 1850 e confermanti l'attività di un oleificio condotto dalla famiglia Tornaghi sulle rive del Lambro.

 

L'attività era qui dove ora c'è la villa?
Il bis nonno Luigi è stato l'antenato che l'ha trasferita qui a metà del'800.Precedentemente l'insediamento era localizzato al Molinetto, uno spazio esistente nella piazzetta di San Gerardino. I mulini erano dislocati sugli spalti: Spalto Piodo, Spalto Isolino, Spalto Maddalena ecc. Ci sono documentazioni datate intorno al 1850 e confermanti l'attività di un oleificio condotto dalla famiglia Tornaghi sulle rive del Lambro. Nella seconda metà del'800 due fratelli del bis nonno Luigi contribuirono peraltro alla nascita della società sportiva Forti e Liberi. Erano patrioti e fedelissimi al re. Mio nonno Pino Tornaghi, figlio di Luigi, ricordava in modo traumatico l'assassinio del re Umberto I°, avvenuto a poca distanza da dove si trovava. Allora era un bambino di 11 anni.

 

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Giuseppe Tornaghi

 

I Tornaghi hanno contribuito, seppure in misura minimale, anche alle edificazioni della Cooperativa San Gerardo, costruttrice delle abitazioni popolari Antonietti. Gli edifici, costruiti nel 1908 che ricevettero il premio medaglia d'oro all'Esposizione di Torino. I due pro zii non ho potuto conoscerli perché sono mancati prima che nascessi. Mi sono rimasti nel mio mondo interiore in una sorte di percezione distorta. In mort giuin. Mi raccontava una mia pro zia che aveva superato i 90 anni d'età. In realtà gli zii erano morti dopo aver compiuto gli ottanta. Ma per la zia longeva erano ancora giovani. Negli anni dell'infanzia guardavo con preoccupazione mio papà. Perché si avvicinava ai cinquanta. Diventava meno giovane, così come l'immagine percepita degli zii.

 

Quando è stata costruita la villa?
Negli anni '30. Il mio bis nonno ha cominciato ad ampliare l'attività, come dicevo prima, spostandosi dapprima qui dove c'è ora la villa. L'idea di costruire la villa è stata di mio nonno Pino Tornaghi. Era una figura particolare. Durante la prima guerra mondiale era stato sottotenente e si era occupato delle particolari forme di comunicazione costituite dai piccioni viaggiatori. Aveva piccioni ovunque lungo la linea del fronte. Dopo la guerra ne aveva mantenuto un nutrito gruppo anche qui nel giardino della villa. L'idea di ricompattare tutta la famiglia e trasferirsi qui è stata geniale. Mettendo insieme le forze, dopo la dura prova della guerra. Sfruttando al meglio i primi segni della ricrescita economica e utilizzando investimenti azzeccati. Era un vero stratega. In questo periodo si era compiuto un passaggio importante per la consistenza economica della famiglia. A mia memoria tutti in famiglia, fino alle prozie nate nel 1870 e che ho conosciuto, suonavano almeno uno strumento musicale.

 

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 La piccionaia - foto di Pino Timpani

La villa: è anche stata pensata per essere decisamente robusta. Quasi un castello.

 

La villa era concepita come la residenza di tutta la famiglia?
E' anche stata pensata per essere decisamente robusta. Quasi un castello. La casa venne ultimata nel 1934. I muri sono spessi 60 cm e rivestiti esternamente con lastre di granito. Le persiane erano in ferro e i lucernari avevano bocche di lupo grosse come un polso. Non c'era allora da meravigliarsi quando nella seconda guerra mondiale i tedeschi la occuparono per utilizzarla come loro sede. Con grande dispiacere della famiglia Tornaghi, che dovette trasferirsi fuori Monza, nei pressi della stazione di Biassono a San Giorgio. Vicino al Lambro e alla curva di Lesmo dell'Autodromo. In questa circostanza si verificò una strana coincidenza: mio nonno rivide lo stesso militare che aveva conosciuto durante la prima guerra. Si trattava di un sottotenente tedesco che militava con gli austriaci. Avevano avuto modo di scambiarsi rispetto reciproco, in conseguenza di alcune vicende. La presenza di questo militare nel gruppo armato che requisii la villa, quantomeno permise a mio nonno di ridurre i danni causati dall'occupazione.

 

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Qui intorno allora c'erano campi?
Fino agli anni '60. Ho fatto in tempo a vederli. Dove ora c'è il complesso residenziale di Largo Esterle, c'era un contesto di fabbrica . Anche alcune ville, soprattutto nella direttrice di via Lecco.

 

Cosa producevano qui in via Zanzi?
Soprattutto olio di lino. Lavorato in due modi diversi: uno per trattare le parti in legno e l'altro per le pavimentazioni in cotto. Ma la produzione l'avevano spostato già nel 1934 a Villasanta. Vicino alla stazione. Mio nonno aveva comprato i terreni e fatto costruire un complesso oleificio. All'interno dei capannoni entravano diramazioni delle rotaie per il flusso dei vagoni merci. Di quel luogo ricordo locomotive a vapore e un forte odore di ferro. Ero una bambina.

 

Negli uffici era appesa una mappa con le posizioni dei fornitori nel mondo. Erano segnalati con spilli colorati.

 

A Villasanta c'era una sorte di hub ferroviario dell'olio?
Per quell'epoca forse si. Era certamente di grandi dimensioni. Perché c'era una grande quantità di merci da movimentare. Il lino arrivava in treno dal porto di Genova. In Italia, fino al secondo dopoguerra c'erano ancora alcuni campi di lino. Poi la produzione si era spostata quasi completamente in Africa e in India. Negli uffici era appesa una mappa con le posizioni dei fornitori nel mondo. Erano segnalati con spilli colorati. Alla fine la produzione si spostò in Argentina. Mi è capitato molti anni fa di fare un viaggio proprio lì e vedere, unica volta nella vita, un grandissimo campo di lino. E' stata un esperienza indimenticabile. Vedere quel particolare e vibrante colore azzurro dei fiori, estendersi fino all'orizzonte. E' stato davvero struggente. Peraltro i proprietari dei terreni si chiamavano per coincidenza anche loro Tornaghi. Erano di origine italiana, ma non eravamo parenti.

 

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 Campo di lino  - foto di Kristin Catherwood

 

Poi è arrivata la crisi. In che anni?
E' mutata radicalmente la condizione produttiva dell'olio. Perché sono entrate nel commercio le resine sintetiche. C'è stato un crollo delle vendite. La clientela si è andata riducendo fino al minimo. Finché a utilizzare l'olio di lino sono rimasti quasi solo pittori. Forse i Tornaghi si sarebbero potuti rilanciare in nuove attività. Magari ancora legate alle economie del lino in chiave più moderna. Ma il nonno è venuto a mancare negli anni '70. Lui era determinante per la spinta imprenditoriale della famiglia. Lo era anche all'esterno, nel sociale. E' stato uno degli ideatori per la costruzione dell'oratorio della Beata Vergine Maria del Carrobiolo. Per soddisfare il bisogno crescente di strutture d'interesse scolastico.

 

Questo contributo era una conseguenza della vicinanza alla chiesa?20160608 faglia
Il legame con la chiesa è sempre stato molto forte. Ma non si può dire che la famiglia fosse composta da ferventi religiosi o da bigotti. Erano molto inquadrati nei valori della famiglia. Questo si. Nella convinzione di doversi dedicare prima di tutto al lavoro. La nonna mi confessò di non avere mai visto gli occhi del mio bis nonno. Perché nel modo di relazionarsi tra figli e padre, per rispetto, non era consentito alzare lo sguardo e guardare negli occhi il genitore. Poté scoprire che il padre avesse gli occhi azzurri, solo dopo averli visti in un quadro. Direi che il loro contributo alla città sia stato prima di tutto la dedizione al lavoro. E tuttavia, la possibilità di contribuire economicamente ai bisogni sociali della città, si è fatta più consistente dopo la costruzione dell'oleificio di Villasanta. Quando mio nonno Pino è diventato davvero agiato. Anche se prima di allora ci sono sempre stati contribuiti. A partire da quelli, a cui ho accennato prima, dei miei pro zii verso la Forti e Liberi.

 

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 Opere di Micaela Tornaghi per FEMMI.NEO - foto di Giulia Meragalli

 

Come sei entrata nel mondo dell'arte?
Partendo da qui. Dalle radici di Villa Tornaghi. A me è sempre piaciuto disegnare. Da quando ero bambina. La ricerca del bello e dell'armonia, a un certo punto mi hanno portata a disegnare per l'arredamento. Mi sono incanalata verso il design e verso l'architettura d'interni. Mantenendo comunque un legame profondo con le concettualità dell'arte. Le invenzioni e le soluzione che mi sono capitate di proporre, in una vita passata a lavorare in questo campo, non hanno di fatto seguito un richiamo modaiolo. Ho avuto la fortuna di lavorare con un professionista serio: fino agli anni 2000 sono stata arredatrice d'interni da Frigerio a Desio.

 

A un certo punto, presa dallo sconforto, ho pensato di volar via in Australia.

 

Poi è arrivata la crisi del mobile?
La crisi del mobile è anche la crisi del referente. Il concetto di arredamento, che ho praticato in tanti anni, era di ottimizzare l'esistente su misura per un determinato cliente. Come cucirgli un vestito addosso. Nell'ultimo decennio abbiamo assistito a una costante perdita di credibilità degli operatori a favore di soggetti aleatori. Come potevano essere le riviste del mobile. Faceva più fede consultare una qualunque e banale rivista, Grazia Casa o Gioia Casa, piuttosto che affidarsi ai professionisti. Anche questo è stato un fattore importante della crisi. Perché è andato a insistere sulla minimizzazione del lavoro concettuale. Per risparmiare. Perché è stata condotta una guerra spietata sulla riduzione dei costi. A un certo punto, presa dallo sconforto, ho pensato di volar via in Australia. (Qui un nostro servizio sulla crisi del mobile in Brianza. ndr.)

 

E' in questo periodo che ti sei lanciata nell'arte?
Grazie al cielo, durante quell'estate, ho conosciuto persone completamente fuori di testa. Ho ripreso a disegnare. Ho ripreso a dipingere. Sono andata a scuola di pittura a Seregno. Una scuola così non l'avevo mai fatta. La pittura ad olio però non mi attraeva. Né mi attrae assolutamente ora.

 

Cosa avevi studiato prima?
Ho frequentato il Liceo Classico Zucchi.

 

Hai anche insegnato?
Insegno da dieci anni Educazione All'Arte nell'Università della Terza Età. Ora è diventata Università del tempo Libero. Mi sono inventata questa formula, dopo che mi è stato chiesto da un amico di prestare opera di volontariato a Desio. Li sono di casa. Abbiamo cominciato in Villa Tittoni. Ora siamo presso la Diocesi.

 

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Il diffuso clima catastrofista mi aveva terribilmente nauseata.

 

Quando nasce Munschasc?
Nasce il 12-12-2012. Anche questo evento coincide con un periodo di grande scoraggiamento globale. Secondo le profezie del calendario Maya, il 21 dicembre ci sarebbe stata una catastrofe. Il diffuso clima catastrofista mi aveva terribilmente nauseata. Non è che ora le condizioni del mondo siano molto migliorate. Tuttora ci sono una serie di litanie e lamentazione quotidiane. Vengono incessantemente evocate ovunque: e per le tasse, che sono troppe e per il lavoro, che manca e per la povertà, che impera. Strutturalmente sono un epicurea. Tendo a gioire. A cogliere l'ottimo nelle cose. Tutto ha per me ha una relazione di senso.

 

Munschasc è una reazione a questo stato di cose?
Non ce la facevo più a sopportare. Sai quando c'è quel momento in cui si può fare la differenza? Mi sono detta: qui bisogna piantare un palo grosso! C'è stata la scelta del momento: il 2012. Una serie di circostanze favorevoli. L'evento l'ho costruito inizialmente precettando di fatto i miei amici artisti.

 

Il motivo trainante di Munschasc è venuto invece con una speculazione di pensiero. Ho inventato una storia. Magari non ha solide fondamenta storiche. Però è bella. Perché nasce da percezioni profonde.

 

Chi sono gli artisti?
Sono artisti legati a Monza. L'iniziale cerchia di amici si è con il tempo espansa. Si è creata una rete. Mando gli inviti solo osservando un requisito: che gli artisti abbiano un legame con Monza e debbano restituire qualcosa al territorio. Lascio il massimo di libertà: se partecipare e come partecipare. Alcuni partecipano sempre, altri tornano dopo un anno. C'è un evoluzione continua. Il giardino è grande a sufficienza per accogliere tutti e assorbire l'arte concettuale, piuttosto che la fotografia e tante altre modalità espressive. Il motivo trainante di Munschasc è venuto invece con una speculazione di pensiero. Ho inventato una storia. Magari non ha solide fondamenta storiche. Però è bella. Perché nasce da percezioni profonde. In futuro potrebbe essere supportata da studiosi di storia. Mi farebbe piacere. Ora non mi ritengo all'altezza per farlo personalmente.

 

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Latta originale di Olio Tornaghi

 

In che contesto l'hai pensata?
Ero seduta su una poltroncina vicino a uno scaffale. Dove ci sono raccolti gli ultimi libricini, quelli più piccoli, le testimonianze delle prozie. Tra questi ricordi a me cari c'è il libro Antiche storie di Monza. Mi è venuta un idea balzana sulla facciona di Monza. Sull'effige con la luna rossa e la lingua bianca sottostante, che simboleggiano la parte imperiale e quella papale nel campo azzurro. Qui ho portato l'attenzione sui simboli intrinseci. Simboli che sono così palesi e scontati che nessuno ci fa più caso.

 

I simboli della due lune?
Si. Monza c'era prima dei Longobardi. C'era prima di Milano. Il suo linguaggio ha una forte componente di gutturale tedesco. Si aggiungono duemila anni di conflitto con Milano, che hanno dimostrato quantomeno una origine assolutamente diversa delle due città. Nel corso di due millenni si sono susseguiti numerosi concili religiosi. Dal I° Concilio di Nicea a quello di Trento. Gli ecclesiastici hanno discusso in modo estenuante su temi complicati degli ordinamenti religiosi. Ma anche hanno disquisito lungamente sul modello di orientamento delle basiliche e dei luoghi religiosi. Se queste si dovessero o meno orientate con l'altare a est e la facciata a ovest. Una posizione dogmatica. Probabilmente ispirata dall'influenza della luce del sole all'interno delle chiese. O perché questo posizionamento, già iniziato in precedenza nei templi pagani, era una modello di mappatura dei punti cardinali in mancanza della bussola. Ma l'irrigidimento di un concilio, a volte ha cambiato il mondo. Ha costretto ad abbandonare alcune chiese con l'orientamento invertito. Una di queste è la chiesa di San Francesco a Como. Abbandonata, pur essendo in pieno centro storico. Allora mi sono chiesta: e se il posizionamento delle due lune fosse stato invertito, che cosa sarebbe cambiato? Una diversa gerarchia di importanza tra Monza e Milano?

 

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Mappa di Monza vista da est

 

Perché sarebbe stato invertito?
Perché i flussi migratori provenivano da est. Ho immaginato un certo Grunt. Un barbaro proveniente dall'est che approda, dopo un lungo viaggio, sulle rive del Lambro. Qui trova uno splendido habitat: un fiume che si biforca in un'ottimamale e riparata posizione naturale. C'è in più la presenza delle acque pure di risorgiva. E' un luogo ideale in cui vivere. Volendo tornare indietro, per avvisare della scoperta altri suoi compagni nomadi, immagino che per ritrovare il luogo, avrebbe abbozzato uno schizzo di cartografia. Magari in un graffito grossolano. Nella mappa, immagino, avrebbe disegnato un cerchio: la collina rossa con i rivoli dell'acqua e delle risorgive. Sotto di questo un semicerchio, corrispondente a un greto bianco. Ecco: il greto è questo! Lo possiamo vedere sporgendoci da quel muro. C'è da sempre. Fa parte del bacino fluviale del Lambro. Nonostante venga rimosso, le sponde vengano sistematicamente ripulite e cementificate, lui si riforma. Sempre in quel punto.

 

Monza ha origini più antiche di quanto appare.

 

L'effige sarebbe la cartografia di Monza?
Guardando una mappa aerea da est verso ovest: se si sovrappone virtualmente, il simbolo coincide sorprendentemente. E' vero che in corrispondenza di via Manzoni, c'è il trancio operato dal solco della linea ferroviaria. Però, nel complesso è talmente evidente e ovvio da non farci caso. Monza ha origini più antiche di quanto appare. Un modo per accertarsene è togliere i veli.

 

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Da questa narrazione appare indubbiamente una scenografia suggestiva. La riscoperta delle radici germaniche. La presenza più antica, attribuibile a popolazioni pre insubri nell'età del ferro. Ma perché nel contrapporre il nome Munschasc all'antico Modicia, insisti su questo concetto fondante germanico?
Modicia è il nome attribuito alla città in epoca comunale. Significa modestia. Ma non corrisponde alle nostre figure femminili. A quelle che ho in parte ricordato prima, alle mie pro zie. In questa casa, come nelle altre di Monza, le donne erano le regiure. Le governanti tipiche brianzole che un tempo reggevano i nuclei familiari nelle case e nelle grandi cascine. Vivevano negli spazi residuali del matriarcato. Ma erano comunque elementi fondanti della comunità. La leggenda medioevale di Modesta, forse, sarà stata funzionale al ruolo subalterno di Monza verso Milano. Un attento studio di semiologia ci porta a leggere nel suono Munschasc la traccia: Mond = Luna / Schatz = favorito, prescelto, beneamato. Per ragioni fonetiche, nella lingua germanica antica, dall'incontro tra una dentale e una sibilante, nasce una zeta: Monza.

 

In questo luogo si può ricreare una forza energetica in grado di ribaltare il pessimismo attuale diffuso nel mondo?
Spero proprio di si. Tutto questo può essere anche il frutto di una mia fantasia. Di suggestioni. Intanto però queste cose le ho percepite. Le ho dentro. Intanto anche il luogo permette l'aggregazione proficua di molti artisti. In un ambiente urbano, così fortemente antropizzato, trovare spazi come questo che ancora possiedono un legame consistente con la natura è già un miracolo. Intanto cominciamo a rendere alla terra parte di quanto ci ha dato. Perché molto del benessere che c'è qui intorno, lo abbiamo potuto godere.

 

L'appellativo di Munschasc , può essere usato o indossato come un vestito anche da me, che pure sono nato in Calabria?
Certamente! Munschasc è un movimento energetico che serve a rivitalizzare la terra. Ma anche a ringraziarla. Come si faceva una volta con le processioni. L’appartenenza al luogo, l’essere Munschasc, non rientra solo nella genetica tra consanguinei. Può essere una una libera scelta. Il seguire una affinità culturale. In Munschasc c'è la volontà di agire con una azione di arte, ma riconoscendo il valore del luogo in una relazione fuori dal tempo. Questo concetto si estrinseca, come ho detto prima, riportando nutrimento alla terra che ci ospita e ci ha nutrito per millenni. Un rituale collettivo di artisti, di persone predisposte a illuminarsi, può essere propiziatorio. Può aiutare a sprigionare grandi idee.

 

Nel ludico c'è tutta quella potente energia del rinnovamento, del ringiovanimento. Funziona quando si agisce con gioia e l'energia fluisce con naturalezza.

 

Munschasc si può considerare un processo in divenire?
In un certo senso. E' un percorso in evoluzione. Quando è nato, nei primi anni, gli avevo assegnato un tema per anno: il primo anno la terra, il secondo è stato l'acqua. Poi sembrava ovvia conseguenza il tema fuoco. Ma ho saputo rompere lo schema. Perché si correva il rischio di restringersi in un campo celebrale. Nel mio modo di proporre arte concettuale, è meglio lasciare il massimo spazio ai percorsi esperienziali di carattere ludico. Sono quelli che portano più innovazioni e sorprese. Raramente inaridiscono un movimento. Nel ludico c'è tutta quella potente energia del rinnovamento, del ringiovanimento. Funziona quando si agisce con gioia e l'energia fluisce con naturalezza.

 

Ci puoi anticipare qualcosa dell'edizione di quest'anno?
Lascio completa libertà espressiva agli artisti. Ognuno ha il suo filone e i suoi pensieri. Quando cominciano a portare a random i materiali e i componenti delle installazioni, nell'ultima settimana prima dell'evento, scatta la magia. Mi limito ad aiutare nelle operazioni di assemblaggio. Azione per me congeniale. Per il resto lasciamo campo libero alla magia ludica.

 

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 Munschasc nel 2015

 

 

Link:
Divagazioni attorno all'antico stemma di Monza
L'idea iniziale di Munschasc
L'oleificio
Tornaghi
Il primo Munschasc
Coltivazione del lino
Cadute e riflessioni di Micaela Tornaghi al mimumo
Il Munschasc del 2015 - servizio da Il Cittadino di Sarah Valtolina
Munschasc 2016

 

 

Gli autori di Vorrei
Pino Timpani

"Scrivere non ha niente a che vedere con significare, ma con misurare territori, cartografare contrade a venire." (Gilles Deleuze & Felix Guattari: Rizoma, Mille piani - 1980)
Pur essendo nato in Calabria, fui trapiantato a Monza nel 1968 e qui brianzolato nel corso di molti anni. Sono impegnato in politica e nell'associazionismo ambientalista brianzolo, presidente dell'Associazione per i Parchi del Vimercatese e dell' Associazione Culturale Vorrei. Ho lavorato dal 1979 fino al 2014 alla Delchi di Villasanta, industria manifatturiera fondata nel 1908 e acquistata dalla multinazionale Carrier nel 1984 (Orwell qui non c'entra nulla). Nell'adolescenza, in gioventù e poi nell'età adulta, sono stato appassionato cultore della letteratura di Italo Calvino e di James Ballard.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.