20160613 museo 

Mostre-spettacolo e musei: i pericoli di una monocultura e il rischio di cancellare le diversità culturali.

 

Un documento del 2008 di ICOM Italia (sottoscritto da AMACI, AMEI, ANMLI, ANMS, SIMBDEA) ci aiuta a capire bene il ruolo assai diverso fra musei e mostre, e perché è fondamentale non sottrarre risorse ai primi a favore delle seconde. 

 

Premessa

Alla metà degli anni Settanta, l’innovazione introdotta dai “nuovi” Assessorati alla Cultura degli Enti locali puntò molto sulle mostre come strumento per innovare le politiche nel campo dell’arte e della cultura e per allargare la base sociale dei suoi pubblici. Fin dai suoi inizi la scelta di privilegiare gli eventi, insieme a un indubbio consenso per lo svecchiamento e la vivacizzazione di un ambito poco toccato dai grandi cambiamenti degli anni Sessanta, suscitò anche perplessità e dubbi sull’effettiva efficacia di un intervento pubblico più disponibile a favorire l’effimero che a riformare le istituzioni culturali esistenti.

Questa nuova disponibilità pubblica creò anche le condizioni per l’affermarsi di nuovi soggetti economici, attivi non solo nel campo delle mostre, ma anche in quello della musica, del teatro, dello spettacolo ecc., che iniziarono a influenzare le stesse politiche pubbliche, sovente determinate più dall’offerta che dalla domanda di cultura.

Nel settore delle mostre si è assistito non solo alla loro proliferazione, ma anche a una loro crescente differenziazione, a seconda che a gestirle fossero le istituzioni museali o gli enti, piccoli o grandi operatori privati, che si puntasse sulla valorizzazione delle collezioni esistenti o sulla loro circolazione, sul valore scientifico o sul ritorno economico, generando esposizioni di diversissima qualità e impatto, tanto sul piano economico e occupazionale quanto su quello culturale.

Va anche notato che in questo ambito si è assistito a un processo di differenziazione di scala degli eventi, con la concentrazione dei “grandi” eventi nelle mani di pochi gruppi economici, i soli in grado di sostenere la produzione di mostre di grandi dimensioni, dai costi sempre più elevati. La loro principale attrattività risulta legata all’impatto mediatico che gli ingenti mezzi investiti in comunicazione e promozione suscitano.

Il progressivo ridursi delle risorse pubbliche ha finito con esasperare l’alternativa fra le politiche dell’effimero e quelle a favore del patrimonio e delle istituzioni culturali.

Negli ultimi dieci anni, il progressivo ridursi delle risorse pubbliche disponibili, nonostante l’intervento economico di supporto delle Fondazioni ex bancarie, ha finito con esasperare l’alternativa fra le politiche dell’effimero e quelle a favore del patrimonio e delle istituzioni culturali. Le grandi mostre (o mostre-evento o mostre-spettacolo) finanziate dalle Pubbliche Amministrazioni e dalle Fondazioni ex-bancarie, spesso prive di qualsiasi relazione con la città e con il territorio sono entrate in un’oggettiva quanto impropria competizione con le istituzioni museali locali, depotenziandole, mortificandone l’attività e talvolta anche paralizzandole temporaneamente.

Molti professionisti e volontari dei musei italiani sempre più preoccupati per le ricadute di questa tendenza, si sono rivolti alle proprie associazioni chiedendo loro di prendere posizione contro un uso del denaro pubblico che finisce per sottrarre risorse essenziali non solo allo sviluppo, ma anche all’ordinaria gestione delle istituzioni pubbliche permanenti preposte alla conservazione, allo studio e all'esposizione dei beni culturali: i musei.

 

 

I punti critici

Le questioni che più toccano la comunità dei professionisti dei musei italiani, che trova rappresentanza in ICOM Italia e nelle altre Associazioni riunite nella Conferenza permanente delle associazioni museali italiane (ANMLI, SIMBDEA, ANMS, AMACI, AMEI), sono in particolare le seguenti:

  • I problemi etici e deontologici connessi alla pratica di alcuni musei di “noleggiare” le proprie opere a terzi per iniziative espositive.
  • I costi esorbitanti delle mostre blockbuster che tendono a prosciugare i già risicati finanziamenti e ad assorbire quote rilevanti dei sempre più ridotti bilanci della cultura degli enti locali, a scapito delle istituzioni permanenti, come i musei.
  • La competizione impropria che si determina tra le mostre-evento di natura prevalentemente commerciale e le attività delle istituzioni culturali permanenti, con conseguente drenaggio di risorse e visitatori a danno di queste ultime e conseguente rischio elevato di determinare nel medio lungo periodo una desertificazione culturale e una monocultura dell’evento.
  • L’opportunità che Enti locali e Fondazioni ex bancarie provvedano a investimenti di denaro pubblico così rilevanti su attività dal carattere marcatamente effimero.

 

Il gruppo di lavoro di ICOM Italia

Il Consiglio direttivo di ICOM Italia, in accordo con altre associazioni dei professionisti dei musei (ANMLI, SIMBDEA, ANMS, AMACI, AMEI) ha costituito, nella propria riunione del 5 aprile 2008 un gruppo di lavoro sul tema Mostre e Musei, che ha prodotto un documento, approvato a Mantova il 18 maggio dal Consiglio Direttivo di ICOM Italia e dall'Assemblea dei Soci.

Il documento è stato, quindi, firmato anche dalle associazioni: ANMLI (Associazione Nazionale dei Musei Locali e Istituzionali), SIMBDEA (Società Italiana per la Museografia e i Beni DemoEtnoAntropologici), ANMS (Associazione Nazionale dei Musei Scientifici), AMACI (Associazione dei Musei di Arte Contemporanea Italiani), AMEI (Associazione Musei Ecclesiastici Italiani).

Questo documento, oltre a una serie di analisi, contiene delle Raccomandazioni che ICOM Italia, e le altre associazioni museali sottopongono alle Pubbliche Amministrazioni e al pubblico dibattito e confronto.

 

1. Le grandi mostre

Le grandi mostre (o meglio: le mostre-evento a carattere commerciale, dette anche blockbuster = “spaccabotteghini”) sono un fenomeno affermatosi da più di un secolo; da non rifiutare a priori (perché di per sé esse possono costituire anche un fattore positivo di sviluppo e diffusione della cultura, come lo furono le grandi Esposizioni nel secolo XIX) ma da non lasciar proliferare senza controllo; e, soprattutto, da non confondere con i musei e la loro missione.

Le Amministrazioni non possono chiedere ai musei di competere con le mostre evento e con i costi e profitti che esse generano, alla ricerca di una redditività – mediatica, politica, economica – che non corrisponde a quella che prima di ogni altra può e deve offrire il museo, che è invece culturale ed educativa.

Le Amministrazioni non possono chiedere ai musei di competere con le mostre evento e con i costi e profitti che esse generano, alla ricerca di una redditività – mediatica, politica, economica – che non corrisponde a quella che prima di ogni altra può e deve offrire il museo, che è invece culturale ed educativa.

Come ha evidenziato una recente ricerca commissionata dalla Regione Lombardia all’Università Bocconi su due eventi realizzati nell’arco del 2006 (la Mostra “Gauguin-Van Gogh: l'avventura del colore nuovo” a Brescia e il Festival della Letteratura di Mantova): “In Italia ogni anno vengono allestite più di 1600 mostre: per ogni grande successo vi sono decine di dolorosi fallimenti […] i tempi sono maturi per riconoscere che anche nel settore delle mostre, come nel mercato dell’editoria, esistono prodotti differenti che si rivolgono a pubblici diversi: mostre best seller e mostre di nicchia…” . Nell’introduzione alla ricerca si afferma inoltre “che in Italia non vi è spazio per più di due progetti espositivi dotati di caratteristiche simili e allestiti simultaneamente in aree distanti non più di 300 km. Il mercato è piccolo e il pubblico, come si è desunto dai dati sulle frequenze di visita, è prossimo al raggiungimento di soglie di saturazione quasi fisiologiche.”

In un precedente saggio (Gli eventi espositivi 1990-2002) lo stesso autore della ricerca, Guido Guerzoni, osservava che il modello di marketing su cui esse si basano è obsoleto, fondate come sono “sulla convinzione che l’incremento sostanziale del numero di visitatori produca effetti benefici in termini economici. Tale convinzione risulta paradossalmente contraria alle attuali tendenze del marketing management delle imprese, che tende invece a privilegiare la personalizzazione del sistema di offerta, la fidelizzazione della customer-base, la microsegmentazione. [...]

Il popolo delle mostre ha un budget di risorse e tempo limitato. É impensabile che tutte le grandi mostre organizzate nel Nord Italia possano avere successo perché il bacino del pubblico è quello che è, e quello rimane: il successo mantovano è pagato da Cremona e Ferrara, quello trevigiano da Trieste e Padova, quello aretino da Siena e Livorno, etc.”

Come accertano le molte ricerche sull’argomento, il frammento di popolazione che frequenta manifestazioni artistiche è definito e si limita ad aumentare impercettibilmente di anno in anno. Ne consegue che le mostre tendono inevitabilmente a sottrarre visitatori ai musei e che, come tutti noi abbiamo sperimentato, l’effetto è di medio-lungo periodo.

Sulla base dei dati in nostro possesso ci è anche possibile contraddire un'altra argomentazione usata dai fautori delle mostre: il dato che il pubblico toccato per la prima volta dall’arte in queste mostre-evento vada successivamente ad incrementare il pubblico dei musei. Basti citare il caso del Museo di Santa Giulia di Brescia, che prima delle grandi mostre organizzate dalla società Linea d’Ombra era arrivato con le sue attività a sommare 93.759 visitatori (2003), numero che nel 2007 si è drasticamente ridotto a 38.187, ovvero a un livello di gran lunga inferiore a quello raggiunto nel 1998 (48.000 circa).

Basti citare il caso del Museo di Santa Giulia di Brescia, che prima delle grandi mostre organizzate dalla società Linea d’Ombra era arrivato con le sue attività a sommare 93.759 visitatori (2003), numero che nel 2007 si è drasticamente ridotto a 38.187, ovvero a un livello di gran lunga inferiore a quello raggiunto nel 1998 (48.000 circa).

È vero invece che i musei si devono conquistare il proprio pubblico con le attività scientifico- didattiche quotidiane, con propri eventi, con il radicamento profondo nella società che li circonda. E anche con mostre proprie che vedano protagonisti i musei, le loro collezioni, le loro ricerche, i loro restauri, la loro missione.

Per i musei, quindi, le mostre sono un necessario laboratorio di idee e di esperienze: ma a patto che esse siano legate al museo che le produce o che partecipa alla loro produzione.

É noto che gran parte dei musei stranieri organizza proprie mostre, anche con grande successo di pubblico. Viene perciò naturale chiedersi per quale ragione ai musei italiani sia negata tale possibilità di crescita, a tutto vantaggio di spazi espositivi autonomi o di operatori occasionali con finalità di lucro che interagiscono con il museo sollecitando e ottenendo il disallestimento di intere collezioni per cedere spazi a mostre piovute dall'alto.

 

Raccomandazione n. 1

ICOM Italia chiede alle Pubbliche amministrazioni, alle Fondazioni ex-bancarie e ad altri sponsor/mecenati di distinguere i finanziamenti per le mostre-evento effimere e commerciali da quelli per le istituzioni culturali permanenti e di finanziare queste ultime con maggiore costanza e altrettanta generosità, visto il loro duraturo ruolo educativo e sociale verso i più diversi tipi di pubblico e il dovere di conservare integri (anche moralmente) i patrimoni dei musei per le prossime generazioni. I finanziamenti agli eventi effimeri non possono soverchiare e annientare quelli alle istituzioni culturali permanenti; pena il rischio di cancellare le indispensabili diversità culturali. ICOM Italia raccomanda che i direttori e il personale tecnico-scientifico dei musei siano coinvolti nella programmazione delle attività espositive anche se realizzate in altre sedi, partecipino alla loro ideazione e progettazione anche quando esse siano organizzate da soggetti esterni; a tutela della loro scientificità, della valorizzazione delle risorse locali, dei patrimoni del territorio e delle istituzioni culturali locali (musei, università, Associazioni, ecc.); evitando anche che esse siano qualitativamente deficitarie, ripetitive, eteroprodotte e senza valore aggiunto culturale per la città e le sue istituzioni.

 

2. I musei-spettacolo e i loro costi materiali e morali.

Oltre alle “grandi” mostre-spettacolo, nell’ultimo decennio del secolo XX e nel primo del sec. XXI, anche nel mondo dei musei europei si sono sempre meglio delineate pericolose tendenze dominanti: la costosa spettacolarità di edifici e di allestimenti, che attirano i consensi dei media; la commercializzazione e privatizzazione delle attività; il tentativo di far assomigliare il museo a una impresa for profit.

A fronte di tale fenomeno, nel passaggio tra i due millenni si va altrettanto nettamente affermando una economia basata sulla conoscenza e sulla creatività; l’ascesa di nuovi soggetti sociali e quindi di nuovi pubblici; la trasgressione delle frontiere intellettuali; la contaminazione dei saperi; la crescita di città multietniche e multiculturali, le cui comunità chiedono strumenti per ridefinire o definire le proprie identità. Tra questi strumenti un ruolo sempre più importante sembra toccare all’istituzione museo, come luogo di produzione culturale e di rappresentazione delle identità dei nuovi cittadini. I musei sono quindi responsabili di una sempre più diffusa e approfondita opera di educazione, che ha raggiunto segmenti di pubblico, e gruppi sociali che non si erano ancora avvicinati ai musei.

Non si deve dunque dimenticare che i musei sono anzitutto un luogo di pensiero, di memoria, di riflessione, di ricerca continua

Non si deve dunque dimenticare che i musei sono anzitutto un luogo di pensiero, di memoria, di riflessione, di ricerca continua; il che può voler dire anche di contraddizione e di contestazione nei riguardi di tutto quanto li circonda. Se essi possono dunque stare tranquillamente alle regole di un mercato civile, non possono certo assecondare la tendenza a fare di quella economica l’unica cultura riconosciuta.

La cultura ha bisogno assoluto della varietà e della complessità, da vivere come una ricchezza e non come un problema. Il rischio che accomuna i grandi musei-spettacolo e le mostre- evento è infatti quello di produrre attorno ad esse la desertificazione culturale, ovvero la perdita di una risorsa fondamentale qual è la diversità.

Ciò significa anche la cessazione delle attività di elaborazione e produzione culturale da parte dei musei. Si tratta di un danno sociale a lungo termine, non sufficientemente percepito, ma esiziale per la società della conoscenza e della formazione. Poiché questo modello di società è l'unico che nel contesto della globalizzazione assicura ancora al nostro Paese un vantaggio competitivo, non si tratta quindi solo di un danno culturale e sociale enorme, ma anche di un vero e proprio danno economico.

 

Raccomandazione n. 2

ICOM Italia chiede alle Pubbliche amministrazioni, alle Fondazioni ex-bancarie e ad altri sponsor/mecenati di finanziare le attività istituzionali, di ricerca, educative e sociali dei musei per i loro valori permanenti, evitando di porle in alcun modo in un’oggettiva competizione con eventi espositivi a carattere effimero; in modo tale da affermare sempre più il valore di una cultura non consumistica e di una economia basata sulla conoscenza e la creatività.

 

3. Problemi etici e deontologici, anche in relazione alla missione dei musei contemporanei.

Le domande che ci poniamo sono gravi: dove stanno andando alcuni grandi musei? É ammissibile che essi prestino a pagamento le proprie opere?

Il Codice di deontologia dell'ICOM per i musei, vigente dal 1986, all'art.2.16 enuncia chiaramente il principio che “le collezioni dei Musei sono state costituite per le comunità di cittadini e non devono essere in nessun caso considerate degli attivi finanziari.” Il prestito a pagamento rischia di introdurre nei musei un pericoloso slittamento di senso dello stesso status delle collezioni e l’idea che esse siano costituite da oggetti commerciabili e non da beni inalienabili. Il presidente del Comitato ICOM per la deontologia, Geoffrey Lewis, ha sempre affermato che le collezioni dei musei devono essere considerate un patrimonio comune e perenne, per principio inalienabile. Ovvero diremmo noi, una risorsa non rinnovabile, che pertanto esige una politica orientata alla sostenibilità.

Il prestito di opere a pagamento, oltre a comportare il rischio di una lievitazione generale dei costi delle mostre, e conseguentemente a emarginare le istituzioni che non hanno le risorse necessarie per sostenere anche questo costo, si colloca in una logica di mercato privato dei beni culturali, antitetica al concetto stesso di museo come pubblico servizio. Il museo è un servizio pubblico, perché finanziato con risorse pubbliche e perché è aperto e posto a disposizione del pubblico che contribuisce alla formazione delle sue collezioni, alla loro conservazione, al loro studio e alla loro comunicazione ed esposizione, acquisendo il diritto che esso operi al servizio della società e del suo sviluppo.

Nel momento in cui le collezioni, fondamento e ragion d’essere del museo, sono piegate a una logica di pura redditività il fine pubblico del museo passa in secondo piano, sostituito da una logica di profitto.

 

Raccomandazione n. 3

ICOM Italia chiede ai musei italiani privati e pubblici di non praticare le loan-fees sui prestiti delle proprie opere a mostre, in modo da non mettere a rischio il valore immateriale e non commerciale dei beni culturali, anche in ossequio al dettato delle recenti modifiche al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio che vietano di considerare i beni culturali come merce e per non essere costretti, in un momento di progressiva riduzione delle risorse pubbliche, a prendere decisioni motivate esclusivamente da un immediato beneficio economico e non da considerazioni di opportunità culturali.

ICOM Italia si impegna a porre questa questione in sede internazionale al Comitato per la deontologia dell’ICOM, avviando sin d’ora i contatti con i Comitati ICOM nazionali e internazionali affinché questo impegno coinvolga i musei e i professionisti di tutti i paesi interessati.

 

4. Costi, vantaggi e problemi economici.

Le mostre di massa non sono operazioni redditizie per la collettività, non si autofinanziano mai completamente, e richiedono perciò cospicui contributi in denaro da parte degli enti pubblici, non di rado superiori al 50% del loro costo. Anche le vantate ricadute/benefici sul territorio sono state, come indicato dai risultati di ricerche specifiche, molto inferiori alle aspettative, limitate a categorie economiche che raramente partecipano alla copertura del costo e comunque di breve durata.

L’investimento sui musei è un beneficio duraturo per le città; come hanno dimostrato, ad esempio, i grandi investimenti in Germania sui vecchi e nuovi musei a Berlino e a Monaco di Baviera.

A fronte dell’esborso richiesto alla collettività, i processi decisionali connessi a tali eventi sono quasi sempre del tutto estranei alla comunità di riferimento, anche economica, poiché la loro organizzazione “chiavi in mano” è affidata interamente ad attori esterni alla comunità stessa.

Anche il decantato ritorno in termini di marketing turistico risulta opinabile, muovendo tipologie di visitatori con bassissima ricaduta territoriale (turismo giornaliero “mordi e fuggi”).

Effetti positivi e permanenti sul turismo si possono viceversa ottenere con la valorizzazione di quanto di peculiare ogni sito conserva e che nei musei locali ha un punto di forza.

L’investimento sui musei è un beneficio duraturo per le città; come hanno dimostrato, ad esempio, i grandi investimenti in Germania sui vecchi e nuovi musei a Berlino e a Monaco di Baviera.

 

Raccomandazione n. 4

ICOM Italia chiede alle Pubbliche amministrazioni, ai privati gestori dell’organizzazione delle mostre e alle Fondazioni ex-bancarie di rendere pubblici e trasparenti i bilanci delle mostre e di svolgere indagini prima e dopo le mostre sul gradimento del pubblico e sull’impatto turistico, economico e culturale complessivo sul proprio territorio di tali eventi, anche nel medio-lungo periodo. Ovvero di adottare metodi di indagine e indicatori di successo o insuccesso complessi, quali i Balanced Scorecards (BSC), superando i limiti della contabilità economico finanziaria tradizionale.

 

5. Gli effetti “collaterali” sulle istituzioni permanenti (musei, biblioteche, teatri…).

Per recuperare risorse economiche da destinare alle mostre-evento le Pubbliche Amministrazioni molto spesso procedono diminuendo i fondi destinati ai musei, anche riducendoli alla mera sopravvivenza; non di rado tenendoli chiusi, o trovandosi costretti a diminuirne l’orario di apertura. Sempre più spesso per trovare uno spazio alle mostre si è arrivati addirittura a smantellare allestimenti museali onerosi, finanziati dalle stesse Pubbliche Amministrazioni, o sono stati realizzati edifici semipermanenti, destinati a ospitare i servizi commerciali delle mostre, anche in aree di interesse monumentale, vincolate dalle Soprintendenze.

Casi del genere si contano numerosi, e negli ultimi dieci anni hanno coinvolto tra gli altri, ad esempio, la Galleria d’Arte Moderna di Torino, il Museo Civico di Bassano e il Museo di Santa Giulia a Brescia.

Quando un museo viene smontato e le collezioni sono ricoverate nei depositi per far posto ad attività effimere come le mostre, i donatori, una risorsa fondamentale per assicurare la continuità dell’attività collezionistica di un museo, se ne allontanano, con danni che si risentono a lungo termine.

Un esempio di desertificazione culturale e di danno collaterale al sistema museale locale è quello di Treviso, dove una lunga sequenza di mostre blockbuster ha messo in ginocchio la fragile realtà museale locale, che a distanza di anni stenta ancora a riprendersi. Studi approfonditi del CISET, il Centro internazionale di studi sull’economia del turismo, commissionati dalla Provincia di Treviso, hanno dimostrato che l’economia turistica della Marca Trevigiana non ha tratto alcun beneficio duraturo da tali mostre e che, viceversa, la lenta crescita di arrivi registrata negli ultimi anni è dettata sì da fattori “culturali”, ma connessi al patrimonio e alla valorizzazione delle peculiarità territoriali.

Un ulteriore esempio di ciò che non deve accadere e degli effetti della crisi finanziaria in cui vertono i musei a fronte di investimenti poco lungimiranti in eventi di natura temporanea, ci viene dallo Stato, ovvero da quanto è accaduto in occasione delle festività di aprile e maggio 2008, quando il Ministero (imitato anche da molti Comuni) non è stato in grado di tenere aperti i musei a causa della mancanza di personale o dei fondi necessari a pagare gli straordinari. Le proteste dei turisti e dei visitatori delusi a Firenze e a Napoli hanno raggiunto con rabbia i responsabili e tutti i media. Gli operatori turistici hanno quantificato i considerevoli danni economici: solo a Firenze essi sono stati stimati in circa 2,5 milioni di Euro per la sola chiusura il 1° maggio degli Uffizi e dell’Accademia.

Parrebbe superfluo ricordare, ma non lo è, che le Pubbliche Amministrazioni sono impegnate dallo stesso dettato costituzionale a preservare le “biodiversità” nel vasto campo delle attività culturali. Le mostre commerciali che drenano risorse e visitatori ai musei rappresentano un fattore concreto di rischio, in quanto favoriscono di fatto la desertificazione culturale e la monocultura dell’evento spettacolo.

I cittadini, oggi più che mai, chiedono ai musei di preservare e rappresentare le identità locali e vedono nei propri musei lo scrigno dei tesori del proprio territorio, emblema di un senso di appartenenza a un territorio e a una comunità. Le comunità chiedono strumenti per ridefinire o definire le proprie identità. Tra questi strumenti i musei possono svolgere un ruolo di primaria importanza se posti nelle condizioni di sviluppare attività rivolte innanzitutto al pubblico di prossimità, ma tali anche da favorire un turismo di qualità che, se diffuso e commisurato alle capacità ricettive di un territorio, costituisce un fattore di sviluppo durevole e di crescita civile e culturale. Esempi di “protezionismo” anche eccessivo stanno a dimostrarlo: in Sicilia e in Calabria alcuni Comuni hanno rifiutato di prestare i loro capolavori archeologici alla mostra promossa a Mantova in questi mesi; a Firenze si è contestata duramente la partenza di capolavori degli Uffizi verso il Giappone. Si tratta di elementi di riflessione da non sottovalutare, segnali di un “orgoglio” che va meglio motivato e che soprattutto non può essere limitato alle pur significative denunce dei danni subiti dagli operatori turistici.

 

Raccomandazione n.5

ICOM Italia chiede alle Pubbliche amministrazioni e alle Fondazioni ex-bancarie di incrementare e, comunque, di non ridurre i finanziamenti destinati ai musei e alle loro attività primarie, evitando di finanziare solo eventi temporanei e di impegnarsi al fine di evitare che una “monocultura”, come quella delle mostre-spettacolo si espanda distruggendo il differenziato patrimonio genetico dei territori culturali.

ICOM-Italia chiede alle pubbliche amministrazioni di valutare la sostenibilità delle politiche culturali nel loro complesso ponendo attenzione alla diversità delle culture locali, nello spirito del dettato costituzionale dell’art. 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura […] Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”

 

6. La distorsione delle percezioni dei valori storico artistici e culturali.

La monetizzazione continua e insistita (esplicitata dalla valutazione in denaro delle opere esposte anche durante le visite guidate !!!) porta il pubblico (soprattutto i giovani) a credere che i beni culturali siano una specie particolare di merce. L’esaltazione delle opere d’arte feticcio porta poi a considerare tutte le altre invisibili, ininfluenti. Con la conseguente perdita dei valori e dell’importanza dei contesti storici, artistici, naturalistici, per la conservazione dei quali abbiamo tanto lottato.

L’isolamento dei capolavori è un retaggio di matrice idealistica che ha già prodotto troppi danni nella nostra cultura per poter ancora influenzare, sia pur inconsapevolmente, le scelte pubbliche e private in materia di patrimonio culturale.

Un ulteriore danno collaterale è dettato dalla distorsione che tali mostre generano nella stessa percezione dei “valori” dei diversi fenomeni culturali. La sovraesposizione mediatica di correnti come l’Impressionismo ha, per esempio, radicato nel pubblico la convinzione, priva di fondamento, che in quel periodo si siano concentrati i migliori artisti di tutti i tempi.

Il più irreparabile e il più grande dei rischi per i musei è, inoltre, quello di perdere agli occhi del pubblico il loro status simbolico di contenitore di valori non mercantili, non scambiabili, necessari alla conoscenza della storia umana, e al riconoscimento della propria appartenenza sociale.

Come afferma Guido Guerzoni commentando “Gli eventi espositivi 1990-2002”:... “le mega- mostre […] hanno destabilizzato gli equilibri del settore, modificando la nozione stessa di “fruizione culturale” nel pubblico più ampio, che rischia di assimilare il “consumo culturale” a una qualsiasi altra forma di consumo, snaturando il ruolo e le funzioni di molte istituzioni e vanificando i tentativi di operare un riequilibrio tra centri e periferie, metropoli e provincie, tra istituzioni antiche e recenti, tra piccole e grandi realtà”. [...] I centri di piccole e medie dimensioni, che costituiscono l’ossatura del sistema di offerta nazionale, sono stati le prime vittime del processo di spettacolarizzazione e mediatizzazione delle attività culturali iniziato negli anni ’80...”.

Il più irreparabile e il più grande dei rischi per i musei è, inoltre, quello di perdere agli occhi del pubblico il loro status simbolico di contenitore di valori non mercantili, non scambiabili, necessari alla conoscenza della storia umana, e al riconoscimento della propria appartenenza sociale. Non è tanto da temere la perdita degli sponsor o dei visitatori, ma la fuga dei mecenati, dei donatori, dei collezionisti, dei cervelli, dei volontari; e, peggio ancora, delle opere che i musei conservano.

 

Raccomandazione n. 6

ICOM Italia richiama i musei pubblici e privati a porre attenzione, nello svolgimento delle proprie attività didattiche, culturali e di comunicazione con il pubblico, al ruolo/status del Museo come contenitore di valori non mercantili, non scambiabili, necessari alla conoscenza della storia umana; a non creare opere-feticcio a scapito delle altre, con il rischio di arrivare a una omologazione monoculturale; e a spingere i musei a coltivare e incoraggiare i volontari, i donatori, i mecenati, i collezionisti, gli studiosi, i quali sono una parte di pubblico determinante per il futuro dei musei stessi.

 

Milano, 14 giugno 2008