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Intervista a Lorenzo Pierobon, musicoterapeuta, cantante, musicista a circa un mese dall'uscita del suo ultimo lavoro discografico, "Haiku"

 

Con la collaborazione di Mattia Villa

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artiamo dal concetto di musicoterapia, come la definiresti? Quali sono gli scopi, i metodi, le prerogative di un musicoterapeuta?
La musicoterapia è un insieme di tecniche e di metodi, che hanno sostanzialmente lo scopo di aprire una serie di canali di comunicazione con le persone portatrici di un certo disagio comunicativo, ad esempio i soggetti affetti da autismo: entriamo in terapia con queste persone allo scopo di fornire uno sfogo emotivo attraverso un canale di comunicazione musicale. Prendiamo in carico anche persone con handicap gravi per fornire momenti in cui liberarsi di energie compresse, al contrario di quanto può succedere in altri ambienti dove c'è il concetto del fare/non fare. Inoltre va fatta una distinzione tra la musicoterapia e la didattica musicale: il musicoterapeuta non punta alla tecnica, ma all'utilizzo dello strumento per instaurare una relazione emotiva, emozionale, per permettere una scarica energetica, uno scambio comunicativo. Sicuramente troviamo delle difficoltà nel far capire ai non addetti ai lavori quello che succede all'interno di un setting, è complicato, almeno inizialmente, ad esempio, fare comprendere il concetto di silenzio come suono comunicativo.

Hai un particolare metodo di lavoro che segui durante le tue terapie?
Certo, io seguo il modello dello psichiatra argentino Rolando Benenzon, un modello riconosciuto anche in USA. Il professor Benenzon ha anche una cattedra presso l'Università in Argentina e lavora da anni in ospedale, pensate che la musicoterapia in Argentina è integrata nel sistema sanitario. È un metodo basato sull'identità sonora, parte del concetto che tutti nasciamo con un imprinting sonoro, classificato anche attraverso le diversità genetiche che ci derivano dalla nostra famiglia o dalle diversità geografiche, ad esempio il tipo di suono sudamericano si distingue da quello europeo, ecc. Il modello lavora per ricercare l'identità sonora delle persone, fatta da suoni naturali, suoni interni come il battito cardiaco della madre.

 

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Foto di Marco Zanirato

 

All'interno del modello utilizzi particolari strumenti musicali o classificazioni degli stessi strumenti?
Innanzitutto parliamo della classificazione degli strumenti musicali: ci sono quelli maschili, femminili, fetali, ermafroditi, ad esempio questo (suona un sonaglio, ndr) può essere considerato uno strumento fetale, così come il contenitore dell'acqua, diciamo tutto ciò che può ricordare l'idea di contenimento e quindi il concetto della gravidanza lo consideriamo uno strumento fetale; i bambini autistici, per esempio, prediligono il lavoro con strumenti fetali. Il tamburo può essere considerato uno strumento femminile, il flauto ovviamente uno strumento maschile. Invece il tamburo a fessura lo consideriamo ermafrodita. Classifichiamo anche il modo in cui i pazienti usano lo strumento: difensivo (il tamburo usato come scudo), catartico (battere un tempo continuamente su un oggetto, ad esempio per ricordare il battito cardiaco). Lavoriamo su queste cose, ci sono strumenti sperimentali che sono annusati o leccati, strumenti incistati, come se appartenessero al corpo della persona. Come potete notare da queste caratteristiche, questo modello ha un impianto fortemente psicanalitico.

Di solito utilizzi musiche originali, composizioni già esistenti oppure entrambe le cose?
Entrambe le cose, dipende dal tipo di musicoterapia che vogliamo applicare. C'è una versione attiva, per cui lo scambio tra paziente e operatore è interazione. Non sono quasi mai previsti scambi di parole. Nel modello di musicoterapia proposto da Benenzon, si lavora esclusivamente sul non-verbale ad eccezione del canto, dello stimolo di urlare, questo perchè nel non-verbale si manifestano outing emotivi molto più profondi e interessanti.

Invece al contrario in cosa consiste la musicoterapia passiva?
Viene definita anche recettiva: si recepisce un suono diffuso o strumentale esterno al tuo corpo. C'è chi scrive musica, chi suona dal vivo per il paziente. Il mio strumento personale è la voce, scrivo musiche qui in seduta o ad hoc, con una nota particolare, un'armonizzazione da ascoltare o da lasciare al paziente al fine di richiamare un'emozione negativa o positiva.

Possiamo definire un tipo di musica da associare ad una particolare emozione? Magari da usare in terapia?
La composizione è fondamentale ed è scientificamente provato che vari ritmi portano a percepire una serie di sensazioni diverse. Anche in questo caso abbiamo varie tecniche, una delle quali prevede che alla persone depressa facciamo ascoltare musica che tendenzialmente rispecchia il proprio stato d'animo, il passaggio deve essere graduale come nel caso della medicina omeopatica. Da lì in poi si tratta di una scaletta in salita molto graduale. Un'altra tecnica è quella di alternare un brano distensivo a un brano di tensione, un brano ritmato ad uno distensivo, poi ad un neutro e così via.

Esistono particolari difficoltà nel primo approccio tra terapeuta e paziente? Come fare per entrare nel mondo del disagio di questa persona?
Prima di tutto differenziamo bambini e adulti, cambia molto! Io non sono medico o psicologo, lavoro con medici e psicologi, figure istituzionali a cui faccio riferimento. Contatto costantemente questi soggetti istituzionali per seguire correttamente il paziente e nel migliore dei modi. Un conto è l'adulto che vuole fare un percorso personale, un conto è il bambino, che arriva con la figura istituzionale, che può essere sia il medico, sia il genitore, sia entrambe le figure, io chiedo in primis di vedere i genitori da soli, alla terza volta arriva finalmente il bambino.

 

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Qual è la visione delle cose tra chi passa di qui attivamente e chi vede queste come questioni filosofiche, quasi da guru o da sciamani?
Se l'invio è fatto da una figura istituzionale, l'idea passa, viene pian piano accettata, a volte anche immediatamente, ci si fida dell'istituzione. Dall'altra parte se arriva l'adulto in autonomia non ci sono quasi mai problemi, è una scelta personale dettata da un certo tipo di bisogno. Difficile che arrivino persone che non sanno minimamente dove stanno andando, sia in caso diretto (gli adulti), sia in caso indiretto (i bambini), caso in cui i genitori concorrono alla decisione di portare i propri bambini alle sedute. A volte anche il passaparola, la mamma che dice all'altra mamma: "Sai, questo tipo di terapia sta funzionando", i canali sono vari e multidirezionali.

Prima hai parlato di autismo, ho letto che ti occupi anche di donne in gravidanza, riusciamo a dire quali sono gli ambiti principali della tua attività? L'autismo in effetti lo possiamo immaginare, sono invece molto curioso dell'ambito gravidanza.
Ascoltare musica nei corsi pre-parto è frequente per rilassare la futura mamma; una colonna sonora che accompagni il parto, oltre a lavorare su suoni vocali che aiutino la sopportazione e la superazione del dolore, ma anche che facilitino l'avvento delle contrazioni e il successivo rilassamento muscolare. Dal sesto mese faccio ascoltare musiche alle future mamme, come ascolto esterno o con cuffie appoggiate direttamente sulla pancia, in quello che si chiama "ancoraggio" ad uno stato positivo, si associa da parte della madre e del feto quel particolare suono, quella particolare musica ad uno stato positivo.

Questo tipo di approccio aiuta i bambini neonati a concepire il concetto musica nella sia complessità?
Assolutamente. Rende da subito il bambino propenso ad un certo tipo di acquisizione sonora. Vi racconto in breve uno studio antropologico su una comunità zigana tribale: a seconda del tipo di musicista che andava a suonare di fronte alla futura mamma nelle tre settimane prima del parto e nel primo mese successivo al parto, il risultato era che il bambino col passare del tempo manifestava una netta propensione a suonare quello stesso strumento.

Leggevo sulla tua biografia l'importanza della voce nel tuo lavoro, voce in senso musicale, quindi canto, armonia.
Una parte importante e fondamentale del mio lavoro è quella con il mio strumento, la voce, sia in gruppo, sia individualmente; la voce è emozione e il percorso che voglio far intraprendere è quello di portare a vivere quell'emozione, quella crescita, quella ricerca, con un certo senso di introspezione. Infatti, se ci fate caso, cantare o parlare o esibirsi in pubblico porta ad avere controindicazioni o effetti collaterali, soprattutto per chi non è avvezzo a questo tipo di manifestazioni.

Da quanto tempo lavori in questo ambito, sia come esperienza musicale e artistica, sia come musicoterapia?
Ho iniziato con alcuni corsi e seminari nei primi anni '90, a quell'epoca cantavo, la voce pian piano muoveva delle cose, facevo sempre più esperimenti vocali, ecc. Dopodichè ho cominciato a frequentare seminari e corsi di formazione e infine nel 1998 ho fatto il corso per musicoterapia, mi sono diplomato e da lì è iniziata l'attività ufficiale, con l'acquisizione del modello Benenzon e la costruzione della vera e propria attività di musicoterapeuta, oltre a quella musicale-artistica che parallelamente continua.

Qual è il tuo rapporto, parlando di pazienti bambini, con due particolare figure, i genitori e gli insegnanti?
Durante le sedute non c'è mai un osservatore esterno presente, altrimenti falsa totalmente la terapia, a volte lavoro con un team, con un co-terapeuta, ma qualcuno del mestiere, i genitori o gli insegnanti, se vogliono, possono vedere successivamente le registrazioni video, ma non devono partecipare attivamente, altrimenti la seduta perde il suo valore terapeutico e non scatta il rapporto emozionale terapeuta-paziente-musica. Sarebbe un fattore disturbante.

Ci sono altri particolari strumenti che sei solito utilizzare a scopo terapeutico?
Un particolare strumento che uso è il lettino armonico, una specie di lettino da massaggio con una serie di corde sottostanti (70), e una cassa di risonanza. Il paziente si stende sopra e vive la doppia sensazione (vibrazione e acustica) che tende a rilassare corpo e animo.

20130413-HaikuDa poche settimane è uscito il tuo ultimo lavoro, "Haiku" (qui la recensione), lavoro di non facile ascolto, basato principalmente sulla vocalità, ma sei attivo in ambito musicale da molto tempo. Facciamo un breve racconto del Lorenzo Pierobon artista.
Nell'ambito musicale nasco sostanzialmente negli anni '80 come cantante rock, ma successivamente arriva una sorta di conversione, mi trovo a cadere nel grosso pentolone della musica sperimentale e di ricerca, della loop music & electronics, fino all'improvvisazione abbastanza radicale, sempre principalmente tramite la vocalità. Ho lavorato in teatro con Dome Bulfaro, con David Rossato per il cd "Soulscapes", ho avuto collaborazioni varie, in ambito di musica elettronica, musica ambient, ecc. Circa un mese fa è uscito "Haiku", lavoro che si basa solamente sulla voce, quasi nessun artifizio o strumento aggiuntivo, se non pochissimi loop per duplicare le voci, è sostanzialmente un ritorno all'essenza vocale. La scelta del titolo richiama il fatto di voler fare un disco con brani corti, esattamente quel tipo di poesia giapponese, mentre di solito le suite vocali e i lavori del genere sono molto lunghe e complesse. E' uscito così, delle piccole fotografie, mi ha ricordato l'haiku e il titolo ne è la conseguenza. Sono 11 pezzi, si può acquistare sugli store digitali principali (iTunes, Spotify, Amazon, ecc.), è un disco da ascoltare, con attenzione, senza distrazioni.

Ultima domanda, la musica per te che ci lavori, è il tuo mondo, ne vivi quotidianamente l'essenza. Come può essere usata dalle persone normali, dai profani, per un aiuto, una mano, una scossa?
Lo dico spesso ai miei corsi: "canta che ti passa", pur essendo un proverbio popolare, ci sono studi che dimostrano che cantando si mettono in circolo nel corpo sostanze come la immunoglobulina A (quindi maggiori difese immunitarie), la melatonina (cambiamenti di umore), endorfine e altre sostanze simili, il canto è quindi puro nutrimento del corpo e dell'anima.