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Giovanni Rossi, conosciuto con il nome d'arte Issor. Nel suo genere è un pittore di fama internazionale. È tra i pochi a utilizzare la tecnica olio sotto vetro. Arte appresa dalla scuola nata negli anni Trenta a Hlebine, in Croazia

 

Siamo andati a conversare con Issor nella sua casa di Villasanta. Qui è nato il 2 febbraio del 1947. Abbiamo appreso quanto sia stato determinante per la sua arte, l'essere nato in un contesto ancora agricolo a ridosso del Parco di Monza. Così era fino agli anni '50. La natura, l'acqua delle rogge, gli uccelli, la vita sociale, il lavoro e le esperienze emozionanti nel territorio hanno costituito il patrimonio trasmesso all'espressività della pittura naif. E' stato vincitore per due volte del Premio Internazionale Varenna per pittori naif. Ha esposto tra l'altro alla Galleria degli artisti di Trebnje in Slovenia, al Museo delle Arti Naives Cesare Zavattini di Luzzara e al Vihorlatské Múzeum Humenné in Slovacchia. Nei quadri si firma Issor. E' il rovesciamento del cognome Rossi. Con questo svela la sua procedura tecnica: i colori vengono stesi in sequenza contraria rispetto a quanto appare nel lavoro finito. Oltre a Giovanni Rossi, in Brianza dipingono naif altri suoi amici: Elio Nava, di Brugherio e Silvana Uccellini di Novate Milanese.

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Parco di Monza: cascata del fiume Lambro nei pressi di Villasanta

Come comincia la passione per la pittura?
Penso sia iniziata dall'infanzia: l'ho trascorsa a scorrazzare nei campi del Parco di Monza e di Villasanta. A contatto con la natura. Abitavo in mezzo a due rogge: la roggia Gallarana e il Lambretto (Roggia dei Frati o delle Grazie, detta anche dei Mulini Asciutti ndr.) . Nei sabati estivi aprivano le chiuse delle rogge per allagare i prati dei Mulini Asciutti e dell'attuale area feste di Villasanta.

Perché?
Serviva a far crescere più rapidamente l'erba. In particolar modo quando c'era molto caldo. Così durante l'estate i contadini potevano fare diversi sfalci e produrre più fieno. L'acqua veniva rilasciata attraverso piccoli canali, provocando inondazioni controllate. I prati si trasformavano in grandi piscine, dove noi bambini ci tuffavamo a fare il bagno e a giocare.

L'acqua era abbastanza profonda?
In alcuni punti era alta 60\70 cm. Mediamente arrivava sopra il ginocchio. Quando cominciava a ritirarsi, entravamo a pedalare con le bici.

Ci sono ancora i canali?
Di fatto sono scomparsi nei terreni e assorbiti dalla vegetazione. Restano solo alcune tracce. Per esempio, appena entrati nel Parco dal cancelletto di via Don Galli, subito a sinistra si possono scorgere alcuni resti. Ancor meglio le chiuse si possono vedere all'ingresso dell'attuale ristorante nel ex Canile del Dosso. Il Lambretto è l'unica roggia superstite esterna al Parco.

Essere a contatto con l'acqua e gli animali. Sicuramente sono stati elementi basilari per la mia successiva passione per la pittura

Queste esperienze ti hanno spinto verso la pittura?
Vivere qui nella natura. Potere entrare in qualsiasi momento nel Parco, passando attraverso i buchi del muro o scavalcando. Essere a contatto con l'acqua e gli animali. Sicuramente sono stati elementi basilari per la mia successiva passione per la pittura.

Che animali c'erano?
Tutti gli animali da cortile. E anche gli uccelli. Li andavamo a prendere nei nidi. Gli si dava da mangiare e si teneva un maschio. Perché cantava. A me piaceva tenere il merlo.

Per questo è rappresentato in molti tuoi quadri?
Si. E' una figura costante. Prima lo teneva mio fratello in gabbia. Poi ho continuato io per almeno dieci anni. Avevamo anche i Setter Gordon, perché eravamo una famiglia di cacciatori. Come tante altre. Purtroppo mio fratello morì da giovane. Nella famiglia si perse la continuità alla caccia, a patire da me. Non ho fatto il cacciatore.

Andavano in tanti a caccia?
Tantissimi. Negli anni '50 e '60 c'erano tra i cacciatori anche alcuni miei zii. A San Giorgio, alle sei del mattino, si potevano vedere dentro la chiesa, insieme agli altri fedeli, diversi cacciatori con i fucili in spalla. Seguivano un poco l'inizio della messa e poi andavano a caccia.

Dove andavano?
Nelle vicinanze. A Lesmo, a Gerno, nelle zone boschive o alla Cavallera. In alcuni periodi andavano più in basso nelle marcite per la caccia ai beccaccini. Altre volte andavano oltre San Giorgio, dietro la ferrovia Molteno-Oggiono, nelle vicinanze della fabbrica dei Molteni (Qui i luoghi, ndr). Li si riempiva di cacciatori. Perché aspettavano le beccacce. Questi uccelli avevano il loro habitat nel circuito dei boschi umidi, nelle vicinanze del Parco di Monza. Però di sera si spostavano in pastura verso la Molteni. Erano attratti dagli scarti di lavorazione, buttati all'esterno dal salumificio. I cacciatori si appostavano in rigoroso silenzio all'imbrunire, quando si faceva fatica a vedere bene.

La caccia alla beccaccia era difficile per via del volo irregolare degli uccelli?
Si. Colpire una beccaccia era il massimo per un cacciatore. Era come ottenere una laurea. Tutti sparavano. Si sentiva un fragore sconnesso di fucilate. Chi era più fortunato e riusciva a colpire, comunque doveva tornare il giorno dopo con i cani a cercare le prede nel chiaro.

Era uno sport?
No. Faceva parte di usanze tramandate. La caccia era molto sentita. Un motivo per radunarsi e far parte di un gruppo.

C'erano molti uccelli allora?
Da dietro il Lambretto, a novembre quando cominciava a far freddo, arrivavano gli storni. Si vedevano voli, ora incredibili. Grandi nuvole di uccelli si spostavano dal Parco di Monza a Villa Camperio. Venivano a dormire e a mangiare per qualche giorno sui bagolari. Poi lasciavano posto ad altri. Il fenomeno durava quasi un mese.

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In questo servizio sulla Vasca Volano di Agrate, i conduttori Luigi e Fabio ci hanno detto di avere accertato la presenza di un numero maggiore di specie di uccelli rispetto al Parco: 130 specie contro 90. Come è possibile?
Il Parco di Monza, bisogna vedere, è un territorio un po' strano. Una coppia di airone nidifica. Invece di andare verso il Ticino. Per alcuni anni c'è stata abbondanza di pesci e qui ha trovato un habitat ideale. C'era la garzetta, quella bianca. La Nitticora. Ho notato un aumento del picchio verde. E' scompara la gazza, mi ricordo che qui c'era. Qualcuna si vede ancora a San Fiorano, a due chilometri dal Parco di Monza. Ma sono molti anni che non c'è più nel Parco. Probabilmente una delle cause è le presenza delle cornacchie. Lo Scurbàt, la cornacchia grigia. Continua a nidificare e probabilmente si ciba delle nidiate degli altri uccelli. E la gazza non è un santo eh! E' un corvide anche lei. Non si è mai vista la ghiandaia, un altro corvide un poco più grosso del merlo, bellissimo da vedere con le sue penne azzurre. Non c'è. Eppure qui è pieno di querce. Alcune cose non si spiegano. Ad esempio il gheppio. Ha nidificato per alcuni anni su un pioppo alto. Poi ha dovuto smettere. Perché appena si alzava in volo le cornacchie assaltavano il nido. Ha tentato inutilmente di nidificare anche nel campanile della chiesa. Essendo disturbato se ne è andato. Le taccole, altri corvidi, le trovi dove c'è l'antenna della Rai nel Parco. Ma non vengono qui a est. Invece ci sono sul Duomo di Monza. Forse nelle oasi come la Vasca Volano non si instaurano modelli di gerarchie favorevoli ad alcune specie, come probabilmente avviene nel Parco. Poi ci sono altri fattori legati al tipo di terreno che può essere più o meno favorevole agli insettivori. Sul mio balcone vengono più di una decina di insettivori.

A me piacciono tutti. Anche quelli considerati brutti o porta iella, come le civette e i gufi

Sei appassionato anche agli altri uccelli oltre che al merlo?
Eh si. Guarda. E' sufficiente mettere un pezzo di pane sul balcone e subito arriva uno Scurbàt. E una femmina. Viene qui da diversi anni. Questi uccelli sono molto intelligenti e anche longevi. Possono vivere fino a 70 anni. Sono furbi, sospettosi. Sono capaci di adattarsi. A me piacciono tutti. Anche quelli considerati brutti o porta iella, come le civette e i gufi. Una civetta si sente di sera. Vive tra Villa Camperio e il Parco. Il cuculo nidifica di solito nel Bosco Bello.

Come ha fatto a svilupparsi il lavoro tessile, piuttosto che quello agricolo qui a Villasanta?
A un certo punto la presenza delle rogge ha favorito il lavoro dei lavandai. C'è un libro. Vecchi mestieri. Edito da Bellavite. Sono stato intervistato dal giornalista che ha scritto il libro proprio in merito. Inizialmente qui eravamo quasi tutti lavandai. Anche la mia famiglia. Dopo ci siamo divisi in candeggiatori e lavandai. Lavandèe de tela e lavandèe de pagn. Noi eravamo lavandai. Nel candeggio veniva trattata la tela grezza in vasche con cloro, fino a farla diventare bianca. I lavandai, lo erano i miei genitori, si occupavano invece di fornire un semplice servizio di lavanderia ai privati che potevano concederselo. Oppure lavoravano per i ristoranti. Alcuni servivano le cliniche di Monza.

Ma perché questo lavoro non lo facevano le fabbriche?
Era un lavoro faticoso. Artigianale. Completamente manuale. Le fabbriche ancora non esistevano.

Sono state costruite in seguito?
Si. Dopo la seconda guerra mondiale. Qualcuno ha iniziato a utilizzare le macchine. Poco per volta gli artigiani si sono modernizzati, inserendo macchinari per la lavorazione delle tele. Alcuni si sono ingranditi fino a trasformarsi in aziende tessili.

C'è stata una trasformazione industriale?
Alla fine si sono formate quattro grosse aziende tessili. Quelle rimaste a carattere artigianale, lentamente hanno chiuso. C'era troppa concorrenza. I discendenti hanno cominciato a fare altri lavori. Sono rimasti ben pochi.

 

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La cascina Bergamina nel 1980

Fanno sempre lo stesso lavoro?
Si. Nobilitare la tela. Io invece a un certo punto sono diventato autista di una importante azienda meccanica, produttrice di macchine per la lavorazione del legno: la Colombo Cremona. Sono rimasto tra gli ultimi ad esercitare il mestiere, insieme ad altri che abitavano come me alla Bergamina, una cascina allora esistente tra il Lambretto e la roggia Gallarana. Poco vicino alla casa c'erano le paratie di una diramazione del Lambretto che andava al santuario di Santa Maria delle Grazie a Monza. Ad aprirle venivano puntualmente due frati. Anche questo santuario è stato importante per il mio appassionarmi alla pittura.

Perché?
Quando ero ancora un bambino, nel mese di maggio, le donne andavano al rosario e si portavano dietro anche i bambini. Si andava a piedi attraverso il Parco. A me non importava molto del rosario. Mi ero appassionato a guardare gli ex-voto esposti nella chiesa.

Di cosa trattavano?
Le persone che si erano salvate miracolosamente in episodi pericolosi oppure da incidenti, facevano realizzare da un pittore un quadro o un disegno raffigurante la scena miracolosa. Era un modo per ringraziare la Madonna per lo scampato pericolo.

Cosa ti attraeva di questi quadri?
La maggior parte delle tavole votive è stata realizzata per pochi soldi. I pittori spesso erano imbianchini o realizzavano semplici insegne. Sembrano naif. Erano dei pittori ingenui. Perché i grandi pittori lavoravano per le chiese e per i signori. Nelle chiese le pitture erano come una “televisione dei poveri”. Con i quadri era più semplice spiegare la religione ai poveretti che non avevano istruzione. Anche gli ex-voto spesso hanno il pregio di avere una semplicità espressiva, di saper raccontare. Un po' come lo erano le copertine di La Domenica del Corriere.

Sono di epoche diverse?
Ci sono immagini a partire dal '700. La maggior parte sono del'800 e arrivano fino ai primi anni del '900. Dopo è subentra la fotografia. C'erano diverse Madonne a cui si attribuivano le grazie. Da noi, oltre alla Madonna delle Grazie di Monza c'era la Santuario della Madonna del Bosco a Imbersago.

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Ex voto

Queste tavole ti hanno stimolato a dipingere?
Mi hanno dato molte emozioni. Ma non non c'è stato un seguito. Eravamo a metà degli anni '60. Poi ho fatto il militare a Piacenza e a Reggio Emilia. Qui ho conosciuto il naif , visitando le mostre tra il '66 e il '67. Era i periodo del boom. Antonio Ligabue era diventato famoso. A Gualtieri e in provincia di Reggio Emilia si formavano altri pittori naif, divenuti anche loro famosi, come Pietro Ghizzardi, Bruno Rovesti, Udo Toniato. E ancora Gino Covili e Luciano Prandini. Così ho girato e conosciuto molti pittori naif italiani.

Negli anni '70?
Il boom è stato dagli anni '60 fino agli anni '80. Mi ricordo di un quadro che era quotato come una Fiat 128. Adesso potrebbe valere intorno a 200 Euro. C'è stata indubbiamente una speculazione. Dopo il filmato realizzato per la Rai da Salvatore Nocita, Ligabue è stato forse un poco sopravvalutato. Comunque ho conosciuto tanti pittori. Alcuni sono diventati famosi e hanno fatto tanti soldi. Tra loro c'erano quelli bravi, quelli meno bravi e quelli che ci sanno fare. Da quel periodo ho cominciato a collezionare cataloghi e libri.

Comincia a prendere e sfogliare alcuni dei i numerosi libri. La libreria ricopre l'intera parete della stanza. Sono proprio tanti. Possiamo vederne solo alcuni. Ci sono raccolte di tavole votive, tutti i pittori naif italiani e croati. Anche polacchi e di altri paesi. Apre le tavole di Gino Covili e poi di Nerone, Sergio Terzi.

E' uno dei più famosi?
Forse meno degli altri. Era l'autista di Ligabue a Luzzara. La sua sventura è diventata fortuna. E' stato alcolizzato e soffriva di delirium tremens. Dipingeva figure mostruose. Ora ha smesso di bere e lavora con i giapponesi. Produce quadri di figure astratte.

Questi pittori li hai frequentatiLi ho conosciuti e mi sono appassionato della loro pittura. Non ho conosciuto Ligabue.

Erano tutti in Emilia?
Grosso modo. Si può dire bassa padana. Gualtieri, Guastalla, Suzzara, Luzzara. Tutta la zona dietro il Po. La pittura naif ha preso piede per la presenza di Ligabue. Quando è diventato famoso, molti della zona hanno cominciato a dipingere naif. Così è diventato il territorio di eccellenza del naif italiano. Infine c'è stato il contributo del regista neorealista italiano Cesare Zavattini, anche lui nativo di Luzzara. Aveva creato un museo naif. Nel 2002 il museo è stato trasformato dal Comune di Luzzara in Fondazione Paese. il territorio si è gradualmente arricchito culturalmente e ha acquisito il ruolo propulsore di centro del naif.

Ho cominciato a dipingere d'istinto nel '77. Mi venivano spontaneamente quadri naif

Quando hai cominciato a dipingere?
Fino al 1974, quando andava molto in voga il naif dell'Emilia, di cui parlavo prima, sono stato solo un fruitore. In seguito mi è capitato per caso, di vedere a Milano una bellissima mostra a Palazzo Reale di pittori naif della Croazia. C'erano esposti i vetri. Appena li ho visti mi sono detto: questo è il mio mondo! Per me, che sono nato tra i campi e le rogge, in mezzo alla natura, alle piante e agli animali da cortile, era naturale identificarsi. Ho cominciato a dipingere d'istinto nel '77. Mi venivano spontaneamente quadri naif.

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Hlebine, Croazia

Ti riconoscevi nel tipo di paesaggio dipinto dai croati?
Non tanto nel paesaggio. La pittura dei croati nasce dalla loro condizione di contadini. Chi li ha impostati li ha anche spinti a dipingere quel che essi erano. A rappresentare la realtà del mondo dei contadini. Del loro mondo. Infatti i quadri sono inerenti alla natura, alle stagioni, al lavoro nei campi, alla vita nei villaggi. Questo era anche il mondo della mia infanzia.

Tutto ebbe inizio negli anni trenta, quando le idee di Krsto Hegedušić si concretizzarono in una protesta sociale dei giovani di Hlebine

Chi li ha impostati?
Krsto Hegedušić, un pittore accademico croato. Tutto ebbe inizio negli anni trenta, quando le idee di Krsto Hegedušić si concretizzarono in una protesta sociale dei giovani di Hlebine, villaggio situato nella grande pianura della regione della Podravina e circonda la Drava, affluente del Danubio.

La pittura è legata alla protesta?
I contadini pittori utilizzarono la pittura come forma di protesta all'ingiustizia sociale dell'epoca. Oltre a Mirko Virius gli altri due capifila della scuola erano Ivan Generalic e Franjo Mraz, che Krsto Hegedušić conobbe e aiutò. Ma in seguito diverranno famosi i discendenti fino alla terza generazione di Generalic: suo figlio Josip e il figlio dello stesso Josip, Goran, nipote di Ivan. Prima mi interessavo soltanto, poi a 30 anni ho cominciato a dipingere. Nel 1980 ho comprato il primo libro edito dalla Mondadori. Fino ad allora in italiano non c'era nulla. Nel 1986 sono andato a Hlebine, li ho conosciuti e mi sono amalgamato con loro.

La particolare tecnica di pittura croata su vetro discende anche dall'arte sacra delle icone?
Le icone della religione ortodossa ricorrono soprattutto in Russia, Romania e Bulgaria. E' una scuola precisa. Bisogna imparare varie tecniche e richiede corsi particolari. Inoltre le immagine sono riprodotte rigorosamente secondo la tradizione. I croati facevano già lavori su vetro, anche con immagini religiose, con un vago riferimento al lavoro delle icone. E' stato Krsto Hegedušić, come dicevo prima, a farli specializzare sui contenuti della vita contadina. Lui era nato a Hlebine e insegnava a Zagabria. Tornava in estate a trovare i genitori. Durante le permanenze stava a contatto con i contadini. La sua arte aveva un'impostazione politica di realismo sociale. Gli ha portato anche problemi di persecuzione politica.

Per quale motivo?
Per via dei suoi dipinti. Alcuni ritraevano scene con pestaggi di cittadini ad opera dei soldati. E' lui che ha persuaso i contadini con la famosa frase: voi dovete dipingere quello che siete. Ho un catalogo delle sue opere, fatto dal Comune di Bologna nel 1973. Krsto Hegedušić ha suscitato grande fama per i pittori. Finché a un certo punto c'è stato l'interesse del Maresciallo Tito. Voleva che i pittori facessero opere sul modello del Realismo Socialista della Russia. Allora, per non acconsentire, il gruppo si sciolse. L'intendimento di Krsto Hegedušić era di ben altra natura. Tuttavia a me piace moltissimo anche il realismo socialista. Ci sono dei dipinti di questo genere a dir poco stupendi!

Poi i pittori hanno continuato?
Si. La seconda e ora la terza e la quarta generazione si sono riprese il campo. Ora si sono ammodernati. Si sono messi in gruppo. Hanno costituito un'associazione naif, dove sono iscritti anche i giovani. Alcuni sono davvero bravi, altri un po' meno. Tuttavia questa particolare cultura nel tempo ha ripreso vigore.

Ho cominciato ad andare nell'ex Jugoslavia quando c'era ancora Tito

Sei stato più volte i Croazia?
Si. Ho cominciato ad andare nell'ex Jugoslavia quando c'era ancora Tito. Il naif è fatto anche da serbi e da sloveni. Sono stato a Trebnje, cittadina della Slovenia dove c'è un museo. Qui si tiene una manifestazione di artisti autodidatti. A chi partecipa viene offerto il soggiorno gratuito, a condizione di lasciar in dono il dipinto al museo. Queste manifestazioni riescono a creare interesse. Incentivando la cultura del naif, sono efficaci a rendere attrattivo il territorio.

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Hai conosciuto i pittori?
Con il tempo si è creato un rapporto di amicizia con alcuni. Sono stato anche in altri luoghi simili alla Croazia. Per esempio a Humenné in Slovacchia. Quando vado porto il vino italiano. E' molto gardito, assieme al formaggio: in Slovacchia il gorgonzola, mentre in Francia vanno matti per il parmigiano. Tra i pittori a volte si fanno scambi di quadri. Tra gli altri ho conosciuto Mijo Kovacic, un grande maestro. (Mi fa vedere alcune opere di Mijo Kovacic, ndr.)

Ricorda vagamente la pittura fiamminga di Hieronymus Bosch.
Più che di Bosch, quella di Bruguel. Tuttavia Mijo Kovacic non aveva mai visto nulla di Bruguel il Vecchio. La sua pittura è spontanea.

Quando sono nati i primi quadri
Negli anni '80. Dopo che ho cominciato a dipingere, mi sono iscritto al Circolo Amici dell'Arte di Villasanta. Ho partecipato alle mostre di gruppo. Sono diventato poco alla volta noto nel panorama naif. Per diverso tempo mi sono legato anima e corpo alla pittura di Hlebine. Ho studiato e letto libri. Ho collezionato cataloghi e scambiato quadri con altri pittori. Questo è stato ed è ancora il mio grande interesse: seguire l'arte naif. Negli anni successivi ho studiato anche la tradizione francese.

Il naif moderno è nato in Francia. Henri Rousseau il Doganiere è stato il primo pittore

Perché proprio quella Francese?
Il naif moderno è nato in Francia. Henri Rousseau il Doganiere è stato il primo pittore. Lo avevano introdotto nelle loro mostre gli impressionisti. Per provocare i critici d'arte che avevano da ridire sulla pittura impressionista. Esponendo quadri di pittura primitiva, puntavano a provocarli, a farli arrabbiare al massimo. Da allora è nato il naif moderno. I pittori della domenica, li chiamavano.

Perché?
Era un arte ingenua. Fatta da autodidatti. Senza la frequentazione di alcuna scuola.

Ma con il tempo non si perde l'ingenuità?
La freschezza si perde dopo sei o sette quadri. Se si ha un metodo di acquisizione forte, si perde rapidamente la freschezza ingenua. Alla fine si imparano le tecniche e la pittura può diventare un mestiere. Per la critica l'arte naif è quella che non acquisisce tecnica. Sono considerati pittori naif solo quelli che non acquisiscono alcuna tecnica e restano primitivi. Anche dopo dieci anni.

Quindi, per questi canoni, non sei considerato un naif?
I critici considerano naif solo gli ingenui primitivi. Ma spesso, quando mi capita di parlare con loro, gli rivolgo alcune considerazioni: dopo trent'anni che dipingo ho imparato le tecniche, posso dipingere come voglio, volendo posso fare quadri iperrealisti. Posso sbagliare la prima volta. Ma dopo riesco dipingere perfettamente in generi diversi. Se dipingo ancora gli ometti, vuol dire che questa espressività ce l'ho dentro. Allora voi dovete guardare il senso. Il contenuto dei quadri. Quello che voglio esprimere.

La pittura di Marc Chagal non potrebbe essere considerata naif?
Si. E' naif. Attinge dalla religione e la mescola con le leggende e i sogni. Chagal è un vero artista. Lo dico sempre quando mi chiamano artista: non sono un artista, sono un pittore! L'artista è quello che crea. Chagal era un creatore.

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L'arte Naif di Giovanni Rossi

 

 

Gli autori di Vorrei
Pino Timpani

"Scrivere non ha niente a che vedere con significare, ma con misurare territori, cartografare contrade a venire." (Gilles Deleuze & Felix Guattari: Rizoma, Mille piani - 1980)
Pur essendo nato in Calabria, fui trapiantato a Monza nel 1968 e qui brianzolato nel corso di molti anni. Sono impegnato in politica e nell'associazionismo ambientalista brianzolo, presidente dell'Associazione per i Parchi del Vimercatese e dell' Associazione Culturale Vorrei. Ho lavorato dal 1979 fino al 2014 alla Delchi di Villasanta, industria manifatturiera fondata nel 1908 e acquistata dalla multinazionale Carrier nel 1984 (Orwell qui non c'entra nulla). Nell'adolescenza, in gioventù e poi nell'età adulta, sono stato appassionato cultore della letteratura di Italo Calvino e di James Ballard.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.