La rivista che vorrei

Considerazioni finali sugli esiti e sugli aspetti tecnici dell'edizione appena trascorsa di PoesiaPresente, che per la prima volta ha concentrato in pochi giorni gli eventi che interessavano il capoluogo brianteo

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iverso, e forse per questo più stimolante. La sesta edizione della rassegna PoesiaPresente si segnala per la volontà sperimentatrice che ha contraddistinto le scelte messe in atto dagli organizzatori. Riproponendo il solito riuscitissimo connubio fra volti nuovi, ospiti illustri e storici collaboratori, la rassegna ha dato l'immagine di una manifestazione consolidata, che ha mostrato i frutti ormai maturi dei diversi progetti a cui i vari collaboratori danno vita ("La poesia salva l'anima" di Silvia Monti, "Leggere con cura" di Patrizia Gioia, Fabiano Alborghetti e Ivan Sirtori), in larga autonomia ma anche in perfetta sintonia. Come un uccello che saggia le ali per capire fin dove potrà spingersi con le prossime sortite. L'esito è stato senza dubbio incoraggiante: PoesiaPresente sta dismettendo la pelle del piacevole "di più" per entrare nella fase più difficile, quella della conferma, nella speranza che diventi il grande evento di poesia che renda Monza fiore all'occhiello su una scala un po' più che locale. Ne abbiamo parlato con Simona Cesana ed Enrico Roveris. La prima, presidente dell'associazione che ogni anno mette in piedi la stagione poetica, ci ha esposto le valutazioni sugli esiti del festival, mentre il secondo, fondatore dell'Associazione e responsabile della messa in scena degli eventi, ci racconta di aspetti tecnici e del rapporto tra Poesia e Teatro.

Moni Ovadia che al teatro Binario 7 ha inaugurato l'edizione 2012 di PoesiaPresente


 In tre giorni non vi siete fatti mancare niente, tra poetry slam, videopoesia, concerti: qual è la forma migliore per avvicinare il pubblico alla poesia?
Al di là del poetry slam, la forma più riconosciuta, anche il concerto di poesia ha funzionato bene. Penso soprattutto a "Razza partigiana" di Wu Ming, nonostante il suo lavoro sia più orientato verso la narrazione che verso la poesia in senso stretto. Dal mio punto di vista sono stati però forse più efficaci gli incontri poetici nelle scuole. Ognuna delle tre mattine, circa un'ottantina di ragazzi hanno potuto parlare e confrontarsi con un poeta, guardarne da vicino il lavoro, potercisi anche identificare, e rendersi conto di poter condividere molto con lui. Le scuole coinvolte sono state l'Hensemberger, l'Istituto d'Arte e il Frisi. A colpirmi sono stati soprattutto gli insegnanti: da un lato quelli coinvolti, che hanno partecipato con entusiasmo, ma dall'altro anche quelli scettici all'inizio, magari di materie tecniche, che dovevano presenziare perché era la loro ora quella da passare con il poeta. Alla fine anche loro si sono ricreduti, si sono convinti che ne è valsa la pena. In particolare una professoressa dell'Hensemberger ha dimostrato una disponibilità totale e ci ha facilitato tutti i passaggi burocratici del caso. Senza persone come lei far entrare la poesia nelle scuole sarebbe impossibile. Ed è invece l'attività più importante, perché se su ottanta ragazzi ne colpisci dieci hai davvero fatto centro, pensando soprattutto in prospettiva, a lungo termine. È dai ragazzi e dai bambini che ottieni una consapevolezza e un'adesione immediate, che magari in un adulto non riusciresti più a risvegliare.

La formula del festival vi ha soddisfatto? Che bilancio avete tracciato come associazione?
Siamo soddisfatti perchè ci ha dato modo di sperimentare cose diverse e metterle in relazione. Ci ha dato modo di dare una presenza continuata in città di artisti stranieri che hanno potuto interagire tutto il giorno con il pubblico. C'è stato anche il caso di alcune persone venute da fuori apposta per seguire il festival, cosa che ci ha inorgoglito: in particolare una ricercatrice universitaria polacca, specializzata in italianistica. Anche la camminata è stata un bella idea: mi è piaciuta l'atmosfera rilassata, le persone che camminando parlavano tra di loro, accomunate dal semplice fatto di essere lì e dalla poesia. Unico neo, il fatto che qualcuno sarebbe dovuto venire per aprire lo skate park, di cui per accordo telefonico era stato concesso l'utilizzo da parte del responsabile, e invece non si è fatto vedere nessuno. Abbiamo comunque deciso di non saltare la tappa, anche se si è trattato di un disguido fastidioso.

Far entrare la poesia nelle scuole è l'attività più importante, perché se su ottanta ragazzi ne colpisci dieci hai davvero fatto centro, pensando soprattutto in prospettiva, a lungo termine

Secondo voi, con l'edizione 2012 si sono fatti passi avanti nella creazione di quella famosa rete che dovrebbe unire le realtà che fanno cultura sul territorio?
In generale siamo stati contenti della collaborazione offerta da realtà come la vostra rivista, AreaOdeon, il Centro donne maltrattate. È difficile, però, creare una rete stabile attorno a noi, un'associazione che veicola la poesia. Non so se è scetticismo, ma credo che agli occhi degli altri non siamo molto interessanti, non suscitiamo sempre un vero impegno quando proponiamo una collaborazione, salvo alcuni casi. È complicato trovare soggetti che abbiano davvero tempo voglia e passione.

Quali impressioni avete ricavato dal gemellaggio con la Svizzera?
Ecco, sul discorso di creare una rete: con loro invece tutto ha funzionato alla grande. Forse è più un ponte che una rete, fatto sta che in Svizzera siamo in contatto con più di una realtà con cui l'interazione è spontanea e produttiva. Non so se è perché lì abbiamo incontrato le persone giuste.

 

Simona Cesana


Forse in Ticino c'è un tessuto diverso in cui muoversi?
Sicuramente. Il nostro è un problema italiano. Lì agisce la Pro Helvezia, la fondazione svizzera per la cultura, che finanzia tutti i progetti culturali. I poeti elvetici che sono venuti da noi hanno avuto buona parte delle loro spese coperte da questa fondazione, grazie anche all'azione e al lavoro di Fabiano Alborghetti, che cura il progetto "Leggere con cura" a Lugano. Il principio è che se un artista viene invitato all'estero lo stato l'aiuta ad andarci, perché è un lustro. Oltretutto in Ticino godiamo di un riconoscimento ancora maggiore di quello che abbiamo in Italia, tant'è che la risposta positiva dalla Pro Helvezia per i finanziamenti è arrivata quasi subito. La stampa lì è molto attenta: per questo festival abbiamo avuto più titoli sui giornali ticinesi che su quelli brianzoli, e non parlo di trafiletti, ma di interviste e articoli lunghi e dettagliati.

È l'azione concreta di chi partecipa che arriva diritta alla poesia

Quest'anno si doveva puntare "diritto alla poesia": ci si è arrivati con questo festival?
Secondo me sì, soprattutto con il coinvolgimento degli adolescenti, grazie alle attività nelle scuole. Anche la mostra di Simone Casetta non va sottovalutata, perché il progetto un po' folle di mappare i ritratti di centocinquanta poeti italiani un giorno sarà utile a qualcuno. Folle, sì, dunque ma poetico. Proprio come PoesiaPresente. D'altronde è l'azione concreta di chi partecipa che arriva diritta alla poesia.

 

Enrico Roveris e il lavoro teatrale in PoesiaPresente

In cosa è consistito esattamente il lavoro di regia per un festival poetico?

Innanzitutto risulta fondamentale il lavoro di costruzione delle serate svolto nei mesi precedenti insieme ai Direttori Artistici (Fabiano Alborghetti e Dome Bulfaro) e la squadra di PoesiaPresente, periodo nel quale si individuano le tematiche, gli artisti e le specifiche tecniche da affrontare. Più che un lavoro di Regia si tratta di una “mise en space” delle diverse performance che vengono scelte per il Festival.

La difficoltà di costruire gli interventi nella “Tre Giorni” che si svolge in una sala teatrale, consiste nel saper dare “organicità” e fluidità alle performance ospitate. Molte volte si collabora con artisti che si conoscono la sera stessa dello spettacolo, dovendo poi risolvere aspetti tecnici e di messinscena in brevissimo tempo; spesso una scheda tecnica o un video su Youtube non chiarisce totalmente elementi fondanti l’azione poetica.

La mia formazione da teatrante, poi, mi “costringe” a chiedere ai poeti di utilizzare grammatiche d’attore: adattamento della propria azione in un allestimento preesistente, movimenti precisi sulla scena per i “raccordi”, appuntamenti da rispettare su cambi luce e audio e attenzione alle performance altrui. Tutto questo rapidamente e rimanendo a servizio dell’artista e “dell’ombrello tematico” della serata.

Come all'attore, chiedo al poeta di essere tramite fra racconto e pubblico. Il poeta invece più spesso si mette nella condizione di dire il Suo Verso e poi aspettarsi di essere compreso. Ovviamente questa è un’ opinione del tutto discutibile ma frutto di una sensibilità maturata in questi sei anni di PoesiaPresente. Ho apprezzato in passato poeti come Regie Gibson, Franco Buffoni o Franco Loi, diversissimi fra loro, ma abituati a raccontare e a raccontarsi con un talento da affabulatori e una presenza sulla scena di una rara forza. Apprezzo ancora di più quegli autori che hanno sentito il bisogno di completare la loro formazione di performer, studiando il lavoro dell’attore come ad esempio Ida Travi. Faccio più fatica a comprendere alcuni giovani che mi appaiono sibillini per quanto magari il lavoro concettuale sia di livello ma a mio avviso, si pongono con modalità comunicative non compatibili con il palco, sovraccariche di strutture intellettualistiche. In alcuni casi è imperizia o ingenuità, in altri è una vera scelta poetica.

Come si riesce a lavorare con tanti artisti così diversi e allestire un palco che valorizzi la ricerca di ciascuno?

Con una battuta….Per riuscirci davvero, come minimo, gli artisti dovrebbero prendersi tre giorni di vacanza a Monza e chiudersi in Teatro per fare delle ore di prova affinchè si possa dare un aspetto più completo e sicuro all'esibizione. Un aspetto più fruibile e perché no, più comprensibile per il pubblico, soprattutto se si tratta di collaborazioni tra performers che si contaminano per la prima volta. E’ chiaro che il mio “sogno” è quello di applicare i meccanismi produttivi del Teatro ai processi di costruzione della performance poetica qualora ovviamente il Testo Poetico necessiti di una teatralizzazione. Se Teatro e Poesia devono andare a braccetto allora diviene neccessaria una collaborazione più fitta, una fusione delle due grammatiche, una disponibilità reciproca alla “sbozzatura”.

Ospitandola in teatro, sul palco, è possibile avvicinare la poesia al pubblico?

Se parlo delle produzioni Millegru che ho costruito con Dome Bulfaro, da Milano Ictus al primo studio di Senza Bagaglio presentato al Festival, la risposta è più che positiva. Grazie al lavoro di prova costante abbiamo consegnato all’azione scenica il Verso arrivando ad un risultato di maggiore forza evocativa e comunicativa che il pubblico ha sicuramente compreso e condiviso; abbiamo tentato di creare un rapporto più saldo tra opera poetica e spettatori. Il Teatro è una meravigliosa Macchina che tutto contiene e che, oltre a raccontare dei mondi, può amplificare in maniera dirompente il richiamo del Poeta. Per concludere, il Festival 2012 ci ha regalato enormi gioie. Cambiare la formula e concentrare gli eventi in pochi giorni credo abbia sicuramente avvicinato più persone alla poesia. E il palcoscenico del Binario7 è stato la naturale cassa di risonanza della parola poetica. Mai come in questa edizione si sono avvicendati autori straordinari, ricchi di visioni e stimoli per il futuro.

 

Gli autori di Vorrei
Simone Camassa
Simone Camassa

Nato a Brindisi il 7 maggio del 1985. Insegnante di Italiano, Storia e Geografia nella scuola pubblica, si è laureato in Lettere, in Culture e Linguaggi per la Comunicazione e in Lettere Moderne, sempre all'Università degli studi di Milano. Suona la chitarra elettrica (ha militato in due gruppi rock, LUST WAVE e BLACK MAMBA) e scrive poesie.

Appassionato di sport, ha praticato il nuoto a livello agonistico fino ai diciotto anni, per un anno ha anche giocato a pallacanestro. Di recente, è tornato al cloro.
È innamorato della letteratura in tutti i suoi aspetti, dalla poesia fino al fumetto supereroistico statunitense. Sogna di realizzare un supercolossal hollywoodiano della Divina Commedia, ovviamente in forma di trilogia e abbondando con gli effetti speciali.

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