Il Museo d'Arte Contemporanea di Lissone: dalla ricerca pittorica alle tentazioni della materia, nel solco di una tradizione  rinnovata.

L'indagine sui luoghi della cultura messa in campo da questo dossier è anche – necessariamente – un inchiesta sul rapporto tra i luoghi e la cultura che questi esprimono. Il Museo d'Arte Contemporanea di Lissone è un ottimo esempio di come radici territoriali e tradizioni artistiche possano fondersi e fecondarsi a vicenda.

L'edificio attuale è stato realizzato nel 2000, su progetto del Comune, nell'ambito di un programma di riqualificazione dell'area intorno alla stazione ferroviaria. Una zona di transito, un luogo di passaggio, simile a quelli che l'antropologo Marc Augè chiama i non-luoghi della post-modernità urbana.

Eppure, e proprio a partire dalla struttura, questo museo rigetta l'idea di luogo senza identità e senza storia. Il corpo originario, primo-novecentesco, viene inglobato nella nuova costruzione. Un primo segno di quella relazionalità tra ambiti distinti che costituisce – lo vedremo – la cifra più significativa di questa proposta culturale. Articolato su quattro piani, il percorso espositivo alterna infatti spazi curvilinei ad ampie vetrate che affacciano sull'esterno. Al pianterreno, l'apertura di queste vetrate offre la possibilità di sciogliere la distinzione funzionale tra le sale e il giardino all'interno di un unica pianta continua: quell'idea di congiunzione, di relazionalità cui si accennava poco sopra si propone insomma come costante formale del Museo, fin dalla sua radice architettonica.

Ma c'è di più. Il piano interrato dell'edificio ospita la collezione permanente: sono le opere vincitrici di più di vent'anni di edizioni del cosiddetto Premio Lissone storico. Fondato all'indomani della guerra ad opera della Famiglia Artistica Lissonese, il Premio – riservato alla pittura italiana fino al 1952, poi aperto ad artisti europei – cresce negli anni Cinquanta e Sessanta fino a raggiungere un notevole prestigio nazionale. All'epoca delle ultime edizioni, per intenderci, il concorso è paragonato per importanza alla Biennale veneziana.

 

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L'esposizione attuale del piano interrato articola un percorso visivo compatto e suggestivo, che attraversa l'informale europea nel segno della sperimentazione materica e della messa in questione dei canoni linguistici della pittura. E' proprio nello sviluppo di questa ricerca che cogliamo l'ennesimo ritorno dell'idea che stiamo inseguendo: cos'è il superamento della tela, della superficie-quadro verso lo spazio solido, se non il tentativo di sondare la possibilità di un collegamento tra due universi apparentemente distinti?

A questo punto conviene tornare indietro e riflettere sulla matrice di tutto questo. Lissone è un borgo le cui origini medievali risultano da sempre intrecciate all'artigianato e alla manifattura. Dalla fine del Settecento a quella dell'Ottocento le botteghe di falegnameria si affermano fino a ottenere fama internazionale nel settore del mobile e dell'arredamento. Di qui alla grande stagione del design italiano (e milanese) il passo è breve, e segna un legame tra il borgo brianzolo e la grande città che dobbiamo tenere a mente.

Non è forse un caso, infatti, se l'ultima edizione del Premio sia stata anche l'unica aperta alla scultura. Dopo due decenni di attenzione alle avanguardie pittoriche, il Premio Lissone si aprì alla considerazione dello spazio solido giusto sulla soglia della contestazione sessantottina, destinata a segnare una momentanea frattura nella sua storia – come peraltro in quella della Mostra d'Arte (Cinematografica) di Venezia, altro luogo cruciale di ricerca sull'immagine.

La mostra dedicata ad Alberto Ghinzani – inaugurata lo scorso 20 settembre e programmata fino al 1 novembre – si riallaccia a quella temperie e ricostruisce il percorso di uno scultore, formatosi a Brera e transitato per il Premio lissonese proprio in quell'ultima edizione, nel 1967. Lissone e Milano, di nuovo legati: nella biografia dell'artista così come in questa sua mostra, pensata in termini unitari ma fisicamente divisa tra la Fondazione Stelline e il museo lissonese.

 

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Ora, la matrice storico-culturale che abbiamo cercato di inquadrare ci mette nella condizione di descrivere una sorta di doppia convergenza brianzolo-milanese: da un lato, la tradizione artigiana-manifatturiera si connota esteticamente nel design inteso come arte applicata, dall'altro, la ricerca sulle avanguardie pittoriche inaugurata nel dopoguerra lissonese culmina – dopo aver testimoniato delle tentazioni materiche della pittura stessa – nell'apertura alla scultura e allo spazio.

Oggi, dopo più di trent'anni, il nuovo corso del Premio Lissone ha ripreso dal 2001 le fila della sua ricerca pittorica, ma ogni anno si alterna con il neonato Premio Lissone Design, come a sancire l'avvenuta presa d'atto di un connubio profondo, che in questa terra trova radici e prospettive.

Lo stesso direttore artistico del Museo, Luigi Cavadini, ci testimonia di questo legame. «Non credo a qualcosa come un'impronta territoriale nell'opera degli artisti di cui ci siamo occupati come museo – racconta – Il senso delle esposizioni che abbiamo realizzato in questi anni sta piuttosto nella volontà di documentare dei percorsi che, attraverso Lissone e attraverso il Premio Lissone storico, sono arrivati a traguardi importanti, come Tapies, Schifano, Meloni, fino a riconoscimenti di livello internazionale. D'altro canto, l'idea del Premio Lissone Design, che ho voluto personalmente, deriva dalla volontà di fare qualcosa da parte di un'istituzione artistica per aiutare l'industria in questo momento di crisi, così come negli anni difficili del dopoguerra il capitale brianzolo si era impegnato aiutare il mondo dell'arte con l'istituzione del Premio.»

Ormai tutte le carte sono sul tavolo: torniamo a Ghinzani e proviamo a chiudere il cerchio. Lo scultore, allievo di Marino Marini all'Accademia di Brera, transitò – come abbiamo visto – per il Premio lissonese, e nella cittadina brianzola ebbe a risiedere e lavorare per diversi anni. Bastarebbe questo a giustificare l'attenzione del museo, secondo la linea indicataci da Cavadini.

Eppure, è difficile resistere alla tentazione di tracciare un ultimo parallelo. Certo, l'arte di Ghinzani è ben lontana dal design, ma è significativo che l'artista ne reclami la legittima collocazione nello spazio quotidiano, nella dimensione continua dell'esperienza umana, lontano da ogni logica monumentale o retorica.

 

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E in effetti, in queste strutture di lamiera dipinta, a tornare in modo ossessivo è il motivo della messa in scena dell'assenza: il pertugio, la cornice, la casa vuota, il teatro deserto. La materia di queste sculture si offre in una sorta di rigore, di nudità strutturale. E' il rigore del tempo meccanico, l'esattezza vuota delle cose. Ma – contemporaneamente – questa scultura si manifesta come un'attesa, un vuoto-da-riempire. Basta immaginare queste opere nelle collocazioni quotidiane cui le ha destinate l'autore per intuirne il motivo: è l'esperienza dell'uomo che esse attendono, è il suo agire in relazione con gli spazi e le forme a dotare queste ultime di senso, a occupare i luoghi della messinscena. Come a ribadire – ancora una volta – la necessità dell'arte di aprirsi alla durata del vissuto, ai suoi compromessi e alle sue imperfezioni.

 

Museo d'arte contemporanea Lissone Viale Padania n. 6
Orario: martedì - mercoledì - venerdì 15.00-19.00 - giovedì 15.00-23.00
sabato e domenica 10.00-12.00/15.00-19.00   (chiuso lunedì)

ALBERTO GHINZANI sculture
dal 20 settembre al 1 novembre 2009
Ingresso libero

Gli autori di Vorrei
Pasquale Cicchetti