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Nei giorni scorsi a Monza è giunta la croce ricavata dal legno dei barconi dei migranti. La testimonianza di Pietro Bartolo, il medico che da decenni accoglie e cura i disperati

Nei giorni del passaggio molto pubblicizzato della “Mille Miglia”, un  ben diverso passaggio è avvenuto silenziosamente a Monza: è passata “La croce di Lampedusa” una  grande croce di legno, realizzata dal falegname Franco Tuccio e fatta con le travi di legno dei barconi carichi di disperati approdati sull'isola. Croce  divenuta un simbolo dell’esodo dei migranti.  Ad accompagnarla  Pietro Bartolo, il medico dell’isola, uno dei “protagonisti” di “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi.

Il dottor Bartolo ha portato la sua emozionante testimonianza, all’interno del convegno promosso dalla Cisl Brianza nella quale è intervenuta anche Patrizia Toia, europarlamentare.

Difficile se non impossibile trasmettere il vissuto raccontato da Bartolo sulla sua esperienza in questi 25 anni come medico dei migranti. Ci proviamo riportando i passaggi più importanti

1991: «Quella prima volta io c’ero. Io e tre carabinieri» racconta il medico. Una barchetta di legno con tre tunisini attraccò al porto vecchio, quello dei pescatori, dove c’è una spiaggetta con bellissime palme. «La cosa destò scalpore, la gente gridava “arrivano li turchi”, perché, sa, qua è rimasta ancora questo modo di dire antico»,  Ma i tre forse avevano ancora più paura degli abitanti dell’isola, visto che si rifugiarono in un albergo in costruzione. Li ritrovarono la mattina i muratori e loro scapparono per le campagne brulle dell’isola, tra i cespugli di timo e i fichi d’india”

Da quell’anno in un isola di poco più di 5 mila abitanti, di migranti in cerca di salvezza dalla fame e dalle guerre ne sono arrivati più di 300 mila.

Oggi sono solo 3 medici ad occuparsi di loro: nel primo soccorso quando arrivano disidratati o in ipotermia o con ustioni dovute alle sostanze chimiche presenti nella taniche di benzina dei gommoni; sono loro a dover esaminare le centinaia di cadaveri restituiti dal mare.

A sostenerli in questa immane fatica il piccolo popolo lampedusano, che senza lamento, si fa in quattro per distribuire pane e acqua ad ogni arrivo ed  esce con le proprie barche da pesca quando arriva notizia dell’ennesimo naufragio.

Arrivano dal Niger, dall’Eritrea, dal Crono d’Africa, dalla Somalia, dalla Siria dopo mesi di cammino nel deserto e quando arrivano in Libia ad “accoglierli” sono container a 40 gradi all’ombra, ci sono torture, sevizie, violenze sulle donne, trattati non come uomini ma animali… bloccati per altri mesi e poi i trafficanti li fan partire ammassati in precari gommoni, perché sanno che a raccoglierli saranno le navi di Frontex.

 

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Si favoleggia molto che queste persone portino da noi malattie infettive, ma così non è; che sono migliaia con la scabbia e in realtà lo sono meno della media italiana e vengono isolati e curati subito.

«Appena arrivano scatta il protocollo di intervento che abbiamo messo a punto con il Ministero della Salute e la Regione, io stesso faccio parte del tavolo tecnico». Si può parlare ormai di un “modello Lampedusa” creato in collaborazione con i Carabinieri, la Guardia di finanza e la Capitaneria di porto e partito proprio dal 2011. «Una volta arrivati li visitiamo subito, quelli che stanno male li portiamo al pronto soccorso, se hanno bisogno di cure speciali li trasportiamo in terra ferma, abbiamo delle convenzioni con gli ospedali della Sicilia per cui non ci sono problemi di liste di attesa», continua il medico. Rispetto al 2011, quando i migranti erano quasi tutti giovani uomini, negli anni successivi arrivano sempre più donne e bambini.

Un episodio tra i tanti raccontati da Bartolo che  non lo si può dimenticare: «all’alba del 3 ottobre 2013: un naufragio con  368 morti a poche centinaia di metri dall’Isola di conigli… “cambia tutto”: Lampedusa si ritrova proiettata nell’Europa dei “buoni” sentimenti e assiste alle processioni di leader di fronte alle bare allineate. Ma in realtà qualcosa cambia solo con l’operazione Mare Nostrum, durata però troppo poco per lasciare solo Frontex e i muri di alcuni paesi europei».

E tanti tanti episodi di vita vissuta: di quel giorno che nell’esaminare i cadaveri si trovò a sentire un flebile battito di una giovane ragazza poi riportata in vita; di quella donna incinta che ruppe le acque mentre stava sbarcando, un parto difficile ma nacque una bellissima bambina. Come anche quella madre trovata cadavere con il corpicino ancora attaccato al cordone ombelicale e poi sepolti insieme.

Oltre al lucido racconto dell’esperienza di medico a Lampedusa la cosa che più mi ha colpito è stata la persona. Ci ha trasmesso nel contempo dolore e speranza, dura critica e proposta con passione, lucidità e umiltà. Uno dei tanti “eroi minori” che non fanno notizia ma che con i fatti testimoniano che un mondo diverso è possibile.