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Il tradizionale piatto con cime di rapa e le vibrazioni di colore delle opere del pittore lettone

Talvolta, passato e presente possono entrare in contatto per creare nuovi scenari che non sempre sono condivisibili, anche se forse solo in un primo momento.

Si sa che quando qualcuno parla di Puglia vengono fuori i classici luoghi comuni, tra i quali è immancabile l’accostamento orecchiette e cime di rapa. Che piaccia o no, io credo che esso sia un piatto straordinario, che arricchisce le tavole dall’autunno alla primavera.

Negli scorsi mesi, la mancanza di questo piatto mi ha spinto a sperimentarlo fuori dai confini regionali di mia appartenenza, la Puglia appunto. Quando l’ho proposto ad un mio amico vogherese e alla sua fidanzata torinese mi aspettavo una arricciata di naso, ma non è andata così.

Va da sé che le materie prime (verdura e orecchiette) mi sono state spedite dalle Murge, dove il mio esercito di famiglia organizza nell’immediato spedizioni alimentari dietro ogni mia eventuale richiesta (lascio all’immaginazione del lettore le quantità “misere” che giungono in Lombardia).

Tornando all’esperimento culinario, i miei amici rimasero incantati dalla cottura delle verdure, perché non immaginavano che le orecchiette si cucinassero nella stessa acqua delle cime di rapa.

Dopo la versione tradizionale però, il mio impeto creativo mi spinse ad osare con l’aggiunta di pancetta soffritta su uno dei tre piatti. E tanto per completare, ci aggiunsi un po’ di curcuma e pepe.

La foto che documenta questo “oltraggio” alla tradizione credo sia davvero piacevole alla vista, oltre che al palato. Mia nonna non è stata informata su questo mio gesto, ma probabilmente non avrebbe apprezzato. E qui può aprirsi un lungo dibattito tra i conservatori e gli innovatori del regno della cucina.

Intanto confesso che il mio occhio si sta allenando sempre più ad associare i colori del cibo alla grandezza delle opere d’arte.

Oggi ho deciso di soffermarmi sui colori. E non potevo che accostare la mia foto all’Espressionismo astratto dell’artista Mark Rothko (1903 – 1970), nato in Lettonia e poi trasferitosi negli USA.

La grandezza di Rothko sta nella creazione di rettangoli di colore, sovrapposti e lievemente. I bordi sfumati, la delicatezza e l’assenza di figure lo rendono maestro di un’arte spirituale, che cerca di rendere visibile ciò che non lo è agli esseri umani. Nella sua pittura è il potere delle vibrazioni del colore che parla, ognuno dei quali emoziona la vista dell’osservatore. Pittore astratto, coetaneo di Vassily Kandinsky, inventore della pittura astratta, amato e odiato allo stesso tempo, Rothko è oggi tra i nomi più noti e costosi dell’arte del XX secolo.

E quindi mi piace mettere in contatto i colori della sua opera Terra e verde con il verde delle mie cime di rapa, il rosso della pancetta, il bianco e blu della tovaglietta e del piatto. E perché no, mi sembra anche il caso di citare una canzone di Irene Grandi che qualche anno fa ci parlava di “verde, rosso e blu: speranza, voglia d’amore e tranquillità”.

E qualche lontano richiamo al tricolore italiano e all’azzurro della Nazionale di calcio, visto il periodo Europei, dite che sta male?

Mark Rothko, Terra e verde, 1955, olio su tela, Colonia, Museo Ludwig

 

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Gli autori di Vorrei
Gianni Miglionico
Gianni Miglionico

Instancabile investigatore del buono e del bello, vive di arte ed insegna italiano e storia.
Si occupa di cultura e grafica "non affidata al caso".
Ha ideato "Interviste Informali", con cui cerca di risolvere i dubbi esistenziali grazie alle risposte di intervistati "informali".

Nato ad Altamura, vive e lavora a Milano.

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