20090628-curone

L'intervento di Renato Ornaghi sulla debolezza delle difese del territorio

Ho rilevato con grande piacere e sollievo il coro pressochè unanime e trasversale (diciamolo pure: bipartisan) dei politici e degli amministratori locali contro l'improvvida iniziativa del Ministro Scajola ad autorizzare una attività di prospezione petrolifera nel cuore più incontaminato del Parco del Curone. Facendo saltare con la sua firma come un tappo di champagne le due dighe istituzionali che avrebbero dovuto proteggere quell’oasi ambientale: la Regione Lombardia innanzitutto, ma poi (è questo davvero l’assurdo) lo status medesimo di Parco Regionale di quell’area.

Status che, in linea di principio, non avrebbe nemmeno dovuto consentire che si concepisse la firma di quell’autorizzazione alla Po Valley, presso il Ministero delle Attività Produttive a Roma.

Eppure, eppure. Eppure questo è successo, e la vicenda - sperando si concluda positivamente con un nulla di fatto - deve servire a farci almeno riflettere: inanzitutto sulla fragilità del tanto strombazzato Federalismo nascente, ma anche e soprattutto sulla reale efficacia difensiva delle strutture organizzate a Parco Regionale attualmente esistenti in Lombardia e in particolare nella nostra Brianza.

Chiediamocelo, almeno provocatoriamente: servono davvero i Parchi Regionali se - al primo starnuto di Ministro romano - tutta la rete di difesa messa in atto per la protezione ecologica di un territorio crolla miseramente come un castello di carte? Chiediamocelo ora, ma davvero e senza ipocrisie, perché sicuramente in futuro arriveranno altre Po Valley e altri Ministri Scajola, pronti a accendere la miccia della dinamite sotto le nostre istituzioni ambientali a Parco Regionale senza che noi si possa fare nulla, se non (inaccettabile estrema ratio) arrivare alla più aperta contestazione popolare.

Vogliamo davvero arrivare a quello? Io spero proprio di no perché sarebbe il fallimento della politica, ma ciò purtroppo potrebbe essere, qualora il coro degli amministratori locali non fosse unanime come oggi e si aprissero crepe in qualche compagine politica al governo nei (purtroppo) tanti enti locali stratificati sul territorio.

Chiediamoci infine un’altra cosa, che potrà forse farci riflettere meglio: il Ministro Scajola avrebbe avuto per caso il coraggio di emanare un’analoga autorizzazione a perforare che so, una bella spiaggia italiana? Nella zona di Viareggio, oppure in Liguria, oppure anche sulle coste del nostro Lago di Como? La risposta sarebbe sicuramente NO. E perché? Non certo perché in quei tre luoghi marini o lacustri ci sia un Parco Regionale, ma perchè a difenderli c’è, basta e avanza la lobby virtuosa, silenziosa eppure forte dell’economia turistica del territorio, che su quelle spiagge e su quel lago ci campa, che intorno a quelli ha costruito una filiera turistica e di ricettività nei servizi alla persona, la quale vale mille volte più dei barili di petrolio che lì si potrebbero estrarre, sempre posto che ci siano. Barili di petrolio che arricchirebbero non le popolazioni locali, ma le tante Po Valley australiane, russe, cinesi o americane di turno.

Ne concluderei dunque che la migliore difesa ambientale del territorio brianzolo sia nel fare in modo che i suoi abitanti traggano benessere economico proprio dalla tutela attiva di quel territorio, creandovi cioè una nuova pervasiva economia agricola-turistica e di servizi alla persona: una vera filera economica attualmente agli albori, ma che va assolutamente incentivata e realizzata. Sfruttanto anche quell’unico e irripetibile evento che sarà l’EXPO 2015 milanese, onde far diventare la nostra Brianza non solo terra del bullone e del mobile, ma anche e soprattutto una risorsa di accoglienza e di turismo, irrinunciabile per l’economia della nostra gente.

Il caso Po Valley ha dimostrato che non basta più giocare in difesa - utilizzando cioè le entità Parco - per tutelare efficacemente il nostro miglior bene che è la terra. Occorre passare all’attacco, valorizzando con un progetto economico organico la risorsa più importante che nessuna società australiana o cinese riuscirà mai a rubarci o copiarci: il nostro ecosistema, nonostante tutto ancora in buone condizioni di salute. Non mettendolo semplicemente sotto la campana di vetro di un Parco Regionale (che purtroppo si è visto essere fragile, pronto ad andare in frantumi alla prima martellata ministeriale), ma valorizzato al meglio con le filiere agricole, agrituristiche, coi centri benessere, con il turismo di prossimità, con l’economia verde.

Sono solo sogni? Per ora può essere (diciamocelo francamente, la Brianza oggi ricaverà da quelle filiere agricole e para-turistiche a malapena il 5% del proprio PIL), ma la strada da praticare è assolutamente quella. Onde evitare i danni della prossima Po Valley di turno o - ancor peggio - della prossima speculazione edilizia, che di certo arriverà quando passerà questa anomala e dura (ma che si auspica rapidamente passeggera) crisi economica mondiale.