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Il presidente Napolitano a Bologna. La città, i manifestanti, la rete

Lunedì mattina, quasi mezzogiorno, m’intrufolo furtiva in Sala Borsa per consegnare in ritardo un dvd di Truffaut. Luci spente, polizia alle porte e all’interno, come sempre, ma raddoppiata. Nella grande sala silenzio, i miei passi risuonano e pochi spettatori si voltano a guardarmi con disapprovazione. Poche file di sedie davanti a un grande schermo: una sala cinematografica improvvisata? No, laurea honoris causa a Napolitano in diretta: le sedie piene di gente di mezza età, per terra, più indietro, qualche giovane sembra essere capitato lì per caso. Io.

Camminando nel silenzio spettrale della sala Borsa ho la sensazione di aver messo piede nella tomba di Tutankhamon, per poi uscire invece nel delirio bolognese di via de Poeti, verso Santa Lucia. Rullo di tamburi, striscioni alzati: tornando verso casa mi trovo invischiata nella parte finale del corteo degli Indignati Occupy unibo, proprio dove si sfilaccia la massa compatta e resta solo qualche studente accodatosi per curiosità. Io.

Possiamo fare un gioco. Qui di seguito riporterò alcune opinioni “dalla strada” su Napolitano e la sua laurea nell’antichissimo, eminentissimo ateneo di Bologna. Attribuite ore le seguenti a chi di dovere:

Garantisce il corretto funzionamento delle istituzioni in questo momento di crisi ed è stato un grande timoniere per l’Italia. Gli auguro di continuare su questa strada del rigore e del risanamento per far sì che l’Italia possa diventare un paese migliore.

Ben vengano lauree di questo tipo, nessuno in Italia ha fatto per il nostro paese quello che ha fatto Napolitano con la sua capacità incredibile di vedere il futuro del nostro paese. Lunga vita, evviva per questo grande servizio che ha fatto al nostro paese.

C’è un abisso tra la sua cerimonia e la vita reale. Questa laurea ad honorem è una farsa. Preghiamo Napolitano di venire a vivere un giorno le nostre vite precarie, di capirci. Di tenersela questa laurea che non serve a niente e di darci un reddito.

Mi auguro che nel menu di oggi il presidente mangerà i tortellini.

La prima frase è stata detta da un uomo anziano, la seconda da una donna di mezza età (che forse crede Napolitano sia re d’Italia), la terza da una studentessa infervorata e la quarta da un grasso bolognese. Facile no?

Quello che voglio capire e su cui voglio riflettere è questo: perché gli Indignati sono giovani studenti universitari, perché le generazioni precedenti vedono in Napolitano un eroe? Perché la manifestazione è stata violenta?

Proviamoci.

I collettivi a Bologna si sentono. Si sentono perché esprimono le proprie opinioni attraverso i muri utilizzandoli come bacheche, si sentono perché sono legati ai centri sociali e organizzano incontri culturali, proiezioni cinematografiche, concerti, spettacoli. All’estero gli studenti hanno diritto a spettacoli gratuiti o a prezzi stracciati, qui in Italia il teatro spesso continua a costare caro anche per gli studenti, allora ci pensano i collettivi a proporre iniziative culturali alla portata di tutti.

Basta connettersi su Zic, quotidiano online autogestito di Bologna, perché uno studente bolognese possa tenersi aggiornato sulle attività politiche e culturali che i diversi collettivi preparano, le news e gli appuntamenti, una vera bacheca per restare sempre in contatto con la vita studentesca di Bologna.

Senza i collettivi, Bologna non sarebbe la stessa e sicuramente interpretano una voce importante della drammatica situazione di precariato che vige in Italia, dove la disoccupazione giovanile è tra le più alte europee, più del trenta per cento. Le risposte sono due: emigrare all’estero o cercare di crearsi un posto migliore nel quale vivere qui in Italia, denunciando una situazione politica che, come grida Occupy unibo, “non abbiamo creato ma siamo costretti a pagare”.

Queste tra le informazioni che su Fb Occupy unibo dà di se stessa e sul perché della propria manifestazione:

La riforma Gelmini stabilisce l’ingresso di privati nel CdA.
“Dottorati senza borsa” e “ricercatori a tempo determinato” sono un’offesa alla dignità di studio e ricerca.
Stage e tirocini non hanno alcun valore formativo e si configurano esclusivamente come lavoro a costo zero.
Numeri chiusi impediscono di frequentare la facoltà desiderata nonostante salatissimi test d’ingresso.
L’università continua a regalare soldi ad amici e associazioni compiacenti mentre taglia su ogni servizio agli studenti.
Io mi chiedo perché le generazioni passate tendono a dimenticare cosa significhi essere giovani, avere voglia di fare e di costruire la propria vita, raggiungere i propri sogni.

Del mio gruppo di amici non è rimasto nessuno. Margherita è in North Carolina, Beatrice a Bristol, Alberto a Oxford, Andrea a Los Angeles, Maria a Cambridge, Ileana a Rotterdam, Laura a Gent, Niccolò a Madrid. Una diaspora. Non è uno scherzo, è la verità. Chi è partito per l’Erasmus (due tra questi) ritornerà (forse), gli altri hanno la prospettiva di una vita all’estero di almeno quattro anni (dottorato), poi si vedrà. In Italia dottorati non ci sono, se ci sono, gratuiti. Lavorare quattro anni in un laboratorio otto ore al giorno gratis, per amore della scienza? Meraviglioso, non vedo l’ora di cominciare. Forse si è sparsa la voce che le nuove generazioni vivono d’aria.
I collettivi cercano di sensibilizzare a questi temi partendo dall’università, sono Indignati e proprio per questo non usano mezzi termini.

Vediamo la laurea di Napolitano.
Mi ha molto interessata un articolo di Federico Mello sul “Fatto quotidiano”, col quale mi trovo in parte d’accordo, ne cito alcuni brani:

“Ma cosa vuole Occupy? Dopo i fatti di Bologna risulta ancora più difficile capirlo. (…) Oggi a Bologna gli Occupy sono andati a contestare Napolitano “Anche lui responsabile del Diktat Ue” dicono. A me una contestazione del genere suona fuori dalla realtà: come accusare il ministro dell’ambiente dei temporali, o Greenpeace per non aver impedito il riscaldamento globale. Agli Occupy italiani – l’hanno detto più volte - non interessa il debito, il bilancio, la serietà di un Paese, la ripresa economica. Vogliono il default, loro. Eppure temo che con il default papà e mamma non avrebbero più un soldo per assicurare gli studi a Bologna.

E dire che una battaglia ci sarebbe da innalzare come bandiera: è li sotto gli occhi di tutti: la Tobin Tax, una tassa sulle transizioni finanziarie che taglierebbe le gambe alla speculazione. Il tema lo lanciò dieci anni fa il movimento No Global (…) Oggi su questo tema gli Indignados si fanno scavalcare dal simbolo della destra europea, Nicolas Sarkozy, che lo propone anche solo per la Francia. Eppure la Tobin è una proposta politica seria, ragionevole, che può diventare realtà solo con un sostegno politico collettivo e globale. Occupy non ne parla. Contesta Napolitano.”

Parole dure ma con la loro parte di realtà. Lasciando perdere la Tobin Tax e il movimento No Global che ci porterebbero davvero indietro di dieci anni, il problema sta sempre nella proposta. Una manifestazione diventa costruttiva, a mio parere, quando è propositiva e non-violenta.

Appello del Pd a Occupy Unibo: “Sbagliano bersaglio e contenuto della loro protesta. Dovrebbero sapere che la Costituzione impone al Capo dello Stato di promulgare una legge approvata dal Parlamento. In secondo luogo dimenticano che il presidente Napolitano invitò al Quirinale studenti e ricercatori per ascoltarne le ragioni. (…) Ai giovani che, a Bologna come in tutta l’Italia, manifestano per il diritto a un futuro meno incerto, rivolgo un appello: rinunciate a contestare chi rappresenta tutti gli italiani e svolge con equilibrio il suo alto compito istituzionale e rivolgete le vostre energie a chiedere con forza interventi concreti perché sia consentito a tutti di studiare.”
Rispondo al Pd che invitare gentilmente i giovani a manifestare per il diritto allo studio e per un futuro meno incerto, è sintomo che c’è qualcosa che non va. Perché il diritto allo studio e un futuro dovrebbero essere garantiti dallo Stato, non richiesti dai giovani a suon di megafono.
Non importa se fosse o non fosse necessaria la contestazione alla laurea di Napolitano, il problema che resta, secondo me, è il divario fra le vecchie e le nuove generazioni.
Quello che a Occupy unibo proprio non va è dover accettare di vivere in una società senza speranze per scelte fatte da nostri predecessori che ci hanno lasciato in eredità un futuro morto. La laurea di Napolitano è stata uno dei modi per far intendere la propria voce, come altre occasioni precedenti, come altre che verranno. A Occupy mancano le proposte concrete, fondamentali per costruire qualcosa di nuovo, per proporre un’alternativa. E chiaramente l’alternativa non può essere il default.
Però il problema, oggi, è che forse manca una vera alternativa.

Guardo intorno a me, nella mia stretta piccolissima cerchia, e le risposte sono evidenti: lavorare nella scuola? Tabù. Non se ne può nemmeno parlare. Tentare un dottorato? Preparati a una vita all’estero, se ti va bene. Sorridente cerco di lasciare un curriculum alle librerie Coop, il commesso mi guarda in cagnesco: è il suo ultimo giorno, domani non gli rinnovano il contratto.

Mille domande, nessuna risposta. Per ora Bologna dorme, sotto una coltre di neve.