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Il Prof. Leslie Francis dell’Università di Warwick ritiene che i benefici derivino dalla visione religiosa di un maggiore “senso della vita” che viene vissuto da molti credenti e che potrebbe essere minore nei non credenti.

 

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 ricercatori hanno scoperto quasi per caso, durante una sperimentazione non collegata, che le persone con una convinta fede religiosa tendono ad essere più contente nella vita. Nonostante non fosse l’obiettivo principale della ricerca, il recente studio europeo ha chiarito che gli individui religiosi sono più abili nel fronteggiare shock e dolori come la perdita di una persona cara o di un lavoro.

Il professor Andrew Clark della Paris School of Economics e il co-autore Dr. Orsolya Lelkes dell’European Center for Social Welfare Policy and Research hanno analizzato una varietà di fattori su individui Cattolici e Protestanti e hanno riscontrato che la soddisfazione sembra raggiungere livelli più elevati nelle popolazioni religiose. Gli autori hanno concluso che la religione in generale agirebbe come una sorta di “cuscinetto” che protegge l’individuo dalle difficoltà della vita.

“Abbiamo iniziato la ricerca per comprendere come mai alcune nazioni europee abbiano sussidi di disoccupazione più alti delle altre ma la nostra analisi ha evidenziato subito che le persone credenti soffrivano meno dei non credenti il disagio psicologico derivante dalla perdita del lavoro”, spiega il Prof. Clark.

I dati di centinaia di famiglie europee rivelano livelli molto più elevati di soddisfazione generale nei credenti e il Prof. Clark sospetta che la ragione stia in una molteplicità di aspetti. Certo, l’idea che la religione possa offrire un sostanziale beneficio psicologico nella vita contrasta vivamente con la visono comune della religione come ente oppressivo che ha una influenza negativa sullo sviluppo umano.

Il Prof. Leslie Francis dell’Università di Warwick ritiene che i benefici derivino dalla visione religiosa di un maggiore “senso della vita” che viene vissuto da molti credenti e che potrebbe essere minore nei non credenti.

 

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Foto di Mario Giacomelli

 

“Queste conclusioni contrastano infatti con una visione dominante che invece sostiene che la religione possa condurre al dubbio, al fallimento e quindi abbia effetti negativi”, dice Francis, “La convinzione che la religione danneggi le persone è ancora molto diffusa”.

Terry Sanderson, presidente della National Secular Society e attivista per i diritti degli omosessuali, ritiene che uno studio come quello riportato sopra e che traccia un collegamento fra la felicità e la fade sia “senza senso”.

“I non credenti non possono rivolgersi alla religione per essere felici. Se trovi incredibili le fondamenta della religione, non riuscirai a crederci, qualsiasi sia la ricompensa che ne deriva”, dice Sanderson. “La felicità, comunque, è un concetto elusivo. A me da felicità l’ascolto della musica classica, mentre guardare il football mi da repulsione. Qualcun altro proverà l’esatto opposto. Alla fine tutto si riduce al gusto e alla predisposizione personale.”

Justin Thacker, capo della Theology for the Evangelic Alliance, crede che ci siano altri fattori meritevoli di considerazione. Infatti, secondo lui, credere in Dio aumenta nell’individuo la consapevolezza che la vita sia ricca di significato.

“C’è più di una ragione per crederlo – una è sicuramente il senso della comunità e del rafforzamento delle relazioni sociali, ma non è tutto. Una gran parte del merito va al senso, all’impegno e al valore che vi da il credere in un Dio, mentre non credere in niente vi priva di questi valori.”

Alcuni studi precedenti hanno evidenziato che l’essere umano sarebbe biologicamente predisposto a credere in Dio. Storicamente, la maggior parte delle culture hanno sviluppato qualche sorta di credenza religiosa che includesse almeno una forma di “essere soprannaturale”.

Viste in prospettiva evoluzionistica e psicologica queste questioni hanno intrigato gli scienziati per decenni, ma gli studi fisiologici e cognitivi sulla religione sono relativamente recenti.

Sia i credenti che i non credenti possono convenire sui risultati della ricerca e, nonostante ciò, interpretarli in maniera diversa.

I ricercatori dell’Ian Ramsey Centre for Science and religion dell’università di Oxford stanno lavorando ad un progetto che aiuterà a comprendere meglio la scienza cognitiva della religione, che si propone di cercare la parte razionale che sta dietro la fede. Ossia, cosa induce lucidamente un individuo ad affidarsi al soprannaturale.

“Uno dei fini del progetto è spiegare scientificamente non solo la fede in un Dio, ma anche il motivo per cui alcune persone divengono atee. Se gli scienziati riusciranno a spiegare perchè le persone tendono a credere o meno in un’entità superiore allora i non credenti potranno trovare una spiegazione soddisfacente in merito alla fede altrui, poichè ora gli atei,(me compresa, ndS) trovano difficile comprendere il motivo per cui molte persone credono in esseri inesistenti supportati da storie senza fondamento reale.”

E voi? Credete in Dio? e questo vi aiuta nella vita quotidiana?

Aspettiamo di sentire la vostra voce.

 

Per gentile concessione di "Un blog in due"