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Altri passi su per la scala. Tobia cade in ginocchio davanti ai nonni, ai bisnonni, agli avoli. C’è anche l’insegnante di latino, c’è anche il suo compagno di banco bocciato all’esame di stato.

Tobia, archivista della Real Casa, ha un occhio di vetro poiché la pupilla naturale si è consumata a furia di scrivere le schede anagrafiche del regno. In ogni modo ha completato l’archivio ed ora può dedicarsi al proprio diario. Lavora nella soffitta del tribunale, mentre le zie che lo accudiscono abitano il sotto scala della cancelleria, loro e la monumentale stufa Pompadour, nominata Arcidiavolo per le vigorose fiamme che fuoriescono dai suoi portelli di ghisa.

 Tobia scrive nella solitudine della notte, da non vedersi un lumino dalla finestrella del tetto, da sentirsi solo il grufolo del cinghiale in cerca di patate sotto la neve. Scrive con “elle” slanciate e “qu” che sembrano cavicchi da falegname. Scrive mentre tentenna la testa assonnata finché si addormenta sul quaderno. Quando riapre gli occhi le zie sono intorno a lui come allegre mosche.

 “Comandi?” “Gallina lessa.” Nella cucina la povera gallinella è già in gabbia, la corda al collo, gli occhi colmi di pianto che tanti strangolii hanno già veduto da non cacciare più fiato dal becco. “Perché piangi?” chiedono le zie “Dovresti rallegrarti per finire lessa nel piatto di chi si pettina i baffi prima di mettersi a tavola e senza tanti smargiassi scrive il suo diario con tutta l’ortografia à plomb. Noi leggiamo quello che scrive, ieri ha scritto: “Un corvo si è posato sul davanzale della finestra. Voleva sapere se l’anima è veramente immortale. Gli ho detto di rivolgersi all’olmo nel cortile del tribunale. Quell’albero è così alto che tocca il cielo tra i sapienti patriarchi. L’uccello ha sbattuto le ali contrariato: - Gli alberi non sanno niente - mi ha rimbeccato - tutta la vita radicati nella stessa terra. Meglio chiedere ai fiumi che vanno, vanno e vanno e la loro acqua non si ferma mai.” La gallinella si guarda in giro smarrita, sente l’affilarsi dei coltelli. A chi chiedere aiuto? Il galletto, suo fidanzato, dorme nell’oscurità del lontano pollaio. Dorme su una gamba sola come la cicogna che gira il mondo. A lui piacerebbe viaggiare, fare il maestro ambulante. Sogni, sogni! La gallinella si rassegna. Chiude gli occhi mentre le zie la tuffano nella pentola dove già cuociono le patate. Passano mille anni per dire che dalla vita alla morte si stende l’infinito come un mare che non ha rive. “Su, su! La gallinella è cotta, è cotta!” Le zie battono le mani e si affrettano nella cucina in cerca della mostarda congratulandosi per come sia ben cotta la coccodè. “Sì, sì, è proprio cotta!” e in sospiri e miagolii le zie si arrampicano su per le scale sdrucciole della soffitta. “E’ cotta, è cotta, la gallina è lessata.” Le zie fanno festa intorno a Tobia come l’avessero partorito loro, ciascuna la sua parte: naso e orecchie la zia Lidia, barba e baffi la zia Rosa, dall’ombelico in giù la zia Giuseppina. “Mangia, mangia! Mangia che si raffredda! Mai un inverno così rigido. Mangia e se non ti va la pelle la daremo al gatto. Mangia, mangia finché è calda. Mai tanti passeri assiderati, mai tanti pesci congelati nei canali. Mangia che la gallina diventa fredda. Guten Appetit! Mangia senza rammaricarti, se non hai detto le orazioni le diciamo noi per te, le nostre preci sono come le tue: la stella cometa, i re Magi, Giovanni Battista, il re Erode, che Dio lo maledica. Amen!” Tobia mangia adagio adagio, meditando su ogni boccone e su ogni parola e per ogni virgola un sorso di vinello. D’un tratto si ferma. Ha sentito un fruscio, uno zoppicare, un venir su dalle scale come di chi non sappia dove andare. Tobia sta con la forchetta levata. “Chi è?” nessuno risponde. “Chi è, ho domandato?” “Toc, toc, toc…” Passi? Tobia sente il cuore in gola. Sono i passi del fu suo signor padre. Tic, tic, tic…i passi leggeri della fu sua signora madre. Titic, titic, titic … i passi diafani di Tulilemblemblu, la demoiselle della sartoria: stirava, inamidava, sorfilava, era la piccinina della bottega e con lei, sempre accucciato ai suoi piedi, il cagnolino Ubi, campanello d’argento. Tobia ingolla l’intera zampa della gallina e per poco non si strozza. Che visita è questa?

Altri passi su per la scala. Tobia cade in ginocchio davanti ai nonni, ai bisnonni, agli avoli. C’è anche l’insegnante di latino, c’è anche il suo compagno di banco bocciato all’esame di stato. Quel ragazzo non aveva pianto, si era buttato dalla finestra della scuola, ma non si era fatto niente, era volato in cielo e basta. Tobia è stralunato, si rialza, vorrebbe abbracciare tutti, ma quelle anime sono fatte d’aria, volano via come polvere. Impossibile stringerle. Ora sono tutte intorno a lui, con la bocca aperta, desiderose di un boccone di gallina lessa. Vorrebbero pranzare tutti insieme come quando erano vivi. I poveri morti hanno in mente il pranzo di Natale, vecchi e bambini intorno al grande tavolo imbandito e, fuori dalla finestra, la renna con gli occhi incantati a rimirare il ben di Dio apparecchiato: i ravioli, la faraona farcita, i torroni, il vino brulè e sopra, appesi al soffitto le sfere di vetro colorato e gli angeli di cartone dorato. “Alleluia!” sussurra il padre di Tobia e Tobia, infilzato sulla forchetta un pezzetto di gallina, fa il giro degli spiriti che abboccano, sorridono, masticano e mandano giù ringraziando. “Questa è la vera immortalità” dice Tobia e, se fosse capace, canterebbe lui l’alleluia. “Ora pro nobis” rispondono gli spiriti. “Anche gli alberi sono immortali” declama Tobia.” “Ora pro nobis” “Anche i fiumi.” “Ora pro nobis” “Anche il mio compagno di banco.” “Ora pro nobis” “Anche Tulilemblemblu” “Ora pro nobis” “E il cagnolino Ubi.” “Ora pro nobis” anche a lui! “Ssst …!  Zitti, zitti ...!” Si fa avanti un avolo di Tobia, nel suo bel costume di velluto azzurro da ufficiale postale “Ssst …!” Silenzio come nel bosco invernale delle fiabe. L’avolo si volge al finestrino e leva un dito. Tutti guardano là. Nevica. Nevica fitto fitto e i larghi, danzanti cristalli di gelo paiono cadere da un altro mondo. “Andate, andate via prima che si cancellino le strade” dice Tobia. Le anime tentennano e più guardano la neve che cade più sono sgomente. “Le strade sono scomparse” balbettano gli spiriti. “Non abbiate paura” li conforta Tobia “Vi accompagnerò io.” “No, tu non puoi accompagnarci. Tu devi vivere ancora.” “Fin quando?” “Ma non si sa. Dipende dalla luna.” “Quale luna?” Gli spiriti non lo sanno, abbassano la testa e lasciano la soffitta passando davanti a Tobia in silente processione. Sua madre lo sfiora e fa in tempo a fargli un segno con la mano: l’indice e il pollice si uniscono per le punte a formare un cerchio che significa luna piena. Da ultimo esce Tulilemblemblu e il suo cagnolino: “Ti aspettiamo” sussurra la sartina e Ubi abbaia felice come se avesse visto farfalle scherzare sui fiori.

 

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Gli autori di Vorrei
Adamo Calabrese
Adamo Calabrese

Adamo Calabrese è scrittore, autore di teatro e illustratore. Ha pubblicato con Einaudi il romanzo "Il libro del re", con Albatros i libri di racconti "L'anniversario della neve", "La cenere dei fulmini", "Il passaggio dell'inverno", con Joker "Paese remoto". Ha illustrato i propri libri ed edizioni di Dante, Gibran e Pascutto. Scrive e disegna per il quotidiano "Il cittadinio" di Lodi, per le riviste "Vorrei" di Monza e "Odissea" di Milano. I suoi ultimi lavori teatrali hanno messo in scena opere di Brecht, Joyce, San Francesco e Iacopone. Nel 2012 RAITREha trasmesso un suo testo. Nel 2014 è stato finalista del premio internazionale di grafica satirica "Novello". Insegna letteratura presso le Università della terza età di Sesto san Giovanni e Milano (Università Cardinale Colombo)

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