Le origini del nome, la storia, l'ubicazione, la struttura, il presente

Le origini del nome 

Il termine Papina, o Pappina come risulta in alcune scritture d'archivio, è piuttosto inconsueto, forse unico, per denominare un luogo. Anche con la consultazione di documenti storici non si è potuto accertare l'origine di questo termine. Si possono però indicare due ipotesi, da considerare comunque con qualche perplessità.

La prima è quella tramandata da generazioni, che presuppone la presenza di un monastero di un non precisato ordine, i cui monaci, particolarmente legati alla Chiesa, vennero chiamati “Papisti” e poi “Papini”. Il luogo prese poi il nome “Papina”.

La seconda ipotesi è riferita alla famiglia “Papini” di origine friulana, trasferitasi verso il 1500 al seguito di qualche campagna di mercenari, la quale avrebbe ottenuto la concessione della cascina dai Secco-Borrelli, feudatari del “Vimercato” dal 1505. Dal nome di questa famiglia il luogo venne chiamato “Papina”.

 

L'ubicazione 

La cascina si trova a sud di Arcore nei pressi della ex-statale 36 che porta in Valtellina. Attualmente è pressoché integrata nell'espansione urbanistica, avvenuta negli ultimi decenni. In passato era un luogo periferico del paese, con l'accesso dalla strada dove scorreva la roggia Molgorana, che fiancheggiava la strada romana chiamata “Ulteriana”, attuale via Casati.

Questo accesso distava un miglio romano (1480 metri) dalla cascina Sant'Apollinare, presso la quale è stata scoperta, oltre alla celebre lapide dedicata a Giulia Drusilla, figlia dell'imperatore Caligola, una pietra miliare. E' attendibile ritenere che anche presso l'accesso alla cascina venne posta un'altra pietra.

  La storia 

Sono pochi gli autentici riferimenti storici della cascina. Restano però gli “Stati delle Anime” della parrocchia Sant'Eustorgio di Arcore, nei quali risulta che nel 1737 la Papina era abitata dalla famiglia di Melchiorre Malacrida, composta di undici persone.; nel 1793 dalla famiglia Pilotto con quattordici persone, poi in parte trasferitasi a Bernate; nel 1801 da un'altra famiglia Pilotto con sei persone e dalla famiglia Fagnano con sei persone. A partire dal 1816 venne abitata dalla famiglia Cereda, inizialmente composta da undici persone e in seguito suddivisa in diverse unità famigliari. Attualmente vivono otto famiglie per un totale di quattordici persone. 

I Cereda svolsero attività pressoché agricola fino al 1873, ossia fino alla realizzazione della linea ferroviaria Monza-Calozio-Lecco, che tagliò il podere in due parti. Rimasti con una ridotta superficie dei terreni coltivabili, poiché la parte maggiore era ad est, per loro inaccessibile, i terreni passarono ad altri coltivatori e i Cereda intrapresero nuove attività. La principale fu quella di trebbiatori per conto terzi, utilizzando macchinari avveniristici per quei tempi. I contadini che ancora usavano bastoni, ventilabri e sgranatori per separare i grani dalle spighe e dalle pannocchie, avvalendosi delle macchine dei Cereda si trovavano in poco tempo con i sacchi di frumento o di granoturco e la paglia imballata. Dopo un lungo periodo di conduzione in affitto, il 5 gennaio 1921 i Cereda acquistarono il complesso immobiliare dalla famiglia Olginati di Como.

 

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La struttura 

La cascina attualmente è irriconoscibile rispetto a quando era circondata dai terreni coltivati. L'inurbamento ha stravolto l'aspetto originale. Le mappe catastali del 1855 e del 1887 aiutano a ricostruire il possibile paesaggio del passato. L'edifico verso nord era destinato ad abitazioni, mentre i tre lati a sud erano adibiti a stalle e fienili. Nel 1926 vennero edificati due corpi a est e a ovest dell'edifico abitativo e fu costruito anche il porticato.

Recentemente sono statii eseguiti interventi di adeguamento, che hanno ulteriormente alterato l'aspetto del complesso edilizio. La facciata si presenta ora divisa: la parte centrale è composta da cinque spazi separati da quattro pilastri, sui quali appoggiano altrettanti archi aperti a sostegno del tetto. Due rampe di scale permettono l'accesso al loggiato superiore, provvisto di una ringhiera di ferro. Aperture quadrate, poste sotto gli archi, portano luce al sottotetto.

Alla sinistra della facciata è ben mantenuta una nicchia con la statua di San Giovanni. Il pozzo, chiuso verso il 1960, alimentava l'acquaio comune della cascina. Il forno, ora fatiscente, veniva utilizzato per la cottura del pane. All'interno di alcuni appartamenti si trovano i focolai famigliari, ancora funzionanti, il cui ammodernamento, sia pure pregevole, ha però alterato la forma originale. Le stalle, che chiudevano il cortile, salvo due aperture a est e a ovest, sono ora utilizzate come deposito di materiali. I fienili lasciano ancora immaginare come era nel passato l'aspetto della cascina, anche se gli interventi hanno alterato alcuni particolari architettonici.

 Il presente 

Gli interventi, effettuati nel corso degli anni sulle strutture, hanno apportato un relativo aggiornamento sotto l'aspetto abitativo, rendendo però difficoltoso leggere e interpretare il tipo di vita della cascina nei secoli trascorsi. Vale però la pena riportare la situazione attuale, anche per evitare che in futuro interventi inopportuni possano cancellarne l'identità storica.

 

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Qui l'articolo di Pino Timpani sulla Cascina Papina

Gli autori di Vorrei
Pino Timpani

"Scrivere non ha niente a che vedere con significare, ma con misurare territori, cartografare contrade a venire." (Gilles Deleuze & Felix Guattari: Rizoma, Mille piani - 1980)
Pur essendo nato in Calabria, fui trapiantato a Monza nel 1968 e qui brianzolato nel corso di molti anni. Sono impegnato in politica e nell'associazionismo ambientalista brianzolo, presidente dell'Associazione per i Parchi del Vimercatese e dell' Associazione Culturale Vorrei. Ho lavorato dal 1979 fino al 2014 alla Delchi di Villasanta, industria manifatturiera fondata nel 1908 e acquistata dalla multinazionale Carrier nel 1984 (Orwell qui non c'entra nulla). Nell'adolescenza, in gioventù e poi nell'età adulta, sono stato appassionato cultore della letteratura di Italo Calvino e di James Ballard.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.