Intervista a
Rodolfo Grassi, presidente provinciale Fidc Milano

È necessario cambiare la Legge 157/1992?
Ma sì, i tempi sono cambiati, è cambiata la mentalità, il territorio stesso, c’è bisogno di creare un nuovo assetto.

Quali sono le esigenze prioritarie dei cacciatori che ritenete non siano ancora state soddisfatte?
Non c’è più libertà di girare l’Italia e cacciare, ogni provincia è divisa in spicchi di territorio dove il cacciatore può esercitare l’attività venatoria o meno. Per cacciare in ciascun ambito territoriale di caccia (Atc) si paga una quota alla direzione che lo gestisce, alla Regione territorialmente competente e allo Stato, quindi il cacciatore, per ogni Atc in cui vuole cacciare, paga 3 tasse. Per fare un esempio, la Lombardia è divisa in 54 ambiti, quindi per esercitare l’attività venatoria in tutta la Regione, un cacciatore dovrebbe pagare 54 differenti tasse, in media stimabili intorno agli 80, 90 euro ad ambito.. Questo è un punto che andrebbe affrontato: meno tasse e burocrazia a favore della semplificazione.

Un altro problema sentito è la limitazione dei tempi di caccia: si può cacciare dalla terza settimana di settembre al 31 gennaio, tre giorni a settimana esclusi il martedì e il venerdì, giorni nei quali vige il silenzio venatorio. Non ci sono così tante possibilità, inoltre già con la 157 ci sono limitazioni rispetto al numero di selvaggina stanziale e migratoria che si può abbattere. Il fatto è che, a fronte di ciò che paga, il cacciatore vorrebbe avere maggior libertà sul territorio, magari una sola tassa per la Lombardia, per esempio. La caccia in fondo è un rapporto di amicizia, si creano legami tra gli stessi cacciatori, una sorta di cameratismo; se tra amici di differenti regioni si volesse organizzare un’uscita di caccia in comune, ci sarebbero problemi perché uno non ha il permesso di spostarsi, anche se paga; così si interrompe il cordone che lega i cacciatori tra di loro.

Il terzo problema che andrebbe ammodernato riguarda il calendario dell’esercizio venatorio: alcuni Paesi europei tengono aperta la caccia anche fino a fine febbraio, e in Italia, Paese in cui siamo anche interessati ai migratori, perché dobbiamo chiuderla prima? Non dobbiamo inoltre dimenticarci che oggigiorno il cacciatore riveste un ruolo importante nella concreta gestione dell’ambiente: sa che senza selvaggina non ci sarebbe caccia, quindi se il cacciatore ragiona, e lo fa, mira a salvaguardare i riproduttori, non va di certo a cacciare in momenti inopportuni per la fauna selvatica. Senza contare che i ripopolamenti di fauna vengono pagati dalle quote dei cacciatori.

All’art 16 sparisce il divieto di immettere fauna dopo il 31 agosto, in questo modo esemplari di specie cacciabili possono essere introdotti in determinate aree proprio in periodo di attività venatoria, ciò darebbe il tempo alla fauna medesima di ambientarsi nel nuovo ambiente, o di ricostituire popolazioni stabili ed autosufficienti, cosa che sarebbe la finalità istitutiva delle aziende faunistico-venatorie?
Ricordiamoci che la fauna immessa nelle aziende faunistico venatorie è allevata, vengono liberati in territorio idoneo, dove non ci sono altri esemplari, ridanno senso alla caccia. Non voglio poi uscir troppo dal discorso, ma si pensi solo agli allevamenti intensivi di pollo, o ancora peggio a quelli di conigli, o ai maiali allevati fino a raggiungere in giovane età un determinato peso, che se non vengono abbattuti a tale raggiungimento muoiono di infarto perché il loro corpo è stato così artificialmente messo all’ingrasso senza avere un rispettivo aumento del sistema nervoso-circolatorio..

Serve un tavolo di discussione serio, almeno che vengano riconosciute ai cacciatori le competenze che hanno.

Crede che attualmente, in Italia, il confronto non si svolga attorno ad un tavolo valido?
Mah… il fatto è che non si può dialogare solo per ragioni emotive, ci vogliono contenuti scientifici, sostenuti da biologi, zoologi con serie conoscenze. Pensiamo a quanto successo quando hanno liberato le nutrie, o al caso dello scoiattolo americano, o ancora alle cornacchie, a causa delle quali stiamo perdendo specie autoctone di verdoni, fringuelli, capinere, passeri.. I piccoli della cornacchia sono infatti carnivori e predano i nidi degli altri.. Il ruolo della caccia è anche quello di contenimento, di intervenire a seguito di squilibri ecologici.

Insomma, se mi devono dire di no, voglio che questo no sia motivato da contenuti seri, che non parta solo da spinte emozionali. A questo proposito abbiamo promosso per primi a Milano la possibilità che i territori controllati di caccia, che esistono grazie alle quote dei cacciatori, siano diretti da rappresentanti dei cacciatori (che mettono soldi, manodopera per le immissioni, gestione, competenze); da agricoltori (che mettono i terreni) e, iniziativa nuova di Milano, anche da categorie ambientaliste, purché siano laureati, in biologia, agraria, scienze forestali o altro, ma che siano seriamente preparati sulla gestione della fauna e dell’ambiente agro-silvo- pastorale. Ripeto, se dobbiamo avere un no, che sia un no competente.

Capisco.. e mi sa dire quanti cacciatori sono ufficialmente registrati in Italia?
800.000 circa, pensiamo al fatto che solo 10 anni fa la cifra arrivava senza problemi a 2.000.000..

La nuova formulazione dell’art.18, riguardo i tempi di attività venatoria, prevede la possibilità di creare un calendario tecnico per singola specie e periodo, con date di inizio e fine caccia per ogni specie, invece dei termini attualmente vigenti di inizio e fine stagione venatoria uguali per tutte le specie. È davvero eseguibile una strategia del genere? Mi spiego, per realizzare un calendario tecnico per specie, si hanno sufficienti dati da cui partire? Rapporti sullo stato delle specie, distribuzione? E per controllare l’esercizio venatorio, non si avrebbe maggiore confusione nel capire chi sta cacciando cosa?
Ci vorrebbero in tutta Italia osservatori sulla fauna, in ogni Regione, per singole specie, sarebbe necessario creare censimenti, rapporti.., servono studi. In Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, ci sono, ma poi manca un coordinamento a livello nazionale e un’attività seria in molte altre regioni.

Il primo coltivatore della selvaggina è il cacciatore, esercitare la caccia senza validi censimenti porta alla scomparsa della caccia stessa; come un agricoltore con il suo frutteto, se sradicasse tutti gli alberi alla prima fioritura..

Per quanto riguarda il controllo faunistico di “specie fastidiose” (art 12 e 18-ter) si parla spesso di immissioni poco bilanciate di fauna a fini venatori.. non potrebbe essere una soluzione più efficace eliminare le immissioni piuttosto che cacciare la fauna in esubero? Come vi ponete a riguardo?
Per anni la caccia al cinghiale non è stata praticata, la specie si è espansa, inoltre è vero, alcune aziende faunistiche hanno liberato cinghiali, ma ora comunque le aziende che li liberano hanno una gestione commerciale: se ne liberano 10, si assicurano che questi 10 vengano abbattuti, perché ci hanno messo dei soldi in prima persona. Il fatto è che nei parchi non si può intervenire, quindi la specie prolifera e si sviluppa fino ad uscire dai confini dell’area protetta, quindi una volta non controllata, la popolazione si espande andando ad incidere negativamente o meno anche all’esterno. In Italia c’è un eccesso di animalismo, di interventi dettati dalle emozioni, senza basi scientifiche.

Faccio un esempio per capirci, riferendomi a quello che accade all’estero: si presenta una densità eccessiva di cervi all’interno di un parco. L’ente parco prende atto e mette all’asta gli esemplari di cervi in esubero. Il cacciatore che si aggiudica il cervo paga e, accompagnato da un guardiacaccia, va ad abbattere solo quel determinato esemplare. Il parco incassa, per dire, 3000 euro ad esemplare per l’asta avvenuta.

In Italia, questo inverno c’erano i cervi che morivano per l’eccessiva neve e la mancanza di cibo, i cacciatori si sono offerti di portare cibo in aiuto a determinate popolazioni di cervi in difficoltà, ma il Parco non ha voluto, ha detto che non si doveva intervenire, se morivano, era naturale fosse così. Dunque, per principio il Parco non fa entrare fucili nell’area protetta, ma se il cibo non c’è per tutti gli animali, non c’è. Quando poi la situazione precipita, gli animali muoiono in ogni caso; a questo punto meglio riconoscere l’aiuto della caccia in certi casi controllati, anche per le stesse entrate economiche del Parco. È un discorso di gestione della fauna.

Arrivando all’art. 15, che disciplina la mobilità dei cacciatori nei diversi Ambiti Territoriali di Caccia, mi chiedevo, in nome proprio del legame cacciatore-territorio, sancito dalla L.157, gli stessi cacciatori non sono infastiditi all’idea che molti altri cacciatori possano cacciare nel “loro” ambito territoriale abituale, magari prestando meno cura e rispetto in paragone a quello che userebbero loro?
È vero questo, sì, ma la mobilità è una buona cosa. Si può regolamentare meglio, non si può dire a priori di no, vediamo prima come. Io sono ideologicamente a favore della mobilità, lo vedo come un arricchimento, uno scambio culturale, anche come occasione per visitare nuovi posti, città.. Certo bisogna saper organizzare bene il tutto, porre dei freni, un numero limite di selvatici da abbattere. I no arrivano da un’interpretazione fuori dal contesto di ciò che la caccia è oggi, non è che uno si sveglia e va da solo in Puglia a cacciare sparando a tutto quello che vede.. La caccia è conoscere gente, luoghi, è uno scambio, è accarezzare con lo sguardo luoghi che hai già visto anni prima, rifare sentieri e vedere che quel ramoscello è cresciuto.. non per fare poetica, il cacciatore ha questo senso, se non ce l’ha non è un cacciatore, è un pazzo.

Anche perché, se uno esce di casa con fucile e licenza, vuol dire che ha già speso almeno 500 euro. Facendo un breve calcolo, 15 euro a fagiano, con 500 euro mi comprerei 40 fagiani in un anno, uno a settimana, cacciando in un anno non li prendi ma neanche.. a stagione siamo sui 7-8 fagiani..più i soldi per i trasporti e tutto il resto.. La caccia è qualcosa di più del semplice fagiano, economicamente sarebbe più conveniente comprarselo.

Art. 4 consente l’utilizzo di più richiami vivi, ma esiste davvero questa esigenza? E perché eliminare la pratica dell’anellino identificativo?
Ma sì, l’esigenza è reale, rientra in una sorta di abitudine: se ho alcuni richiami, poi ne voglio altri, vado ad una fiera, sento che un uccello canta bene, lo prendo, anche solo per tenerli lì, magari poi non li uso tutti.. La questione invece dell’anellino è piuttosto semplice: partendo da un presupposto che per merli e tordi ci sono impianti di cattura, nei quali il cacciatore va per comprare il richiamo vivo, quindi la conferma di origine serve per confermare la provenienza da tali centri e non da mercati di contrabbando, ma per noi è un’inutile pratica burocratica, allunga il tutto.. Se gli uccelli sono presi da impianti di cattura riconosciuti, si paga e si ha la certezza dell’origine; se invece i richiami nascono in gabbia, devono avere l’anellino, ma quello che sosteniamo noi è: se il cacciatore a queste specie può sparare, perché non potrebbe pure tenere le stesse specie in gabbia? Non ha senso..

Sì, la logica può esserci, ma il discorso però non regge più per quanto riguarda la possibilità contenuta nel Ddl di utilizzare come richiami vivi esemplari di specie non cacciabili.
È vero, infatti quella richiesta non ci interessa tanto, sai come funzionano queste cose, si chiede sempre 150 per avere 10.. Le cose a cui davvero puntiamo sono la mobilità, meno tasse, più semplificazione.

L’art.22 invece consente di portare armi, purché scariche e in custodia, lungo le vie di comunicazione di parchi e riserve al di fuori dei giorni di divieto venatorio. Ma se il cacciatore non può cacciare, perché dovrebbe volersi portar dietro il fucile?
Anche qui il discorso è più semplice di quello che sembra, se io mi sposto per raggiungere l’ambito di caccia prescelto il venerdì in macchina, giorno di silenzio venatorio, ora posso incorrere in sanzioni perché ho il fucile nel bagagliaio, mentre l’intenzione è solo quella di usarlo il sabato, in tutta legalità.

Mentre per arrivare al discusso art 11, co 9,10, riguardante il tirocinio di caccia per sedicenni: come vi ponete a riguardo?
Se un ragazzo sedicenne va con il padre a caccia, è sotto la sua responsabilità, e se il padre, puntato un fagiano, passa il fucile al figlio, che problema c’è? Si tratta della stessa idea alla base della patente e del foglio rosa: chi accompagna il ragazzo inesperto ha la responsabilità di ciò che succede. Ditemi se è più pericoloso un inesperto al volante o un ragazzo che, accompagnato, spara ad un fagiano. Inoltre la possibilità di andare a caccia a 16 anni esisteva molti anni fa, e comunque in Lombardia, nessuno lo sa, ma per tutti coloro che prendono la licenza di caccia, dopo un esame, c’è l’obbligo di andare a cacciare accompagnato da un cacciatore esperto per i successivi due anni.

Per quanto riguarda l’assenza nel Ddl Orsi del divieto di utilizzo di pallini al piombo nelle zone umide, come vi comportate nella pratica dell’esercizio venatorio?
Ma queste sono situazioni tecniche.. l’inquinamento da piombo si verifica solo se uno spara sempre nello stesso posto, in particolari condizioni; ci sarebbero inoltre degli accorgimenti per migliorare l’impatto, con una gestione mirata, una ripulitura accurate delle zone interessate.., ci sono molti fucili che con munizioni in acciaio si sciuperebbero. L’inquinamento da piombo incide soprattutto nelle pratiche venatorie come l’appostamento fisso, ecco, per questo specifica modalità, andrebbe proibito.

Parlando invece della possibilità di cacciare dopo il tramonto (art.16), quali sono le finalità venatorie?
Mah, questo lo richiedono in particolare i cacciatori di anatre, perché arrivano dopo il tramonto..

Sì, però alla fine, se passasse il Ddl, la possibilità di sparare dopo il tramonto sarebbe concessa a tutti i cacciatori interessati a tutte le altre specie.. e al buio non è più difficile distinguere tra piccoli uccelli le specie cacciabili e non?
Sì, capisco dove vuoi arrivare, è vero, ma fai conto che le specie piccole cacciabili, come lo storno, si vedono bene, li distingui, per quelli più complicati, comunque non sono cacciabili, quindi il problema non si pone. E poi torniamo di nuovo al discorso di chiedere 150 per avere in realtà quello che realmente ci interessa: maggior mobilità, avere riconoscimento riguardo le competenze dei cacciatori e instaurare un dialogo con ambientalisti esperti, aventi serie competenze riguardo le gestione della fauna e del territorio.

L’attività venatoria ha molto appassionati, persone che amano l’ambiente e la caccia in sé; il permesso di sparare sulla neve, sul ghiaccio, da barche a motore spento, non va a minare la vostra etica venatoria? Non inficia lo svolgimento stesso della pratica venatoria?
Queste richieste riguardano pratiche venatorie specifiche e specialistiche, avrebbero bisogno di legislazioni particolari, ma io non vorrei entrarci.. poi, probabilmente, se abitassi sul delta del Po, parlerei in maniera diversa.

Capisco. Ultima domanda, perché far sparire la categoria delle specie super protette?
Solo perché in questi casi ci si imbatte in provvedimenti penali per eventuali abbattimenti..

Grazie a Rodolfo Grassi
Giornalista, Direttore del Periodico “Il Cacciatore italiano”,
Presidente provinciale Fidc Milano.