Arrivano dichiarazioni pericolose per il futuro dell'edificio anche da ambienti "vicini" come il FAI e Philippe Daverio?

 

Sappiamo tutti che sulla  Villa e il Parco Reale di Monza incombono da sempre interessi speculativi (uso il termine “speculativi” per significare  che antepongono il tornaconto economico ai valori culturali e ambientali, anche a costo di comprometterli). Ma  il pericolo più subdolo sta nell’atteggiamento di alcuni uomini di cultura molto influenti sul futuro del monumento.

Citerò due  casi.

1. Recentemente, il Vice Presidente Esecutivo  del FAI (Fondo Ambiente Italiano), Marco Magnifico,  si è espresso in modo molto pesante sulla Villa Reale di Monza. A suo parere,  “La Villa Reale di Monza non è Venaria, ma un albergone che prima gli Asburgo e poi i Savoia usavano per belle feste in settembre. E’ del Piermarini, ma non c’è nulla di strepitoso”.

Non oso competere con i giudizi di questo esperto di beni culturali. Tuttavia, mi sembra legittimo esprimere qualche dubbio. La Reggia di Venaria, prima del restauro, era un rudere in condizioni ben peggiori della Villa Reale di Monza. Temo che, se Magnifico si fosse espresso prima del recupero, frutto di un investimento di  280 milioni di euro, l’avrebbe liquidata. Quanto al “nulla di strepitoso”, non mi sembra che la Villa di Monza   sfiguri rispetto alla struttura massiccia e alquanto  informe  di Venaria, o rispetto alla Scala di Milano. Anzi, mi sembra decisamente più armonica ed elegante (in senso matematico, non berlusconiano). E quanto alle feste, anche Luigi XVI aveva destinato  Versailles a quella funzione, sia pure con  scopi politici.

Ma il Magnifico, come molti altri meno colti di lui, sembra non  capire che  il valore della Villa di Monza è anche e soprattutto ambientale, per la sua integrazione con un Parco che è un esempio straordinario di architettura del paesaggio (strano, per il  dirigente di un Fondo che dovrebbe fare dell’ambiente la sua ragione d’essere!). 

Due sue osservazioni  meritano tuttavia attenzione, che in qualche modo attenuano  il giudizio negativo.

La prima, quando  egli parla del “cretinismo di alcuni restauri dello Stato, con gli appartamenti di Umberto e Margherita ridipinti da un imbianchino come un alloggio qualunque”. Allora, questo “albergone” non è proprio un alloggio qualunque! Chi ha  ora l’incarico di restaurare/ristrutturare la parte nobile della Villa dovrebbe tenerne conto .

La seconda, quando  dice che, “se dopo l’orario di chiusura la Villa viene affittata  per convegni e feste, non c’è  nulla di male”. Perfettamente  d’accordo!  Ma dopo l’orario di chiusura, non per tutta la giornata, come prevede il Disciplinare della gestione affidata ai salvifici  privati.

2. Come è noto, un paio di anni fa è stato costituito il Consorzio Villa Reale e Parco di Monza, con l’obiettivo di una gestione unitaria del complesso monumentale “per la sua conservazione, il  recupero e  la valorizzazione... sviluppandone i valori culturali, ambientali, architettonici e paesaggistici” (art. 2 dello Statuto). 

Tra gli organi statutari del Consorzio è previsto (art. 12) un Comitato Scientifico, composto di personaggi  “scelti e nominati tra persone  italiane e straniere particolarmente qualificate e di riconosciuto prestigio nelle materie d’interesse del Consorzio, con particolare riferimento alle competenze specifiche nel campo della tutela e conservazione dei beni culturali e paesaggistici”. 

Questo  Comitato Scientifico è di là  da venire. In compenso  il privato concessionario del restauro e della gestione del corpo centrale della Villa, forte del trasferimento dei poteri consortili,  ha costituito un suo  comitato scientifico, composto di un presidente e quattro “responsabili di area”. Le aree sono: Cultura, Food, Formazione, Eventi/Spettacoli”. Un organo che appare  più come qualcosa di para-manageriale   che   scientifico-culturale.

A ricoprire il ruolo di responsabile dell’Area Cultura  è stato chiamato  un personaggio di notevole  competenza, grande conoscitore e guida straordinaria per la visita di monumenti prestigiosi: Philippe Daverio. Ora, a  chi  ha cercato di coinvolgerlo nell’impegno per un restauro della Villa  rispettoso dei suoi valori storici e culturali,  ha espresso la convinzione che  l’affidamento a privati sia la migliore delle soluzioni. Evidentemente  anche lui non nutre  una particolare considerazione per i valori  storici, culturali e ambientali della Villa e del Parco, e non trova disdicevole  farne oggetto di un utilizzo speculativo, disinteressandosi dei probabili effetti distruttivi sul monumento.

 In conclusione: forse, per chi è abituato ad occuparsi  di oggetti  d’arte di consolidato  valore non solo culturale, ma anche economico,   i monumenti e gli ambienti  che richiedono un  faticoso e costoso lavoro di conservazione e restauro   rivestono minor interesse.  Il tutto, con la giustificazione della insufficienza delle risorse finanziarie pubbliche, che obbligherebbe  alla peggiore, e più impropria, forma  di ricorso ai privati: la forma speculativa, cioè del massimo profitto “a prescindere”.  

Questo non   significa, ovviamente,  escludere che  dalle visite a monumenti,  mostre ed eventi di alto livello culturale e richiamo per il grande pubblico, oltre che dalle attività accessorie, come i bookshop e le cafeterie, venga tratto un giusto profitto.

Significa, prima di tutto, non   dimenticare mai che la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali rientra tra i compiti fondamentali delle pubbliche istituzioni. Compiti che consistono nel destinare a quei beni  risorse adeguate, da ricavare con la tanto auspicata revisione della spesa pubblica (detta, per lip service, spending review), e  nel  sovrintendere autorevolmente sulle attività  operative, spesso  affidate  a privati.

Ma anche per quanto riguarda il ricorso alle risorse finanziarie private, esistono e vanno esplorati senza tregua modelli economici  non devastanti di valori superiori, come la raccolta di fondi (detta fund raising) da donatori, scarsamente praticata nel nostro Paese,  o anche le sponsorship finalizzate  all’aumento della notorietà o della immagine di una impresa (come nella recente operazione Della Valle-Colosseo).

Allora mi sembra lecita la domanda: non è che ci troviamo di fronte  a una tardiva adesione, da parte di  certi uomini di cultura,  a una visione economica di tipo liberista,  proprio nel momento in cui questa viene  messa sempre più in discussione? A una sorta di inedita  trahison des clerques?

 

Giacomo Correale Santacroce

 
Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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