miss padania 2010

Ma davvero sono i leghisti i depositari del patrimonio culturale del Nord Italia?

 

Ieri sera, facendo zapping davanti alla TV (non lo faccio mai perchè non ho la TV, ma sono in albergo per lavoro e non c'è nulla da fare qui intorno) mi sono imbattuto nelle finali di Miss Padania 2010.

Intendiamoci, non è la prima edizione del concorso di bellezza padana (credo che questa fosse la dodicesima). Ma questa volta hanno fatto le cose in grande stile.

La serata si è tenuta all'Arcimboldi di Milano. Cantano il "Va' pensiero", oramai inno leghista de facto, proprio nel luogo dove fino all'altroieri si esibivano le migliori voci mondiali. E invece ora lo canta una sconosciuta come prova per la finale. E mezzo pubblico in piedi con la mano sul petto.

La serata è trasmessa (in differita) su Rete4. E chi poteva trasmetterla altrimenti?

La notiziona nel corso della serata è che la Nazionale Padana ha sconfitto nei "campionati del mondo di calcio dei popoli senza nazione" non so quale altra rappresentativa. Il prode figlio Trota ne è Team Manager. Applausi in platea.

Conduce il fido Marco Balestri, comparsata di Emilio Fede, fra il pubblico la Moratti e Cota, giuria presieduta da Francesco Alberoni (e già questo quintetto basterebbe per cambiare canale immediatamente, ma resisto altri due minuti).

La cosa che trovo più vergognosa è che questi si appropriano della cultura lombarda e del Nord come se fosse una cosa (solo) loro.

I cartelli stradali in dialetto con le lettere sprayate li vediamo tutti i giorni. I manifesti elettorali tipo "Lumbard paga e tàs" più o meno ogni anno.
Del "Va' pensiero" e di Verdi diventato vessillo leghista ho già detto. Ma non basta.
Mi accorgo che la corona delle reginetta di bellezza è una "sperada", tipico copricapo popolare, realizzata per l'occasione in non so quale materiale, tempestata di dimantini.

Questi prendono il dialetto e la cultura popolare lombarda (la nostra cultura) per farne scempio a loro uso e consumo. Per sostenere l'attualità delle tradizioni lombarde, la mettono sullo stesso piano della cultura popolare moderna, andando però a pescare quella più gretta e di basso livello. Un po' come quelle donne che l'otto marzo, per rivendicare la propria parità e diritti, non trovano di meglio da fare che andare agli spogliarelli maschili.

Non lasciamo che le camicie e le cravatte verdi restino gli unici difensori delle tradizioni popolari lombarde. La cultura popolare appartiene a tutti noi, è stata costruita e tramandata nel corso dei secoli dai nostri nonni e bisnonni e prima ancora dai loro padri, e ci parla di lavoro nei campi, di fatica, di fame, di malattie, emigrazione e guerra. Non di tette e culi.