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Manca l'interesse. E chi non lo stimola, l'interesse, come può pretendere di rappresentare gli altri?

Se nei manuali di economia si cerca la parola crisi, tra i tanti modi di definirla, si incapperà anche in "punto di svolta". La crisi come momento di rottura che apre al cambiamento, in tanti ci stanno pensando. Incrinando la direzione consolidata, la crisi, potrebbe allargare a nuove possibilità. Sarà. Crediamoci. Infondo, ne vale la pena. Non abbiamo niente da perdere.

Ciò che stiamo attraversando è una crisi ben oltre la dimensione economica, che è certo quella che, di questi tempi, tocca le "anime" più da vicino. Siamo davanti ad una crisi che è crisi politica, crisi sociale, di rappresentanza e di relazione, dicendola in altre parole.

Inutile ripetere cause, dati e titoli di giornale. Basta allargare lo sguardo, guardarsi intorno. Anche a casa nostra. Oggi il mondo, anche nel nostro piccolo, esiguo, minoritario, vissuto, sembra la bicicletta raccontata qualche tempo fa da Luc Ferry che, lanciata nel vuoto, non ha altra scelta che continuare a muoversi o cadere.

Non vorrei essere catastrofista, non è nelle mie corde, ma sono persuaso a coglierlo, un malessere. Ci giostriamo tutti, con questo malessere. I più orgogliosi rispondono con l'ottimismo (ad ogni costo), gli incerti spostando leggermente lo sguardo, altri lo trasmettono, questo disagio, con le onde del proprio corpo, nei movimenti.

Davanti a questa situazione, alle ombre e al vento cattivo, nemmeno gli annunci di bella stagione sembrano sgombrare il campo. Davanti e dopo tutto questo, si invoca una sola unica soluzione: ripartire dal locale.

Quante volte lo abbiamo sentito dire? Lo si sente dire alla gente, ai politici, alle comunità laiche e pastorali. La si invoca, la risposta locale, ma molto spesso, come ogni preghiera, diviene ossessiva, retorica, ripetizione; nella speranza che sia il rito ad impegnare bocca e mente, senza scendere a fondo.

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Ripartire dal locale. Cosa buona e giusta, verrebbe da dire. L'unica possibile, da pensare. Sul concetto non si discute. Una delle massime che preferisco, la penso spesso, è quella di Che Guevara: "se ognuno spazzasse davanti alla sua porta di casa, alla fine la strada sarebbe pulita".

E' sul metodo, sul "come fare", che inciampiamo. Sul come spazzare l'uscio, insomma.

Prima che pensare a proposte concrete, bisognerebbe comprendere i meccanismi tramite cui portare a terra, radicare, le soluzioni, bisognerebbe scovare la chiave magica con cui ricucire lo strappo tra idee e quotidiano. Con particolare riferimento al discorso civile e comunitario.

Uso la parola discorso, e non a caso. Vorrei arrivare, alla fine di queste righe, alla parola narrazione.

Seguitemi: il passaggio è accidentato. Agire a livello locale: partire dal mondo dell'amministrazione e della cittadinanza. L'una e l'altra devono aprire (ritrovare?) un dialogo sulle idee e sui temi pubblici. Questo perché mi pare sia, nei fatti, un problema di comunicazione, prima che un problema di soluzioni. Mi pare esista e dilaghi un problema di consenso, coinvolgimento e discussione. Manca l'interesse, in altre parole. E chi non lo stimola, l'interesse, come può pretendere di rappresentare gli altri?

Guardate che non è una domanda banale, una delle domande possibili. Se ci pensate bene, è la domanda a cui rispondere per poter dare seguito a tutto il resto dell'intervista.

Dal blog di Alfio Sironi

Gli autori di Vorrei
Alfio Sironi

Mi occupo di tematiche geografiche dentro e fuori la scuola.

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