20170622 Franco Serantini

Il sovversivo è il titolo di un bel libro di Corrado Stajano che ripercorre la vita e la morte dell’anarchico Franco Serantini, ucciso giovanissimo dalle forze dell’ordine nel 1972.

 

Si tratta di 175 pagine che si leggono tutte di un fiato: un’inchiesta bellissima, di quelle che si fanno sempre più raramente, che uscì nel 1975 e che fu dunque tra i primi istant book (o quasi) pubblicati in Italia.

Pensateci: uno dei singolari lasciti della “Notte della Repubblica”, come sono stati chiamati gli anni del terrorismo, è che si sentì subito il bisogno di scrivere e di fare inchieste. Indimenticabile fu per esempio il libro scritto poco dopo la strage di Piazza Fontana da un collettivo composto per lo più da esponenti di Lotta Continua e intitolato La strage di Stato, che poi ha influenzato per decenni la lettura “di sinistra” di quel tragico evento. Al di là di quest’ultima considerazione, La strage di Stato forse fu il primo esempio di controinchiesta scritta in Italia, e vendette mezzo milione di copie.

Un altro libro di questo tipo fu scritto da Camilla Cederna e si intitolava Pinelli, ed era ovviamente dedicato alle circostanze della morte dell’anarchico milanese nella Questura di Milano. Libro a posteriori molto criticato perché metteva in cattiva luce la figura del commissario Calabresi.

Un altro celebre istant book di quegli anni fu scritto dal collettivo di Potere Operaio di Roma e si intitolava Primavalle: un rogo a Porte chiuse. In questo caso si trattava di una ricostruzione inverosimile dell’attentato incendiario che portò alla morte dei fratelli Mattei, figli del segretario di una sezione missina romana, bruciati vivi nel rogo della loro abitazione nel 1973.

Il libro di Stajano è il meno noto dei quattro libri che ho citato, anche se è l’unico a essere incluso in un catalogo di una grande casa editrice quarant’anni dopo essere stato pubblicato per la prima volta, perché ha sempre affascinato i lettori e perché è un’inchiesta scritta come un romanzo – Stajano è un giornalista di razza – o forse perché è la storia del giovane anarchico a sembrare un tragico romanzo di Dickens.

Franco Serantini era nato in Sardegna nel 1951. Ben presto orfano, fu affidato prima a un orfanotrofio di Cagliari e successivamente a una famiglia siciliana. Poiché la sua madre adottiva morì poco dopo, il bambino venne affidato per un po’ ai genitori di quest’ultima, con i quali visse per qualche anno in una situazione di grave indigenza, e infine fece ritorno in orfanotrofio.

In base alle legge sulla carcerazione minorile dell’epoca, che non era stata modificata dai tempi del Fascismo, il minore orfano e in particolari condizioni poteva essere destinato al riformatorio anche se non aveva compiuto alcun reato e anche se non aveva subito alcun processo. Fu ciò che accadde a Serantini.

Ancora in una condizione di semilibertà senza aver compiuto alcun reato – all’epoca la maggiore età si raggiungeva a 21 anni – arrivò a Pisa, dove cominciò ad interessarsi di politica.

Pisa, assieme a Torino, Roma, Padova e a Milano era stata uno degli epicentri della contestazione del 1968. E in particolare a Pisa erano stati fondati prima Potere Operaio e poi Lotta Continua, due tra i più noti movimenti extraparlamentari di sinistra di quegli anni, e il saggio di Stajano è anche lo spaccato della Pisa dove si svolsero i fatti.

Il 5 maggio 1972 il Movimento Sociale Italiano, il partito neofascista, ottenne il permesso di chiudere la campagna elettorale tenendo un comizio in piazza. Lotta Continua dichiarò pubblicamente che non avrebbe consentito al Movimento Sociale Italiano di tenere il comizio e indisse una contromanifestazione.

Lotta Continua si trovò però isolata poiché gli altri partiti e sindacati non aderirono alla manifestazione di protesta, alla quale presero parte invece diversi “cani sciolti” tra i quali c’era anche Franco Serantini che fino a pochi mesi prima aveva militato in Lotta Continua, ma che in quel momento era su posizioni più anarchiche.

Le forze dell’ordine schierarono diversi reparti, alcuni provenienti anche da Roma, con una proporzione di uomini di 7 a 1 per le forze dell’ordine rispetto ai manifestanti.

Gli scontri furono enormi e le forze dell’ordine si lasciarono andare a violenze paragonabili ai fatti di Genova e della scuola Diaz di 30 anni dopo.

Il Serantini, secondo le testimonianze (una delle quali proveniente anche da parte delle forze dell’ordine), pur non avendo commesso alcun reato, venne accerchiato e venne violentemente picchiato con calci e manganellate da un gruppo di poliziotti. Morirà in carcere due giorni dopo, senza che gli venisse prestato soccorso. In quei due giorni fu anche interrogato da un magistrato che lo rimproverò perché non riusciva a tenere la testa dritta ma la appoggiava sul tavolo.

Subito dopo la sua morte si mise immediatamente in moto un meccanismo burocratico di autodifesa. Si tentò infatti di far seppellire il corpo di Serantini il giorno stesso della morte senza che venisse fatta alcuna autopsia. L’insabbiamento della vicenda fu impedito grazie al pronto intervento di diversi cittadini, tra cui un impiegato del Comune addetto alle pratiche di inumazione, che si opposero alle pressanti richieste delle forze dell’ordine.

Il Partito Comunista mise cappello sulla vicenda con un infuocato articolo di Umberto Terracini su Rinascita, che costò a Terracini, che era stato presidente dell’Assemblea costituente e che aveva firmato la Costituzione della Repubblica, una denuncia per vilipendio delle forze dell’ordine.

Il sostituto procuratore che aveva interrogato Serantini e che “non si era accorto” delle sue condizioni di salute scrisse – fatto senza precedenti – una lettera di risposta a Rinascita, il periodico degli intellettuali vicini al Partito Comunista, per dare la sua versione dei fatti.

La vicenda di Serantini non è irrilevante nella storia d’Italia. Come talvolta accade, un certo evento diciamo così minore o poco noto ne innesca uno più grande, più importante e molto più noto.

Nelle ore successive all’omicidio di Serantini – perché omicidio fu – a Pisa si tenne infatti una grande manifestazione di protesta della sinistra extraparlamentare e non.

20170622 Franco Serantini libroTrent’anni dopo in tribunale a Milano si discuteva ancora di quella giornata.

I magistrati hanno ricostruito i fatti in questo modo. La sproporzione di forze messe in campo dalle forze dell’ordine e la caccia all’uomo sistematica e indiscriminata per la città non potevano che indicare che dall’alto era stato impartito l’ordine di punire i manifestanti.

Subito dopo il comizio che concludeva la manifestazione Adriano Sofri, il leader di Lotta Continua, venne pertanto avvicinato da altri membri del gruppo che avevano deciso di restituire i colpi subiti, a partire da quello di Pinelli in poi, e di reagire violentemente, colpendo un obiettivo che meritava di essere colpito da tempo. Adriano Sofri – poi condannato in via definitiva come uno tra i mandanti della rappresaglia – all’epoca godeva di una considerazione enorme nel suo gruppo e una sua schietta contrarietà avrebbe evitato quello che di lì a poco accadde. Sembra invece che Sofri abbia ascoltato lo sfogo dei suoi compagni e che abbia chiuso la discussione dicendo “se avete deciso di farlo, fatelo”.

Si riferiva all’omicidio del commissario Calabresi.

Corrado Stajano, Il sovversivo, Einaudi, pp.174, 13,00 euro

 

Gli autori di Vorrei
Juri Casati
Juri Casati

Classe 1975, lavora in un'Agenzia per il Lavoro. Laureato in Filosofia, è autore di numerosi racconti di genere horror, gotico, fantastico e fantascientifico. Coltiva interessi in ambito storico e di filosofia della scienza

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