20100708-SchifanoMario-CocaCola

Oltre a conservare i punti di forza tradizionali, legno-arredamento e meccanica, occorre agevolare l’evoluzione di settori produttivi innovativi


T

eorie ed esperienze di management dicono che aziende  caratterizzate da una lunga serie di successi e tuttora in posizione dominante sul mercato,  sono esposte al rischio di imbalsamarsi in  una cultura introversa, di ritenersi  in assoluto “i migliori”. E’ la cultura supponente del Nih, “Not invented here”, che ha portato, per esempio, la Xerox da un quasi monopolio nel mercato delle fotocopiatrici a una quota irrisoria. Lo stesso può avvenire per un territorio, e gli esempi non mancano (si pensi alla decadenza dell'Argentina, e al contrario allo sviluppo dell'Irlanda, e dello stesso Nord Est-Adriatico  del nostro Paese). Leggendo i diversi rapporti sull’economia della Brianza, si nota spesso  una tendenza alla autocelebrazione, un insufficiente spirito critico,  che richiama quel tipo di cultura troppo soddisfatta di sé che potrebbe preludere a una inversione rispetto ai passati successi. Questo vale in particolare nei discorsi sulla attrattività. Si nota spesso che la Brianza ha una apertura al commercio internazionale (somma dell’import e dell’export) eccezionale, superiore ad ogni altra provincia d’Italia. Questo dimostra che la nostra Provincia è forte sia nelle attività manifatturiere, sia in quelle commerciali (le importazioni sono superiori alle esportazioni, come del resto in buona parte del Nord Italia). Ma gli scambi commerciali non dicono molto sulla attrattività. Dice Adriano De Maio, Presidente della Fondazione Distretto High Tech Milano- Brianza (il cui nucleo è nel  vimercatese): “L’attrattività ha due facce: da una parte occorre trattenere quello che c’è, dall’altra attrarre. Cosa? Capitali, persone, attività produttive”. Guardiamo la prima delle  due facce: Si rileva che nel territorio brianzolo sono insediate 220 imprese multinazionali.  La presenza di imprese a controllo estero in MB (2% sul totale) è seconda solo a Milano (3,4%). Numericamente non si tratta di una grande presenza, tuttavia le dimensioni di queste aziende è molto superiore a quelle italiane, per cui la loro permanenza  in fatto di occupazione è molto importante. Se vogliamo dare un giudizio sul rapporto tra questa presenza e l’ attrattività, dobbiamo chiederci: “Perché queste imprese sono presenti nel nostro territorio?  Per vendere prodotti e servizi stranieri sul mercato italiano? Oppure  per produrre, e in questo caso per chi, per il mercato globale  o solo per l’Italia? O infine:  perché si è scelto di insediare in Italia   una direzione o un centro di ricerca transnazionale, avendo valutato la Brianza come un luogo strutturalmente preferibile, più attrattivo  rispetto ad altri,  “per vivere e per lavorare”? Sulla base delle informazioni raccolte nella ricerca dei capi d'impresa  da intervistare, mi risulta  che le imprese straniere appartenenti alla prima categoria siano  le più numerose (a cominciare dai centri commerciali) , le seconde siano importanti ma molto esposte a scelte  di delocalizzazione adottate   altrove, e che le  terze siano una minoranza. Ed è su queste ultime che si misura soprattutto l’attrattività. Non mi risulta che le ricerche su questi aspetti siano molto avanzate. Sicuramente c’è molto da fare. Per quanto riguarda la “seconda faccia”, quella dell’attrarre nuove imprese, sappiamo dai rapporti e dalle statistiche internazionali che la situazione italiana è drammatica. Nel 2009 la Banca Mondiale ha collocato  il nostro Paese al 65esimo posto quanto a convenienza a “doing business”. E per quanto riguarda gli IDE (Investimenti diretti esteri) l’Italia è il fanalino di coda non solo rispetto a paesi in via di sviluppo, ma anche rispetto all’Europa a nord delle Alpi. Credo che esista una correlazione tra questo fenomeno e  l’arretramento dell’Italia nella classifica dei paesi con i flussi turistici maggiori.

Le  indicazioni emerse dalle interviste sembrano proporre un percorso molto chiaro sul da farsi: oltre a conservare i punti di forza tradizionali della Brianza, come l’industria del legno-arredamento e la meccanica, occorre agevolare l’evoluzione  in atto verso  settori produttivi innovativi,  basati sulla ricerca, come quelli dell’informazione e della comunicazione (ICT) e delle fonti energetiche rinnovabili. E a questo scopo, realizzare le infrastrutture e il contesto ambientale necessari perché la Brianza tutta si presenti come “un buon posto per vivere ve lavorare”. Elementare Watson, direbbe Sherlock Holmes. Purtroppo la cultura  dominante (insieme agli  interessi sottostanti) è ancora legata ai modelli del passato, che vedono nel mattone e nell’asfalto l’ espressione  più appariscente del “fare”.

L’attrattività di un territorio dipende anche, è ovvio, dalla immagine che esso offre all’esterno. Milano gode di una forte e positiva immagine internazionale (che tuttavia deve competere con altre metropoli), ma la Pianura Padana è nota per essere una delle arre più inquinate del pianeta. In questo contesto, la Brianza è una perfetta sconosciuta, mentre l’immagine di Monza, anch'essa poco nota, viene ricollegata a un autodromo. Ed è difficile pensare che un autodromo produca attrattività. Un eventuale marketing territoriale dovrebbe puntare su argomenti di ben maggiore spessore.

Naturalmente, tutto ciò vale se si ritiene che accrescere l’attrattività della Brianza costituisca   un obiettivo importante. A meno di credere che non lo sia , ritenendo che la Brianza si sia dimostrata  in passato capace di raggiungere alti livelli di benessere e di soddisfazione sulla base della operosità e della capacità di aggiornamento dei suoi imprenditori, nelle attività manifatturiere come nel commercio e nei servizi. Il problema sta però nel fatto che  l’attrattività non vale soltanto  per le imprese estere  che sono già qui e che  si vorrebbero trattenere (cosa di non poco conto), o per quelle che si vorrebbe attrarre. Vale anche per chiunque vive e lavora in Brianza,  per le imprese brianzole che vogliono sopravvivere e soprattutto per i giovani.  Che credo conveniente non indurre a “delocalizzarsi”.

 

Le puntate dell'inchiesta

Introduzione - Monza e Brianza: cosa li rende attraenti?

1 - L'intervista ad Adriano De Maio (Distretto HiTech Brianza)

2 - L'intervista a Stefano Venturi (AD Cisco Italia)

3 - Augusto Abbarchi (SAP Italia)

4 - Pietro Palella (STMicroelectronics)

5 - Giuseppe Crippa (Brianza Plastica)