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Paolo Piffer si ricandida a sindaco: "La città ha bisogno di respiro, di prospettiva, di una visone più complessa. Solo il ricambio delle nuove generazioni la possono portare, naturalmente con il supporto dei più esperti"

 

Dopo l'intervista fatta a Michele Quintadamo, proseguiamo i nostri servizi sul tema delle elezioni di Monza, con questa a Paolo Piffer. 

 

Cominciamo della sua storia personale. Come arriva Paolo Piffer alla politica?
Sono nato a Torino, per motivi di lavoro ci siamo trasferiti a Monza nel 1987, avevo 7 anni. Sono cresciuto nel quartiere Cazzaniga. Qui ho frequentato la scuola Olivetti di via Lecco e poi mi sono laureato in psicologia della comunicazione e scienze e tecniche psicologiche all'Università Bicocca. Già durante la frequenza ho iniziato a praticare tirocini a Milano e a specializzarmi nei servizi sociali, nei centri psichiatrici e nell'affrontare il disagio giovanile. Ora sono un educatore e partecipo all'attività di diverse associazioni nel campo della psicologia, alcune ho contribuito a fondarle. È il lavoro più bello del mondo: per me è estremamente appagante occuparmi delle problematiche sociali, offrire soluzioni, aiutare e accompagnare le persone in difficoltà

 

È stata un'esperienza molto difficoltosa, molto impegnativa e anche molto formativa

Lei si era presentato come candidato sindaco già alle elezioni precedenti. Per Monza era stata una novità, come modalità di approccio alla politica locale e soprattutto per la proposta di cambiamento, supportata dalla giovane età del candidato. Che bilancio ha dei cinque anni di attività?
Assolutamente positivo. È stata un'esperienza molto difficoltosa, molto impegnativa e anche molto formativa. Cinque anni di impegno sono tanti in generale. Lo sono di più se si deve intervenire con un solo rappresentante, come è capitato a noi. Ho dovuto e ho voluto partecipare a tutti i consigli comunali e a tutte le commissioni. Quasi ogni sera sono stato presente in comune a partecipare in ogni ambito di discussione sulla politica amministrativa. Fino al 2012 la mia conoscenza si era specializzata nell'ambito dei servizi sociali. Per questo ho dovuto rapidamente apprendere molti altri saperi e partecipare con cognizione al complesso delle tematiche amministrative. È stata dura. Lo confesso. Però, mi ha consentito di accumulare un bagaglio di conoscenze che non devono essere disperse e che stanno alla base della mia ricandidatura.

 

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La squadra di Paolo Piffer

 

Nel lavoro è stato supportato da altri componenti della lista?
Si, da una squadra. Nel 2012 eravamo tanti ragazzi. Con qualcuno ci sono stati problemi, si sono aperte distanze, come avviene normalmente in politica. Altri si sono semplicemente spostati verso impegni sopraggiunti nella vita extra politica: hanno formato famiglia, hanno avuto figli e si sono spostati in altre città. Sono i percorsi naturali dell'evoluzione vitale di tutte le persone. Una buona parte del gruppo tuttavia mi sostiene in questa rinnovata esperienza.

 

Sono arrivate anche nuove persone?
C'è stato un avvicendamento: sono entrate nuove persone e hanno portato nuova carica motivazionale a perseguire il progetto. Abbiamo una buona e consistente partecipazione. Sono l'unico consigliere, ma dietro di me c'è una squadra molto attiva, radicata nel territorio perché ognuno dei componenti si collega ad altre attività: nell'associazionismo, nel volontariato, in attività imprenditoriali, nello sport.

 

noi abbiamo grande rispetto per i competitors politici, non siamo mai violenti nel linguaggio

Per alcuni aspetti la vostra lista ha similitudini con i 5 Stelle, per atri no. Ci spiega quali sono le differenza?
La nostra è una connotazione puramente locale. È una differenza non da poco. Se posso premettermi, aggiungo che forse un'altra differenza sostanziale sta nello stile del nostro modo di relazionarci: noi abbiamo grande rispetto per i competitors politici, non siamo mai violenti nel linguaggio. Non sono ovviamente critiche rivolte ai due consiglieri uscenti, che peraltro hanno svolto un ottimo lavoro e mi spiace che non si ricandidano, quanto piuttosto alla natura del movimento che è riconducibile a una precisa leadership, di fatto proprietaria del partito, o non partito come si definiscono, e che ne determina l'identità profonda con quel modo di comunicare e scandire le azioni politiche dall'alto. A me non piace, lo dico apertamente. È una mia critica al movimento ed è il motivo di base per cui partecipo all'esperienza di un soggetto singolare come è la lista che mi sostiene.

 

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Chioccia con pulcini  - Museo del Duomo di Monza - Foto di Pino Timpani

 

La scorsa primavera abbiamo intervistato tra gli altri Alessandro Cagliani, candidato sindaco a Vimercate. Non le sembra ci siano anche qui almeno due affinità di approccio: la costituzione di una lista civica prettamente locale e l'età generazionale?
Non nell'età: perché lui ha qualche anno più di me. Forse nella valenza della lista locale. Ma penso che se ci sono delle affinità le possiamo trovare nel suo modo imparziale di analizzare le vicende territoriali, dando ragione o torto indistintamente a destra o a sinistra. Abbiano certamente un'estrazione diversa: lui viene dalla cultura politica della Democrazia Cristiana, mi pare sia un fan di Cirino Pomicino e De Mita. La mia esperienza politica arriva direttamente dalla società, senza passare dai partiti. Una nostra caratteristica, che potrebbe in parte coincidere è che noi riteniamo anacronistica la differenziazione tra destra e sinistra. È più fittizia che sostanziale.

 

La mia esperienza politica arriva direttamente dalla società, senza passare dai partiti

Non avete nessun riferimento alla politica nazionale?
La nostra lista nasce e risponde a esigenze caratteristiche di Monza. Sappiamo che molte problematiche si ripetono a cascata dal livello nazionale. Per esempio vediamo spesso, anche in altre città, come gli interessi di parte prevalgano sugli interessi collettivi, perché i partiti nell'agire amministrativo, sia di destra che di sinistra, antepongono spesso le loro finalità di parte. Noi siamo contrari a questo modo di fare politica. Potremmo supporre e sperare che la nostra modalità si diffonda nel livello nazionale attraverso una proliferazione di liste civiche. Sarebbe il modo più salutare per riformare la politica.

 

È difficile competere con le macchine strutturate e collaudate dei partiti?
Purtroppo sì. Loro si alimentano nelle funzioni amministrative strutturandosi in modo complesso con strutture anche di sostegno economico. Per questo si genera un circolo vizioso, dove per mantenere le strutture sono costretti ad amministrare. Noi ovviamente non abbiamo, né vogliamo avere, quel livello economico e nemmeno abbiamo una visibilità di ricaduta dalla notorietà del livello nazionale. Chi segna il nostro simbolo sulla scheda elettorale lo fa perché ci conosce direttamente e non perché sente parlare di noi in tv. La nostra capacità di comunicazione risente di questo limite, che poi si potrebbe vedere come un pregio, nel senso che le nostre relazioni sono più concrete e autentiche.

 

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Scuola di Affresco - di Micaela Tornaghi - Opifico Tornaghi, ex Oleificio, Monza

 

Ogni volta sono stato accusato dalle forze di schieramento opposto di essere filo Pd o filo Lega o M5S

Durante il mandato amministrativo avete avuto occasione di condividere obbiettivi e proposte con altre forze politiche?
Abbiamo votato favorevole a molte proposte valide provenienti dal Pd e da Forza Italia, dal M5S alla Lega ecc. Proprio perché la nostra lista è senza preconcetti. Ogni volta sono stato accusato dalle forze di schieramento opposto di essere filo Pd o filo Lega o M5S. Ho avuto non pochi problemi nel districarmi dalle ragnatele tessute dalla politica: molto spesso vengono presentati emendamenti e mozioni in forma strumentale per far raccogliere consenso al proprio partito. Chi è dentro questa logica non è in grado di capire per quale motivo non partecipiamo a questo gioco della convenienza, dove per conseguenza quasi sempre vengono eluse le soluzioni giuste che la popolazione si attende. Si proferisce accontentare la propria parte, nella convinzione di doversi accaparrare sempre e comunque un consenso elettorale. Qui, ripeto, ho fatto davvero fatica. C'è una competizione da psicodramma. La vera sfida di oggi è avere il coraggio di rompere i pregiudizi, che peraltro ho constatato si esistendo, purtroppo, anche negli elettorati: mi è capitato di sentire disappunto da cittadini che, pur ritenendo giusta una proposta, non l'accettano se questa è sostenuta da un partito che odiano.

 

Non concepiscono l'uso non strumentale in politica?
In genere non credono più nell'imparzialità di un politico. C'è la convinzione diffusa che ogni posizione presa da un politico nasconda secondi fini, interessi di parte se non personali. Sono ancora stupito perché in cinque anni sono stato il consigliere più attaccato dal sindaco, a volte in modo duro sia dentro che fuori dall'aula consigliare, ciononostante venivo accusato di avere accordi con lui. Questo paradossalmente vuol dire che ho lavorato bene. Perché se si viene accusati di una cosa e poi del suo opposto, vuol dire che si è fuori dalla contesa partitica e si stanno rispettando i principi di imparzialità. Quando non si ha un partito nazionale di riferimento, gli avversari di destra o di sinistra che siano, temono la sottrazione di consenso elettorale, allora provano collocarti a destra o a sinistra, dove più gli fa comodo. In questi anni alcuni avversari mi hanno guardato con sospetto e a volte con compassione, come per dire: poverino, non hai capito niente di come funziona la politica. Uno dei motivi per cui mi ripresento è anche per avere un riscontro, per capire se nella società può maturare la forza e la volontà di cambiare queste dinamiche nefaste presenti nella politica attuale. Capire se i cittadini, almeno a Monza, si accontentano di essere governati in base a banali messaggi stereotipati: quelli di destra sono garanti dell'ordine e delle sicurezza e quelli di sinistra difendono i poveri.

 

Ci sono dei risultati positivi ottenuti dalla vostra azione?
Prima di tutto voglio dire che sono stato uno dei primi a Monza, forse il primo, ad utilizzare i social network per comunicare, quando gli altri snobbavano Facebook, ritenendolo un futile passatempo per ragazzi in vena di selfie, salvo ora, in campagna elettorale, iscriversi e creare pagine per diffondere la loro propaganda. Ho utilizzato questi strumenti per tenermi costantemente in contatto con i nostri elettori e i cittadini, per sentirne quotidianamente le opinioni e trarne orientamento sul nostro lavoro in consiglio comunale. Di tante proposte che abbiamo fatte, non ne hanno approvate molte. Partiamo dalla fine. Le ultime due mozioni che ci hanno approvato sono: il cimitero per cani, un tema che coinvolge emotivamente tante persone, perché a Monza gli animali sono “smaltiti” come rifiuti speciali e ora potranno avere un luogo degno per la loro sepoltura; la seconda mozione approvata riguarda la proposta di vincolare il gettone di presenza, in consiglio comunale, alla presenza effettiva dei consiglieri.

 

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Selfie di Paolo Piffer

 

Perché i consiglieri sono poco presenti?
Alcuni vengono all'inizio delle sedute, certificano la loro presenza e poco dopo se ne vanno da altre parti a svolgere altre attività. C'è chi entra, resta cinque minuti e dopo se ne va, prendendo lo stesso compenso di chi rimane per quattro ore in aula. Ora, non voglio misurare la qualità del lavoro con la quantità di tempo di permanenza in aula, però mi pare che sia una una scorrettezza inaccettabile. Questa mozione è stata accolta. Altre no. Per esempio quella con a tema l'eliminazione delle barriere architettoniche, purtroppo è rimasta ancora al palo. Sempre li dov'era dal 1989. Quando ho fatto l'accesso agli atti per istruire la mozione, ho scoperto tra le carte la presenza di un documento scritto con la vecchia macchina da scrivere, segno evidente della configurazione venusta in cui ristagnano queste norme.

 

Offriamo l'opportunità di perseguire il cambiamento della politica, a partire da quella diretta e immediata nel proprio comune

È possibile riassumere per concetti sintetici le motivazioni di fondo della sua ricandidatura?
Ci sono due motivi di fondo: il primo è per capire quante persone sono disposte a seguire questa nuova esperienza. Da quando abbiamo avviato il percorso se ne sono aggiunte molto altre. È un riscontro che fa pensare che anche nella cittadinanza è apprezzato il nostro lavoro e c’è voglia di una svolta. Il secondo motivo è per non disperdere il lavoro, l'esperienza maturata e le preziose conoscenza che abbiamo accumulato. Ripresentandoci creiamo la possibilità di farle proseguire in futuro anche ad altre persone, offrendo nello spazio che abbiamo creato, l'opportunità di perseguire il cambiamento della politica, a partire da quella diretta e immediata nel proprio comune.

 

Non avete preso in considerazione di allearvi con altre forze politiche?
Non ci sono state le condizioni. Le forze in campo sono tutte parecchio lontano dal nostro modo di vedere la politica. Il nostro hashtag è: diversi da tutti.

 

Però, se si vuole amministrare bisogna necessariamente concorre per vincere, nelle condizioni attuali, se non si formano alleanze, diventa difficile se non impossibile. Lo avete considerato?
È vero: competere per vincere è arduo, ma non impossibile. Non concorriamo per vincere a tutti i costi. Del resto l'ansia di vincere per forza ha contribuito a creare alleanze tra forze incompatibili tra loro. Nello schieramento di centrodestra sono affiancati il simbolo della bandiera italiana (Forza Italia) e il simbolo localista di una forza (Lega) che vede i propri consiglieri uscire dall'aula consigliare quando viene eseguito l'inno nazionale italiano. Sono differenze abnormi. Eppure si mettono insieme con l’intento di vincere, per poi magari litigare durante tutto il mandato amministrativo, con conseguente grave danno di inconcludenza alla collettività. A sinistra si sta assemblando un'alleanza non dissimile per contraddizioni, quando una forza (Sel) che critica aspramente a livello nazionale l'altra alleata (Pd) si accorda sul livello locale, cancellando per convenienza tutte le differenze.

 

Siamo stati fortemente contrari a come sono stati gestiti i progetti di recupero delle aree dismesse

Qual'è la vostra posizione sul Pgt che è stato da poco approvato?
Contraria. Nonostante abbiamo apprezzato aspetti importanti, sicuramente è stato un passo avanti rispetto alla variante di Mariani, abbiamo registrato pochissima partecipazione. Sono stati proposti diversi eventi in cui si simulava un ascolto dei cittadini, ma poi nei fatti le decisioni prese dalla maggioranza non hanno accolto pressoché nessuna delle osservazioni e delle proposte fatte dalle associazioni. L'urbanistica ha tenuto in scacco Monza per troppi anni: abbiamo dedicato un quantità enorme di tempo nei lavori di commissione e altro come in nessun altro tema e nonostante i problemi della città siano concentrati in altri settori, come i problemi della casa e i problemi sociali. Evidentemente nell'urbanistica si celano interessi, tanto forti economicamente, da imporsi alla priorità di tutto il resto. Siamo stati fortemente contrari a come sono stati gestiti i progetti di recupero delle aree dismesse. Secondo noi, va bene limitare il consumo di suolo e utilizzare le aree dismesse, ma in queste non si possono costruire edifici alti sette piani, perché magari quelle volumetrie sono utili alle operazioni dei costruttori, ma non alla città che invece ha bisogno di essere decongestionata, di avere più respiro. Peraltro gli appartamenti realizzati sono tutt'ora invenduti o sfitti. Ci sono altri modi per riqualificare le aree.

 

Andava costruito meno residenziale?
E non solo. Non siamo contrari all'attività edilizia per preconcetto. Bisogna solo farla rispettando le necessità della città. Ci chiediamo a cosa possa servire l'avere il bilancio in regola, ma ritrovarsi a un certo punto con migliaia di appartamenti vuoti e con una serie di problemi sociali che si accumulano costantemente e non trovano soluzioni adeguate. A questo va aggiunto che, aldilà dell'enfasi che ha accompagnato i progetti di riqualificazione delle periferie, in realtà è stato realizzato molto poco. Addirittura alcuni quartieri, come Sant'Albino e San Fruttuoso, sono stati completamente trascurati e a San Rocco ci hanno messo otto anni a ridurre i problemi derivanti dal depuratore.

 

Cosa andrebbe fatto?
In quei quartieri che ho citato praticamente tutto, a partire dalla minimale segnaletica. Bisogna puntare sul digitale. Ma da quanto si vede non c'è nessuna intenzione, non la si ritiene prioritaria per Monza. Bisogna cambiare amministrazione.

 

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Il Sindaco attuale, Roberto Scanagatti e quello precedente, Marco Mariani, con alla propria destra le rispettive mogli - Foto di Pino Timpani

 

Quella in carica non è adeguata?
Per carità! Ci sono persone oneste e competenti, con grande esperienza, di questo non si discute. Ma questo non basta. Ci vuole il cambiamento. Si dice che è meglio farsi operare dal chirurgo che ha un'esperienza di trent'anni, perché è più sicuro, ma non è indispensabile farsi governare dallo stesso politico per trent'anni. Perché nella politica è diverso. Conta il sapere interpretare le esigenze sociali, che mutano nel tempo e si manifestano in modi diversi. Lo stazionare di un politico porta alla sedimentazione e alla stagnazione di dinamiche viziate da interessi. Non dico di essere migliore o peggiore di chi amministra ora. Penso sia giusto cambiare, lasciare spazio ad altri, anche se devono maturare conoscenze ed esperienze. Il valore della cosa pubblica è legato alla democrazia, alla possibilità che possa essere amministrata da tutti come bene di tutti.

 

Allora faccio una proposta: facciamo un governo dei trentenni e diamo spazio ai sessantenni


Ci vuole il cambiamento?
Si, perché essere migliore o peggiore è una valutazione soggettiva. Non ho la presunzione di essere più bravo di chi da trent'anni amministra Magari potrei anche esserlo se messo alla prova. Ma il punto non è questo. La città non è fatta di numeri di bilancio. È fatta di reti, di attività di persone in un mondo in continuo cambiamento. Monza ha bisogno di respiro, di prospettiva, di una visone più complessa. La giunta attuale è composta da persone esperte, ma però appartenenti a una generazione che è cresciuta in un contesto passato che ora non c'è più. Alle prossime elezioni ci saranno liste piene di sessantenni che scriveranno “bisogna dare spazio ai giovani”. Allora faccio una proposta: facciamo un governo dei trentenni e diamo spazio ai sessantenni.

 

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Chi è Paolo Piffer:

Ho 37 anni. Sono nato a Torino ma cresciuto a Monza. Prima laurea in Psicologia della Comunicazione, seconda in Scienze e Tecniche Psicologiche. Nel 2005 la mia prima esperienza come tirocinante nell’ambito del disagio psicologico presso l’A.R.P. di Milano (Associazione di ricerca in Psicologia Clinica).

Nel 2008 comincia la mia avventura nel volontariato, l’associazione che mi offre questa possibilità è l’A.R.P.A. (Associazione per la Ricerca Psicologica Applicata), un Centro Diurno per adulti psichiatrici dove imparo il valore dell’ascolto. Parallelamente inizio a lavorare a Monza come Educatore presso una Cooperativa Sociale che si occupa di Assistenza Domiciliare Minori e Assistenza Domiciliare Disabili.

A fine 2008 sono uno dei soci fondatori dell’Associazione l’Isola che non c’è onlus, un Centro che si occupa di disagio psichico e disturbi dello sviluppo nella pubertà e nell’adolescenza. Nel 2010 comincio a lavorare con il Carcere di Monza dove partecipo attivamente ai progetti di inclusione sociale di detenuti ed ex detenuti, attività che svolgo tuttora.

Nel 2012 mi candido a Sindaco di Monza appoggiato da due liste civiche e vengo eletto consigliere comunale.

Dal 2015 insegno anche psicologia all’Accademia Dante Alighieri. Sono attualmente vicepresidente di SmartNation, un’associazione che svolge attività di promozione e utilità sociale sostenendo l'innovazione nonché lo sviluppo della cultura e dell'economia digitale.

Di recente ho contribuito alla fondazione dell’Associazione Ad_Agio che si occupa di sostenere il benessere psicologico della popolazione e ridurre il peso del disagio psichico, in particolare dei gruppi sociali più vulnerabili. Donatore Avis. Tennista dentro. Vegetariano. Amante degli animali. La Nonna come unico e vero consulente politico.

 

 

 

 

Gli autori di Vorrei
Pino Timpani

"Scrivere non ha niente a che vedere con significare, ma con misurare territori, cartografare contrade a venire." (Gilles Deleuze & Felix Guattari: Rizoma, Mille piani - 1980)
Pur essendo nato in Calabria, fui trapiantato a Monza nel 1968 e qui brianzolato nel corso di molti anni. Sono impegnato in politica e nell'associazionismo ambientalista brianzolo, presidente dell'Associazione per i Parchi del Vimercatese e dell' Associazione Culturale Vorrei. Ho lavorato dal 1979 fino al 2014 alla Delchi di Villasanta, industria manifatturiera fondata nel 1908 e acquistata dalla multinazionale Carrier nel 1984 (Orwell qui non c'entra nulla). Nell'adolescenza, in gioventù e poi nell'età adulta, sono stato appassionato cultore della letteratura di Italo Calvino e di James Ballard.

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