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  Dossier: Spazi comuni, luoghi di socializzazione. Pannelli prefabbricati alti 8 metri o rete metallica e filo spinato, il muro illegale di Gerusalemme come galleria per artisti come Banksy, come luogo di protesta e di solidarietà

G

erusalemme. Ho esultato quando abbiamo trovato una casa con vista. Muro.

Di lá non c’è il verde del Parco, ma la Palestina che si è per poco imbiancata di neve.

Subito dopo la cupola della roccia e il muro del pianto è il luogo piú simbolico da vedere dalla finestra. Inoltre è vicino alla scuola di mia figlia e ovviamente piú economico.

Luogo controverso, illegale, paradigmatico è uno spazio condiviso che allo stesso tempo sancisce l’unilateralitá del potere israeliano come forza occupante.

Cionostante è capace di creare fenomeni di socializzazione dei piú disparati.

Nelle aree urbane è costituito da pannelli prefabbricati alti 8-9 metri con un buco in alto per essere installati con la gru. Ne esistono varianti a mattoni e con motivi decorativi come se fosse possibile imbellettarlo. In alcune parti è fatto di rete metallica elettrificata.

Il cemento grigio trasuda squallore contenutistico ed estetico.

Artisti di strada come il francese JR1 e l’inglese Banksy2 sono stati capaci di trasformarlo in luogo d’arte. Bansky ha chiaramente espresso il suo parere sul muro di separazione: è una disgrazia, la struttura piú invasiva e degradante al mondo, che offre peró l’eccitante possibilitá di potersi trasformare nella piú lunga galleria della libertá di parola e cattiva arte3. In diversi artisti hanno contribuito, ognuno per qualche metro. Su 708 chilometri di muro, il successo rimane parziale.

JR ha affisso poster enormi affiancando ritratti di una persona israeliana e una palestinese che fanno lo stesso lavoro. La provocazione è che è raramente possibile distinguere la nazionalitá dei due. Ho scattato la foto qui sotto circa un anno e mezzo fa a Betlemme e ieri ho visto che purtroppo i manifesti di JR si sono quasi completamente dissolti per l’azione della pioggia e del sole, lasciando di nuovo emergere il grigiore.

 

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Banksy fa sognare: che ci siano paesaggi caraibici oltre il muro, dipingendo finestre e scostando tende; che il cemento sia carta, suggerendo una linea tratteggiata con una forbice per ritagliarvi un’apertura; che sia fantasticamente superabile, con una scaletta a pioli o come fa una bambina con le treccine, appesa ai suoi palloncini4.

 

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Banksy tiene nascosto il suo vero nome e la sua faccia ai piú proprio perché realizza graffiti raffinati e provocatori sui muri delle cittá, forma d’espressione che non tutte le municipalitá considerano precisamente legale.

Il muro stesso è luogo di illegalitá. La sua costruzione è iniziata nel 2002 da parte dello stato di Israele in difesa dei propri cittadini per prevenire ‘l’infiltrazione di terroristi ed elementi criminali’5. La Corte Internazionale di Giustizia, pur riconoscendo ad Israele il diritto all’autodifesa, si è detta non convinta che la costruzione del muro fosse l’unica risposta possibile. L’impressione è che ci sia un chiaro desiderio espansionistico connesso alla realizzazione del muro, declinato nell’acquisizione forzata di terra, in violazione del’articolo 2 (4) della Carta delle Nazioni Unite6. Si stima infatti che una volta completato, il muro sia all’85% su suolo palestinese e non lungo la ‘green line’, ovvero il confine tracciato sulla mappa con una penna verde nel 1949 e internazionalmente accettato come confine tra Israele e Palestina7. Se quest’operazione contnuasse, il muro sarebbe luogo di annessione, donando a Israele di 530 km2 di terra palestinese, inclusa tutta Gerusalemme Est, e lasciando una popolazione di 350.000 palestinesi intrappolata tra il muro e la green line8.

Nel 2004 la Corte Internazionale di Giustizia ha sancito che la costruzione del muro e il regime di controllo ad esso associato sono contro le leggi internazionali. Ha quindi richiesto l’immediata interruzione della costruzione, il suo smantellamento e la restituzione di, tra gli altri, case, aziende e poderi agricoli requisiti ai palestinesi o la compensazione di coloro a cui sono stati demoliti9. Da allora nulla è successo. Anzi, è continuata la costruzione10.

La domanda su cosa sia illegale sorge spontanea quando vedo ragazzi e uomini palestinesi che scavalcano il muro aprendosi un varco tra il filo spinato e calandosi con una corda da quell’altezza considerevole. Rischiano parecchio, perché se vengono perquisiti e sono senza permessi vanno dritti in galera. Non voglio parlare qui della condizione di chi viene incarcerato per mesi senza nemmeno il diritto di sapere perché né di poter essere visitato dalla famiglia. Una condizione che ha sollevato una forte protesta qualche mese fa con un lunghissimo sciopero della fame da parte di alcuni detenuti.

Non sono riuscita a trattenermi dal fotografare l’atto illegale di scavalcare il muro illegale ma ho cancellato tutto per non mettere a rischio quelle persone. Posso peró mostrare un varco.

 

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Al muro sono connessi i posti di blocco, punti in cui la linea doppia continua si fa tratteggiata. Per alcuni: gli internazionali, gli israeliani e i palestinesi a cui è stato concesso il permesso, evento piuttosto raro e complesso, come mostra il video gioco ironico ma esplicativo realizzato e pubblicato con sottotitoli in inglese da due organizzazioni israeliane per la difesa dei diritti umani11.

http://www.btselem.org/video/201210_prohibition_game + Nota

Per i Palestinesi che contestano l’occupazione e il muro, i posti di blocco sono luoghi di protesta. Qalandiya, situato tra Gerusalemme e Ramallah, è uno tra i piú rinomati per la severitá dei controlli israeliani. Alcune organizzazioni internazionali vietano ai propri operatori di passarci perché è spesso arena di scontri.

Dalla parte palestinese un gruppo di ragazzi manifestava urlando slogan e sventolando bandiere. Avanzava verso il posto di blocco, sulla strada dove le macchine erano in attesa di passare. Osservavo da una postazione privilegiata, dall’alto di un sedile vicino al finestrino sull’autobus proveniente da Ramallah, anch’esso in coda. Sullo spartitraffico, lungo il mio stesso lato, due soldati israeliani avanzavano in direzione contraria alla coda di veicoli. Alla mia altezza, con il loro elmetto appena sotto al mio naso al di lá del vetro, uno ha dato una gomitata d’incoraggiamento all’altro che ha preso la mira con un fucile che terminava in una specie di funghetto bianco e ha sparato un fumogeno. Un rumore che fa sobbalzare, una scena da guerriglia urbana intanto che la quotidianitá scorre imperterrita tra donne velate che spingono il passeggino e venditori ambulanti che propongono merci improbabili ai finestrini degli automobilisti fermi. I ragazzi si sono sparpagliati correndo tra le macchine e i militari sono tornati alla jeep parcheggiata sul lato israeliano di quel luogo di conflitto per riposizionare un nuovo fumogeno sull’arma.

Qalandiya è anche luogo di solidarietá. Dal 2001 l’organizzazione di donne israeliane Machsomwatch conduce osservazioni quotidiane nei posti di blocco per documentare quello che accade, le violazioni nei confronti dei Palestinesi e la negazione del loro diritto a muoversi liberamente nella loro terra. Diffondendo la documentazione raccolta cercano di influenzare l’opinione pubblica in Israele e nel mondo per porre fine all’occupazione che ritengono distruttiva sia per la societá israeliana che per quella palestinese12. Ho avuto il grande piacere di conoscere Ilana che mi ha raccontato della sua esperienza di volontaria per Machsomwatch e della frustazione quando da parte israeliana è stato loro imposto di condurre l’osservazione da dietro una transenna, ad una certa distanza dai militari. In questo modo è stata fortemente ridotta la loro capacitá di interagire coi soldati per promuovere un comportamento rispettoso dei diritti umani ed evitare che Qalandiya continuasse ad essere un noto ed odiato luogo di sopraffazione.

Che anche un luogo di frattura come il muro costruito da Israele in Palestina istituisca interessanti relazioni sociali è un gradevole dato di fatto che non fa comunque smettere di augurarsi il suo pronto abbattimento.

 

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2 Il video in inglese di Banksy “Exit through the Gift Shop” presenta il fenomeno degli artisti di strada che producono graffiti come forma d’arte http://www.banksyfilm.com/videos.html?reload

3 Traduzione parafrasata di quanto attribuito a Banksy in un servizio di Channel 4, rete televisiva inglese, nel 2006 http://www.youtube.com/watch?v=XXSg8BApBwA

4 Un video di Banksy mentre realizza alcune delle sue opere in Palestina: http://www.youtube.com/watch?v=fZK7D6WqzR0

5 Affermazione del Governo Israeliano citata da UNOCHA, East Jerusalem: Key Humanitarian Concerns, Special Focus, Marzo 2011 nella nota 137, al momento non reperibile su internet.

6 Al-Haq, The Annexation Wall and its Associated Regime, The Wall Campaign: Ten Years Too Long, Seconda Edizione 2012

7 ibidem

8 ibidem

9 Quanto riportato è tratto dagli articoli 140, 141, 142, 143, 151, 152, 153, 159 del documento della Corte Intrernazionale di Giustizia intitolato ‘Conseguenze legali della costruzione di un muro nel Territorio Palestinese Occupato’ del 9 Luglio 2004 http://www.icj-cij.org/docket/files/131/1671.pdf

10 Ad Aprile 2012 ne sono stati completati 483 km; 60 km sono in via di costruzione e altri 230 km sono stati pianificati entro il 2020 (Al-Haq, 2012)

11 Il video è stato realizzato da ACRI, associazione per i diritti civili in Israele e pubblicato online da B'Tselem nell’ottobre 2012. B'Tselem agisce innanzitutto al fine di cambiare la politica israeliana nei Territori Occupati e assicurarsi che il suo governo (Israele) protegga i diritti umani dei residenti nei Territori e rispetti il diritto internazionale.