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Speciale 70° della Liberazione. Egeo Mantovani, 93 anni, presidente onorario dell'Anpi di Monza e Brianza. Una vita passata a resistere alla guerra e al fascismo: da soldato, da lavoratore e infine da pensionato con l'impegno culturale

 La foto di apertura è di Emanuela Manco

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i riceve nella sede Anpi di Monza, al primo piano del Circolo Carlo Cattaneo, l'edificio che fa da angolo tra via Vittorio Veneto e Via Felice Cavallotti. A 93 anni, verso i 94, Egeo Mantovani sembrerebbe ancora un ragazzo, se non fosse per il fisco e la corporatura di anziano. E' incontenibile. Ci sommerge di documenti, di foto, di particolari, di dettagli e di lunghissime narrazioni. Più volte gli spieghiamo che stiamo realizzando una semplice intervista. Per raccontare tutto ci vorrebbe un libro. «Si, infatti sto lavorando alla stesura di un libro». Ci dice candidamente e tira fuori da un cassetto un pacco di fogli stampati con vistose correzioni fatte a matita. «Questo però non te lo posso dare. Perché lo sto correggendo e poi devo consegnarlo a uno scrittore che lo sta seguendo. Posso darti i video, e fotocopiarti il libro Capitale Operaia di Pietro Crespi». Siamo costretti a declinare l'offerta. Non possiamo scrivere tutto. Possiamo tuttavia riportare, con le parole da noi scritte, la grande carica umana di una persona semplice e genuina. Una persona come tante altre che ha dovuto subire il potere coercitivo e la guerra. Ancora si emoziona e parla come se i fatti riportati fossero avvenuti ieri e non 70 anni fa.

 

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 Egeo Mantovani - Foto di Pino Timpani

Nel nostro speciale sul 70° della Resistenza, non poteva mancare un'intervista a un partigiano vivente. Però non ci potrai testimoniare della resistenza di Monza e Brianza.
Infatti qui a Monza cercano sempre quelli della Brianza e di Monza. Perché vogliono ricostruire la storia della resistenza locale. Ma io non sono brianzolo. Sono emiliano. Sono nato a Solliera, vicino a Carpi. Qui ci sono arrivato dopo la guerra per lavorare alla Magneti Marelli di Sesto San Giovanni. Mio padre, Vitaliano, era un bracciante terrazziere, o meglio uno zappatore addetto a scavare canali per l'irrigazione. Nel 1930 ci trasferimmo nei pressi di Littoria, l'attuale Latina, per lavoratore nell'Agro Pontino. Insieme a me e a mio padre venne anche mio fratello. Fummo mandati lì da una cooperativa di Carpi, perché c'era tanto lavoro. Io ero ancora un bambino. Tanto è vero che la quinta elementare la frequentai a Borgo Carso. Poi nel 1931 o 1932, non ricordo bene, ci raggiunsero mia madre e mia sorella, il resto della famiglia.

Eravate in una zona paludosa in via di bonifica. Come si viveva in quei luoghi?
Non di dico il patimento in mezzo alle zanzare! Mio padre e mio fratello si ammalarono di malaria. Io invece no. Neanche mia madre e mia sorella. Quando loro cominciarono ad avere la febbre noi prendevamo il chinino che era usato per combattere la malaria. Quanto ne ho mangiato! Poi da lì ci spostammo in altre zone dell'Agro Pontino per seguire il lavoro. A undici anni andai a lavorare a Cisterna in una officina per la riparazione di biciclette. Si trattava di una nuova attività, aperta da un meccanico proveniente anche lui dall'Emilia. A Cisterna ci restavo anche per dormire. Tornavo in casa della famiglia solo la domenica. Questa officina era organizzata in modo tale da formare meccanici professionali quasi completi. A 14 anni feci il corridore in bici. Vinsi alcune gare. La bici che usavo l'avevo costruita da solo in officina: era fatta su misura per me.

 

La Resistenza alla guerra

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Poi ti sei arruolato nell'esercito?
Su sollecitazione di mia madre mi iscrissi a un corso di motorista dell'esercito. Perché ero a ridosso della chiamata al servizio militare e si pensava così di anticiparla, frequentando appunto il corso di specializzazione, che poi sarebbe tornato utile al fine di trovare un buon lavoro. Finito il corso, non è mica scoppiata la Guerra? Avrei dovuto tornare a casa. Invece mi sentii dire: «Lei è trattenuto». Mio padre era un comunista dal 1921, ti puoi immaginare, aveva fatto la prima guerra mondiale. Lui era contro l'interventismo. Però aveva dovuto partecipare. Raccontava spesso la brutta esperienza della guerra e diceva: «Speriamo che quando diventa grande Egeo non ci sia la guerra!». La guerra era una brutta cosa. Questo lo avevo capito.

Così sei stato inviato alla guerra?
Non subito. Fui assegnato alla 132ª Compagnia del Genio di Verona, aggregata alla Divisione Corazzata Ariete. Da Verona ci spostarono più volte nel Nord Italia: a Pordenone, a Riva del Garda, a Ponte San Pietro vicino a Bergamo. In ogni posto mi facevo una fidanzata. Quella di Ponte San Pietro si chiamava Angela. Si andava avanti così. Senza immaginare le cose terribili che ci sarebbero capitate dopo. Poi andammo a Savona e partecipammo ad alcune azioni sul confine con la Francia. Infine ci spostammo a Napoli. Qui vidi il degrado e la miseria: tanti bambini mendicare e molte donne prostituirsi per mezza pagnotta. Alcuni militari si infettarono di malattie veneree come lo scolo. Io non sono mai andato.

Che anno era?
La fine del 1940. Nel 1941 eravamo già a Tripoli. Ci imbarcammo da Napoli su una nave tedesca. Appena giunti in Libia percepii la sensazione di essere in terra straniera, completamente diversa dall'Italia. Cominciai a vedere le prime immagini cruenti: due arabi impiccati in piazza. Erano accusati di essere spie. Così dicevano i tedeschi. Ma poi capii che li avevano impiccati per dimostrare di essere loro i padroni. Questo fatto mi è rimato impresso. La nostra divisione fu destinata a Misurata, bellissima cittadina alle poste del deserto. Da qui cominciammo una serie di operazioni di guerra: siamo avanzati e indietreggiati a più riprese verso Tobruck. In queste operazioni non facevo parte della truppa. Perché ero sergente capo meccanico e mi occupavo della manutenzione e dell'efficienza dei mezzi. Fino ad allora non avevo mai marciato a piedi. Li invece capitò più volte.

 

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Una colonna della Divisone Corazzata Ariete avanza verso El Alamein - 1942

 

Alla fine hai perso parte alla guerra, tuo malgrado?
Già. Le nostre truppe vennero spesso impegnate a difendere le posizioni. A resistere per costringere il nemico a ritirarsi. In molte circostanze il coraggio dei soldati si spinse fino all'eroismo. Nei primi giorni d'agosto del 1942, mentre era in corso l'attacco per conquistare Tobruck e fare arretrare gli inglesi oltre Marsa Matuk vicino al El Alamein, una colonna motorizzata di bersaglieri con 500 uomini aveva imboccato un varco in un campo minato e stava avanzando verso il nemico, ignara di cadere in trappola. Il comandante generale, accortosi del pericolo che correvano quei nostri soldati e vedendomi con la moto Guzzi Alce, mi ordinò di partire velocemente con il compito di bloccare la colonna e farla tornare indietro. Lo feci con ripidità. Ma non potendo percorrere lo stesso varco, perché occupato dai mezzi, fui costretto ad invadere il campo minato. Fortunatamente uscii indenne dalle mine. Raggiunsi la testa e bloccai la colonna. I bersaglieri furono salvati dalla prigionia e forse dalla morte per mano inglese. Per ricompensa ebbi una licenza premio. Fu una svolta alla mia vita.

Sei riuscito a tornare in Italia?
Non senza fatica. All'inizio il comandante voleva tramutarla in una onorificenza al valore. Perché aveva bisogno di me, essendo un meccanico esperto. Ma io non accettai. Appena avuta la licenza, partii con l'auto che avevo a disposizione verso Tripoli. Siccome era imminente una nuova offensiva a El Alamein e con questa la sospensione di tutte le licenze, non persi un attimo: in due giorni percorsi duemila chilometri, facendo solo cinque soste per il rifornimento. Arrivato all'aeroporto di Tripoli, non è mica vero che venni a sapere che erano state sospese le licenze? Mentre stavo per entrare nel campo di aviazione fui bloccato da un sergente come me. Ma io ero troppo determinato a tornare in Italia. Pensavo di non tornare mai più in Africa. Perché ne avevo visto abbastanza degli orrori della guerra. Allora riuscii a convincerlo a farmi passare e a prendere un volo per l'Italia.20150303 speciale liberazione

Come lo hai convinto?
All'inizio ho cominciato a dirgli che ero in Libia da due anni e avevo avuto una licenza premio. Avevo una lettera inviatami dall'Italia in cui c'era scritto che mio nonno era in punto di morte. Poi, visto che non si faceva convincere, gli regalai l'auto. Gli dissi: forse non torno più, prendi le chiavi e usala. Allora si faceva così. Ci si appropriava delle cose e poi si denunciavano alla compagnia. Non ti racconto tutta la storia dell'Africa, perché c'è da rabbrividire. Appena passato, sono salito sul primo aereo che ho trovato. Andava a Castelvetrano, in Sicilia. Con la licenza in mano sono tornato nell'Agro Pontino. I miei nel frattempo si erano trasferiti a Littoria.

Non sei più tornato in Africa?
No. Finita la licenza, si era alla fine di ottobre del 1942, tornai in caserma a farla timbrare. Ma invece di ripartire mi nascosi. In pratica diventai un disertore. Quando c'era una nave pronta a salpare, mi nascondevo. Lo feci per tanti giorni. Ma così salvai la vita. Perché nel frattempo in Africa morirono o finirono prigionieri in tanti. Ancora mi impressiono pensando a quei poveri ragazzi della Folgore: erano appena arrivati, alla fine di settembre e furono massacrati un mese dopo, il 27 ottobre. Così come quelli della Divisione Ariete, la mia divisione, che furono accerchiati il 3 novembre e i superstiti fatti prigionieri.

 

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Nordafrika, italienischer Panzer L3-33

 

Però anche in Italia, non correvi il rischio di essere perseguito?
Certo. Infatti qualche giorno dopo la preoccupazione per le conseguenze della diserzione mi spinsero a tornare alla caserma di Napoli. Nel frattempo non c'erano più navi in partenza per la Libia. Perché li la guerra era finita. Decisero di destinarmi presso un'officina militare di Bologna, dove restai in servizio fino al 25 luglio, il giorno della destituzione di Mussolini. Poi fui impiegato al servizio di ronda. Ma l'8 settembre, tornando in caserma a notte fonda, trovai i tedeschi intenti a occuparla. Riuscii a fuggire senza farmi notare, vestito con la tuta di meccanico. Mi rifugiai nella casa di mia zia Maria che abitava a Bologna in Porta San Vitale. La mia fidanzata mi fece conoscere un ingegnere antifascista che era il suo datore di lavoro. Si chiamava Carlini. Mi fece nascondere in una casa sull'Appennino insieme ad altri due sbandati.

Il 22 gennaio ci fu lo sbarco ad Anzio e Nettuno. Gli alleati arrivarono a due chilometri da Littoria e si fermarono

Qui sei rimasto nascosto a lungo?
Fino a novembre. Intanto i tedeschi avevano intensificato i rastrellamenti ed erano arrivati non lontano dal capanno dove eravamo nascosti. Decisi di tornare a casa a Littoria. Ma anche qui c'erano gli stessi pericoli. Io e mio padre ci salvammo, con un po' di fortuna e di abilità, da un rastrellamento dei tedeschi: serviva per raggruppare uomini e fargli scavare trincee nell'area dove si stava svolgendo la battaglia di Cassino. Qualche giorno dopo un aereo sganciò una bomba sopra la nostra casa, distruggendola in parte. In quella circostanza tentai di salvare un bambino ferito, portandolo in braccio all'ospedale. Ma purtroppo non sopravvisse. Il 22 gennaio ci fu lo sbarco ad Anzio e Nettuno. Gli alleati arrivarono a circa due chilometri da Littoria e si fermarono. Pensa: bastava poco e saremmo stati a posto! Invece la casa, dove avevamo trovato rifugio, si trasformò in campo di battaglia: ogni giorno arrivavano cannonate e bombe. Allora molte famiglie cominciarono a spostarsi altrove, nei paesi dell'interno. Noi che non sapevamo dove andare restammo lì. Peraltro nascondemmo un ufficiale inglese scappato da Fossoli che voleva oltrepassare le linee. Per una circostanza fortuita si riuscì a evitare di farlo arrestare dai tedeschi che vennero a cercarlo, probabilmente a seguito di una spiata. Visto che la situazione di pericolo peggiorava, si decise di spostarci e dopo varie peripezie trovammo una stanza a Roma in via Nomentana. Ma qui si viveva molto male e allora decidemmo di fare ritorno a Carpi.

Ma perché non siete rimasti a Roma? Sarebbe stata liberata poco dopo.
È stata liberata a giugno del '44. Ma eravamo a maggio. Chi immaginava che sarebbe stato sufficiente resistere ancora un mese? In quelle condizioni non eravamo in grado di valutare. La guerra per noi era incerta. Non si capiva chi avrebbe vinto. A Carpi ci siamo in qualche modo risistemati: mia sorella fu assunta alla Magneti Marelli, mio papà trovò lavoro nella cooperativa che lo aveva mandato nell'Agro Pontino e io rimasi ancora disertore. Un casino.

 

La Liberazione dal fascismo

 

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3 maggio 1808 - Francisco Goya - 1814

 

Come sei entrato a far parte delle Resistenza?
La resistenza avevo cominciato a farla a Littoria. Avevo incontrato un antifascista monarchico. A Carpi presi contatto con i partigiani. Loro avevano un piano per infiltrare alcune persone nella struttura. Mi indicarono di presentarmi all'Accademia Militare di Modena. C'era in giro un manifesto che intimava di presentarsi, pena la fucilazione. In caserma ci trovammo una quindicina di sottoufficiali. Avevo 23 anni. Nel frattempo ero diventato sergente maggiore. Il mio compito era distribuire segretamente materiali che mi affidavano i partigiani. Finché, a luglio, ci radunarono tutti alla Casa del Fascio e ci chiesero di aderire alla Repubblica di Salò. Su quindici solo in tre accettarono. Non ti dico la reazione di rabbia del gerarca! Ci voleva fucilare tutti. Perché noi ci eravamo difesi sostenendo che, avendo giurato per il Re, non ci sentivamo di tradirlo. Qualche giorno dopo ci smistarono in diverse destinazioni. Ma nessuno eseguì il precetto. Uno di noi venne catturato e fucilato. Mi vennero a cercare a casa senza però trovarmi. Poi seppi di essere stato condannato dalla Corte Marziale di Brescia.

Che ruolo avevi nella Resistenza?
Facevo parte del Fronte della Gioventù, organizzazione che si occupava segretamente di fare propaganda antifascista. Attraverso la nostra rete, mi inserii in una cooperativa di lavoro che poteva disporre di permessi di circolazione. In seguito mi feci arruolare nella Guardia Annonaria. Era una polizia che si occupava di controllare il mercato nero. In realtà eravamo tutti antifascisti. Si stava li per non finire nell'esercito. Nel gruppo tenevo i contatti con Arrigo Testi, anche lui del Fronte della Gioventù, con Giglioli Contardo e Gina Borellini, che poi fu ferita. Giglioli aveva 18 anni ed era il capo del gruppo. In seguito passò la linea gotica e si unì agli alleati.

Devo dire la verità. Non ho voluto partecipare ad azioni armate e sabotaggi. Perché ne avevo avuto abbastanza in guerra

Hai partecipato ad azioni di guerriglia?
Devo dire la verità. Non ho voluto partecipare ad azioni armate e sabotaggi. Perché ne avevo avuto abbastanza in guerra. Il compito principale era fare propaganda. Tenere contati e far passare le informazioni. Ci trovavamo raramente. Facevamo le riunioni in un mulino. Gina l'ho vista tre volte soltanto. Il 22 aprile si decise di attivare l'insurrezione. Allora vennero tutti insieme nell'edifico della Guardia Annonaria, dove mi occupai di distribuire le armi: una cinquantina di fucili. Ho dato tutto quello che c'era e mi sono tenuto alcune bombe a mano. Perché, pur odiando le armi, volevo anche io dare un senso alla vicenda. Così decisi partecipare a un assalto contro una postazione di mitragliatrice tedesca, che ancora resisteva a Porta Mantova di Carpi.

Poi che cosa avvenne?
Furono divisi i fascisti dai tedeschi catturati: i fascisti furono portati in prigione, mentre i tedeschi li tenemmo nella sede dell'Annonaria. Era diventato il quartier generale dell'insurrezione. Li abbiamo trattati come prigionieri di guerra. Poi li abbiamo consegnati agli anglo-americani. In quei giorni i fascisti furono portati in giro per Carpi a bordo di un camion. Alle donne collaborazioniste furono tagliati i capelli. Insomma, le stesse cose che sono avvenute un po' in tutta Italia. I pochi fascisti rimasti prigionieri, vennero ammazzati tutti. Dopo. Due partigiani, a cui avevano bruciato la casa e ucciso i fratelli, sono scesi dalla montagna, i morti sono stati tanti, li hanno fatti fuori tutti. Hanno risparmiato solo un ragazzo di 16 anni.

Ma è stata una vendetta?
Il fatto è successo dopo la Liberazione. Perché l'insurrezione è durata alcuni giorni, fino al primo maggio.

Quindi è stato un atto illegale? Omicidio?
Questi poi sono stati condanni e sono fuggiti in Cecoslovacchia. Hanno fatto male. Non eravamo d'accordo di ammazzarli. Neanche il Cln era d'accordo. Il 25 aprile non è stato solo la Liberazione del paese, ma anche la liberazione di coloro che scendevano dalle montagne e trovavano le loro case distrutte, i figli, i padri, le madri, bruciati ed impiccati. Qualche scaramuccia c'è stata ancora. Si era detto che tutto era finito. A volte è successo che chi, avendo le armi in mano e trovando chi aveva fatto tanto male, commettesse un reato. Fascisti e tedeschi furono spietati: per ammazzare un partigiano bastava trovargli in mano un volantino. Così capitò a molti miei compagni di 20 anni. Tantissimi innocenti vennero ferocemente uccisi per semplice rappresaglia o per terrorizzare.

C'è ancora odio a distanza di 70 anni?
Alcuni ci dicono che noi questi non li abbiamo ancora perdonati. Noi li abbiamo già perdonati. Infatti, dopo il 25 aprile quando è finita la guerra, li abbiamo lasciati liberi, senza nessun rancore e odio contro di loro. Avevano sbagliato, scegliendo un'altra strada.

Cosa è avvenuto dopo?
Subito dopo la Liberazione c'è stato un casino che non finiva più: tutti erano stati partigiani. Tutti avevano fatto. A Carpi sono stato testimone del passaggio di poteri dal Podestà al Sindaco Bruno Losi, designato dal Cln. Era il figlio di un antifascista confinato a Ventotene. Poi siamo stati convocati in una villa patrizia alla periferia di Carpi per festeggiare la Liberazione. C'erano tutti i soggetti che avevano perso parte alla resistenza: dagli anglo-americani, al Cln, al Corpo Volontari delle Libertà ai direttori della fabbrica Magneti Marelli di Carpi.

L'attività dei partigiani si esaurì?
Il Fronte delle Gioventù divenne un'associazione culturale. Si occupava principalmente di teatro. Ma abbiamo proposto anche corsi di apprendimento professionale, come per esempio quello di meccanico. Per tutta l'estate del 1945 io e un altro socio tenemmo lezioni a più di 60 iscritti.

 

La Liberazione in fabbrica

 

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Circolo Carlo Cattaneo  - Via Felice Cavallotti - Monza

 

Perché ti sei trasferito a Sesto San Giovanni?
Per lavorare. A Carpi le possibilità di trovare lavoro erano praticamente inesistenti. Io ero un meccanico professionale. C'era la Magneti Marelli. Ma lì non potevo essere assunto. Perché già ci lavorava mia sorella. Faceva la segretaria del direttore. Era lei che scriveva i volantini. Ha scritto anche il primo volantino della neonata sezione del Pci. C'era la regola che non potevano essere assunti due della stessa famiglia. La Marelli era un centro chiave della resistenza. Perché, a cominciare dai dirigenti, la comunità della fabbrica era legata alla Resistenza e al Cln. Pensa che alcuni dirigenti furono uccisi dai fascisti in una circostanza banale. Stavano andando a Milano. A un certo punto incontrarono delle persone in borghese che fermarono l'auto e si qualificarono come partigiani. Ingenuamente loro si svelarono essere partigiani. Ma non ebbero il tempo di capire l'inganno, perché furono uccisi con scariche di mitra. Erano in quattro. Si salvò per miracolo solo l'autista.

Quindi hai fatto la domanda per essere assunto alla Magneti Marelli di Sesto?
Si. Non è stato facile. Perché in quel tempo non assumevano chi non era della zona. Facevano eccezione solo per chi era stato deportato o era invalido o era stato partigiano. Mi hanno assunto perché avevo il certificato di partigiano rilasciatomi dall'Anpi. Il 9 settembre del 1946 ho cominciato a lavorare alla Magenti Marelli di via Adriano, che era alla periferia est di Sesto, a Crescenzago. Sono entrato in fabbrica e ho iniziato un'altra resistenza: quella politica e sindacale. Mi sono iscritto alla sezione di fabbrica Irma Bandiera del Pci. Ho profuso un grande attivismo passionale per il partito. Di conseguenza sono stato premiato da Giuseppe Alberganti per avere stabilito un record di vendita dell'Unità: in una mattinata domenicale ne ho diffuse 500 copie. Nel 1951, quando ho cambiato residenza e mi sono trasferito, mi sono aggregato all'Anpi di Monza.

Hai anche svolto attività sindacale?
Nel 1954 entrai nella Commissione Interna. C'era una situazione di degrado perché i componenti erano quasi tutti corrotti. C'era chi aveva aperto un negozio di musica, perché gli piaceva la musica. Altri erano diventati capi ufficio. Di questi sapevo vita, morte e miracoli: Grandi, Rossini, Ghelli, Sparigliero. Membri del Cln. Cazzaniga. Tutti capi fino al '54. Alla direzione del personale c'erano un fascista e un monarchico.

Molti pensano che le lotte dei lavoratori ci siano state solo nel 1969. Ma non è così. Abbiamo fatto grandi battaglie anche prima

Ma i lavoratori erano impotenti? Non reagivano?
Hanno, abbiamo reagito eccome! Infatti abbiamo costituito un lista di rinnovamento. I miei compagni mi vollero capolista e vincemmo. Ero della Cgil. Da quel momento entrai nella commissione e mi impegnai fino a poco prima del pensionamento. Perché a un certo punto decisi di lasciare il posto e dare possibilità di formarsi ai giovani. Molti pensano che le lotte dei lavoratori ci siano state solo nel 1969. Ma non è così. Abbiamo fatto grandi battaglie anche prima. Dal 1960 fino all'autunno del 1969 ci fu un crescendo di conquiste economiche e sindacali. Eh, ne ho viste tante! Anche nel sindacato ci soni stati tanti errori. Io ero nella Fiom. Però ho visto maturare nel tempo l'unità d'azione con gli altri sindacati. A partire dalla grande crisi aziendale del 1963, culminata con la Cassa Integrazione e i licenziamento di alcuni lavoratori. All'inizio le battaglie erano concentrate per la difesa del posto di lavoro. Poi cominciammo a ottenere conquiste sindacali. Pensa che non potevamo neanche fare le assemblee all'interno della fabbrica!

Nel 1969, con l'autunno caldo, però c'è stato un grande impulso.
È vero. Nel '69 entrarono le nuove generazione con tanta carica e voglia di cambiare. All'inizio il rapporto con loro non fu semplice. Perché tendevano ad estremizzare. Ma poi tutti insieme abbiamo contribuito alla trasformazione della Commissione Interna ai Consigli di Fabbrica. Aumentò la democrazia. Perché la Commissioni Interna era una struttura verticista e chiusa. Insieme alla partecipazione nacque la consapevolezza di migliorare la qualità del lavoro e il processo produttivo. Da li si pensò a come eliminare le catene di montaggio e sostituirle con le isole di produzione.

Nel frattempo hai fatto anche altro, oltre a essere sindacalista?
Quando cessai di fare il delegato mi occupai del Cral aziendale. Negli anni '70 ho fondato l'Anpi aziendale. Avevamo 250 iscritti! I caduti nella lotta di Liberazione appartenenti alle fabbriche di Sesto San Giovanni sono 356. Un numero alto a dimostrare la consistenza della partecipazione dei lavoratori alla Resistenza. Noi della Magneti Marelli ne avevamo due: Carlo Beretta e Ernesto Mendel.

 

La Liberazione culturale

 

20150407 anpi Sede Anpi di Monza - Foto di Pino Timpani

 

Sei stato il primo presidente dell'Anpi provinciale di Monza e Brianza.
Si. Dal 2008 al 2012. Durante questo periodo sono state aperte sei nuove sezioni: a Macherio, a Lazzate, a Bovisio Masciago, ad Agrate Brianza, a Lissone e a Vedano al Lambro. Dopo sono stato il principale sostenitore alla mia successione di Loris Maconi. Sicuramente più di me era ed è in grado di svolgere il compito, per me un po' gravoso, in un ambito territoriale più vasto di Monza. Lui è stato segretario della Camera del Lavoro di Monza e anche Senatore per due mandati.

Quali iniziative culturali proponete al territorio?
Una Mostra sulla storia partigiana: Brianza Partigiana - ricordare, progettare il futuro. Ci stiamo impegnando per creare una bibliografia ed una filmografia, con lo scopo di poter suggerire libri, film e supporti multimediali, Cd, Dvd e link, a chi volesse approfondire la propria conoscenza. Poi organizziamo concerti e spettacoli teatrali sul tema partigiano. Dal 2011, con cadenza annuale, abbiamo istituito un bando musicale, Sbandati per non dimenticare, per proporre, con nuovi strumenti più consoni ai giovani, un avvicinamento ai valori della Resistenza, della Costituzione e della democrazia. Infine esponiamo mostre tematiche, con lo scopo di tener vivo il ricordo.

In gran parte sono rivolte ai giovani. Per quale motivo?
Chi ha vissuto la guerra vede una scarsa conoscenza dei giovani su quanto è avvenuto. Purtroppo, senza la memoria e la conoscenza, viene meno il rispetto per la Patria e per i valori. I giovani di oggi dovrebbero capire innanzi tutto da dove hanno origine. Perché sono valori di coesione sociale. L'insurrezione e la Liberazione non furono realizzate solo dai partigiani. Anche il popolo contribuì a bloccare il fascismo. E' stato l'inizio di una nuova epoca di libertà, di democrazia e di pace. Sono nati i valori fondanti dell'Italia. Nacque la Costituzione Italiana. Si dice che l'Italia sia stata liberata dagli americani. Ma questo è vero solo in parte: quando gli americani oltrepassarono la linea gotica e arrivarono in Emilia, Lombardia e Veneto non trovarono nessuna resistenza. Perché i partigiani avevano già catturato i tedeschi e i fascisti.

La scuola non svolge questo compito di conoscenza?
Per conoscere a fondo molte cose è utile ascoltare chi ha vissuto la storia. Noi tutti gli anni andiamo nelle scuole. Ma nel poco tempo a disposizione non si può narrare tutto. La scuola e lo Stato Italiano dovrebbero impegnarsi di più e fare quello che, purtroppo, non hanno fatto o hanno fatto in modo carente dal '45 ad oggi. I giovani sanno poco, se non niente. Hanno un'idea confusa. Non sanno bene che cosa sono stati i fascisti. Una volta uno studente mi chiese per quale motivo i fascisti si vestivano di nero.

Cosa gli hai risposto?
Nella prima guerra mondiale furono costituiti dall'esercito gruppi di volontari votati alla morte: gli arditi. Andavano all'assalto delle trincee di notte. Una volta conquistata la trincea si ritiravano. Tornavano poi nelle retrovie a fare baldoria, a bere a e mangiare. Perché quello era un appagamento per il grave rischio corso in battaglia. Il popolo li stimava e li considerava eroi. I fascisti hanno usato la camicia nera per essere identificati come arditi. Per far colpo nell'immaginario eroico del popolo.

I giovani fanno fatica a percepire questi valori?
I giovani di oggi capiscono la fatica che abbiamo fatto per liberare l'Italia. Ma non hanno ancora capito fino in fondo i nostri ideali. Per esempio il valore della libertà. Non significa fare quel che si vuole. Significa rispettare gli altri. La scuola dovrebbe avere il compito di trasmettere in modo più corretto possibile i concetti. Esistono anche molti giovani sensibili. Hanno una fede religiosa o idealista. Cercano di cambiare la società con gli ideali dell'uguaglianza e della tolleranza.

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Il Sindaco di Monza, Roberto Scanagatti, consegna il premio San Giovannino d'oro 2013  a Egeo Mantovani

 

Approfondimenti sul tema della guerra di Liberazione:

L'altra Caporetto. - Il sito attinge dal libro “Prigionieri in Emilia” di Fabio Montella. Si narra dei soldati allo sbando, riversatisi in massa nei territorio emiliano, dopo la disastrosa battaglia di Caporetto del 1917. Qui la seconda parte.
Il biennio "rosso" - Il sito tratta dei conflitti sociali e politici avvenuti tra il 1919 e il 1921, localizzati soprattutto in Emilia Romagna, contesto ritenuto dagli storici fertile alla nascita del fascismo.
Ricerche Storiche - Rivista quadrimestrale dell'Istituto per la storia della Resistenza e della guerra di Liberazione in provincia di Reggio Emilia Anno XIV n. 40 - Luglio 1980 - Discussione appassionata sugli inizi della Resistenza nel Reggiano. (pdf)
Deputazione Emilia Romagna per la storia - Aspetti e momenti della Resistenza (pdf)
Fucilazione Angelo Zanti - Angelo Zanti è stato una delle figure più importanti, nonché uno dei primi organizzatori della Resistenza reggiana.
Triangolo rosso o Triangolo della Morte. Di origine giornalistica, indica l'area compresa tra le province di Reggio Emilia, Modena e Bologna dove, alla fine della seconda guerra mondiale, tra il settembre del 1943 e il 1949, si registrò un numero particolarmente elevato di uccisioni a sfondo politico attribuite ai partigiani comunisti. Qui alcuni servizi dello storico Giovanni Fantozzi
Martiri di Piazzale Loreto - A cura di Roberto Cenati e Antonio Quatela. Nelle pagine di questo libro viene ricostruito l'eccidio avvenuto in Piazzale Loreto a Milano il 10 agosto 1944. Si tratta di 15 vittime selezionate tra gli operai, impiegati e tecnici e organizzatori degli scioperi del marzo 1943-1944, lavoratori di grandi fabbriche come la Pirelli, la Ercole Marelli, la Borletti, la Falck, l’Isotta-Fraschini e altre. (pdf)

 

Egeo Mantovani

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Egeo Mantovani è nato il 12 luglio 1921 a Solliera presso Carpi in provincia di Modena. Il padre, Vitaliano, è bracciante terrazziere e capolega dei braccianti. Costretto ad emigrare si reca con la famiglia a Littoria (Latina) nell'Agro Pontino, dove è in corso la grande bonifica delle paludi.

La famiglia vi rimane fino al 1944. Egeo lavora in officina a Cisterna e poi a Littoria, Nel 1938, dopo aver frequentato un corso di motorista nel Genio Militare a Bologna, si offre volontario e viene inviato a Verona in una compagnia aggregata alla divisione corazzata Ariete. Fa l'istruttore motorista e di guida. Nel 1940 con la divisione prende parte a combattimenti contro la Francia.

Successivamente, da Napoli s'imbarca per Tripoli. Partecipa a tutte le battaglie del Nord Africa fino a El Alamein. Tornato in Italia, dopo l'8 settembre è sbandato e si da alla macchia, partecipando alla lotta di Liberazione con altri militari, anch'essi sbandati, nei i gruppi del Fronte della Gioventù nella zona di Carpi, dove era tornato con la famiglia. Arrestato dai repubblichini a seguito di un banale coprifuoco, viene liberato cinque giorni dopo. Il 22 aprile, con il gruppo comandato da Giglioli Contardo, è tra gli organizzatori con Gina Borellini dell'insurrezione di Carpi. Distribuisce tutte le anni della caserma della Polizia Annonaria, nella quale si era arruolato su sollecitazione del comando partigiano. A Porta Mantova di Carpi è protagonista di un attacco contro una mitragliatrice tedesca, annientata con un lancio di alcune bombe a mano.

Nel 1946 viene a Milano, assunto alla Magneti Marelli di via Adriano, dove dal 1954 al 1968 è membro della Commissione Interna e per un certo periodo anche segretario della sezione di fabbrica del Pci. La sua attività di organizzatore sindacale e di militante politico lo portano a partecipare alle lotte per la conquista di importanti diritti contrattuali e civili. Durante questo periodo è membro del direttivo provinciale di Milano della Fiom e segretario del Coordinamento Nazionale della Magneti-Marelli. Nel 1951 viene ad abitare a Monza nel quartiere Triante. Qui partecipa alla vita sociale e politica del Circolo Carlo Cattaneo di via Vittorio Veneto 1. A Monza negli anni '70-'80 costituisce la Cooperativa Edificatrice Monza Circolo Carlo Cattaneo. Nel 2008 è eletto Presidente onorario della nuova Anpi provinciale di Monza e Brianza. Punto di riferimento dell’Anpi di Monza e della Brianza, è attualmente presiedente dell'Anpi di Monza. Nel 2013 riceve dal Sindaco di Monza Roberto Scanagatti il premio Giovannino d'oro.

 

 

Il Circolo Carlo Cattaneo di Monza

Il Circolo è tra i più antichi di Monza, fondato nel 1919 sul modello anglosassone delle relazioni sociali da persone di orientamento moderato. In principio il circolo è una cooperativa di consumo, denominata Cooperativa Cavallotti. Il 9 agosto del 1923 un gruppo di aderenti al fascismo irrompe nei locali e uccide a bastonate un operaio socio fondatore: Carlo Cattaneo. Nelle indagine il Pnf locale dichiara estraneità. Tra gli assalitori vengono identificati esercenti di via Felice Cavallotti. Viene insinuato il sospetto che questi temessero la concorrenza della cooperativa. Avrebbero approfittato del clima violento presente in quel periodo, utilizzando il legame con il movimento fascista, per tentare di eliminare la presunta concorrenza, nonostante tra gli indagati fossero presenti persone di spicco del Pnf locale. Durante il processo, che coincide con gli anni dell'instaurazione della dittatura, vengono individuati gli esecutori materiali. Ma nel verdetto gli imputati vengono condannati a pene lievi per omicidio preterintenzionale. Nel 1946 il circolo assume l'attuale denominazione di Circolo Carlo Cattaneo, in ricordo del socio fondatore.

 

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Egeo Mantovani, Presidente onorario Anpi Nazionale "per non dimenticare"

Gli autori di Vorrei
Pino Timpani

"Scrivere non ha niente a che vedere con significare, ma con misurare territori, cartografare contrade a venire." (Gilles Deleuze & Felix Guattari: Rizoma, Mille piani - 1980)
Pur essendo nato in Calabria, fui trapiantato a Monza nel 1968 e qui brianzolato nel corso di molti anni. Sono impegnato in politica e nell'associazionismo ambientalista brianzolo, presidente dell'Associazione per i Parchi del Vimercatese e dell' Associazione Culturale Vorrei. Ho lavorato dal 1979 fino al 2014 alla Delchi di Villasanta, industria manifatturiera fondata nel 1908 e acquistata dalla multinazionale Carrier nel 1984 (Orwell qui non c'entra nulla). Nell'adolescenza, in gioventù e poi nell'età adulta, sono stato appassionato cultore della letteratura di Italo Calvino e di James Ballard.

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