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Il significato di "nutrizione artificiale" secondo gli enti internazionali

Riceviamo e pubblichiamo

Riteniamo, scrivendo questo documento, che l’unica risposta valida alle feroci e incivili, per un paese che invece si definisce civile, polemiche e dichiarazioni che si sono susseguite sul caso Englaro, sia quello di riflettere sui temi del testamento biologico e della nutrizione e idratazione artificiale alla luce delle chiare e definite evidenze medico-scientifiche esistenti e dei valori fondanti la libertà e la democrazia. Non si possono infatti invocare scelte basate sulla libertà di coscienza e poi interpretarle in maniera restrittiva o peggio calpestarle in nome di principi o valori imposti e non condivisi. Ogni persona, in virtù del libero arbitrio, è libera di fare le sue scelte. In ambito etico questo concetto è alla base della responsabilità di un individuo per le sue azioni. In ambito scientifico l'idea di libero arbitrio determina un'indipendenza del pensiero inteso come attività della mente e della mente stessa dalla pura causalità scientifica. Tale concetto anche in filosofia e in teologia, è definito come la facoltà dell'uomo di decidere indipendentemente da limitazioni imposte alla sua volontà da una qualsiasi causa esteriore, dalla necessità naturale o dalla predeterminazione divina. Un'azione assolutamente libera si definisce tale in quanto non sottoposta ad alcuna determinazione causale.

Tutto il mondo si è mobilitato davanti al dramma di Eluana Englaro, vissuta per 17 anni in stato vegetativo persistente e deceduta in seguito all’applicazione del protocollo di interruzione della nutrizione artificiale.

Ora, è il momento di riflettere, e noi avanziamo temi di riflessione. Ma prima di tutto (e per consentire ciò), occorre arginare il dilagante fronte di disinformazione: spiegando con esattezza cosa realmente sia accaduto in questo lungo periodo di malattia e cosa sia la “Nutrizione Artificiale”, elencandone le caratteristiche maggiormente distintive.

La nutrizione artificiale, quella cui è stata sottoposta Eluana e altri esseri umani che si trovano ancora in condizioni simili alla sua, è una terapia medica riconosciuta nella letteratura medico-scientifica internazionale, senza obiezioni o abiure. Per poter essere applicata, essa prevede in ogni caso un atto medico di differente livello di invasività, ragione per cui necessita di “informed consent” (verbale o scritto) che ne certifichi l’accettazione o al contrario il rifiuto.

Questa è la posizione riconosciuta dalla Società Italiana di Nutrizione e Metabolismo (SINPE), oltre che dai suoi corrispondenti/equivalenti europei (ESPEN) ed americani (ASPEN); nel dettaglio, di seguito riportiamo quanto contenuto nelle Linee Guida più aggiornate.

 

La NA è un trattamento medico ( Fonte: SINPE – Documento Ufficiale del Comitato Etico )

La NA è da considerarsi, a tutti gli effetti, un trattamento medico fornito a scopo terapeutico o preventivo. La NA non è una misura ordinaria di assistenza (come lavare o imboccare il malato non autosufficiente).

Come tutti i trattamenti medici, la NA ha indicazioni, controindicazioni ed effetti indesiderati. L‘attuazione della NA prevede il consenso informato del malato o del suo delegato, secondo le norme del codice deontologico.

La NA è praticata in ospedale e anche a domicilio (NA domiciliare, o NAD), se le condizioni cliniche e metaboliche del malato consentono la prosecuzione del trattamento al di fuori dell’ospedale.

La NA è impiegata nell’ambito delle cure riservate a pazienti con patologie spesso assai differenti per eziologia, patogenesi e prognosi. Appaiono quindi necessarie alcune precisazioni che possono contribuire a collocare adeguatamente tale procedura terapeutica e a comprenderne il ruolo:

1) La NA si configura come un trattamento sostitutivo (come ad esempio la ventilazione meccanica o la emodialisi), in altre parole un trattamento che tende a sostituire in modo temporaneo o permanente il deficit di un organo o di un apparato. In tal senso, la NA si sostituisce, in maniera temporanea o permanente al deficit di una funzione complessa, come quella della alimentazione naturale, quando questa è compromessa in tutto o in parte da una sottostante condizione di malattia. L’alimentazione naturale è un processo complesso che presuppone - oltre ovviamente alla adeguata disponibilità di cibo - anche l’integrità di alcune e diverse funzioni (introduzione del cibo nella cavità orale, masticazione, deglutizione, digestione, transito intestinale, assorbimento e metabolismo dei nutrienti). Un deficit, anche parziale, di una o più di tali funzioni insieme con una durata prevista superiore a 7 giorni, costituisce di per sé un’indicazione all’istituzione di un trattamento di NA.

a - La NA può avere un ruolo sia preventivo sia terapeutico (prevenzione della malnutrizione o terapia di una malnutrizione già instaurata);

b - Come gli altri trattamenti sostitutivi, la NA costituisce un trattamento medico: soltanto il medico può, infatti, stabilirne in modo corretto indicazioni e controindicazioni. Come per qualunque trattamento medico, l’inizio o l’astensione così come la continuazione o la sospensione della NA ricadono inevitabilmente nell’ambito decisionale e di responsabilità del medico, fatto salvo quanto riconosciuto dal codice deontologico al malato (o al tutore legale) nell’esercitare il diritto al consenso e all’autodeterminazione;

c - Come per altri trattamenti sostitutivi (ad esempio: la ventilazione meccanica) in alcune situazioni cliniche la NA può essere l’unico o uno dei trattamenti necessari per mantenere il malato in vita. In questi casi la sospensione (withdrawal) o la non attuazione (withholding) della NA comporta l’exitus del malato.

2) La NA non è da considerarsi una terapia eziologica (come ad es. la terapia antibiotica, la terapia antivirale, la chemioterapia, la terapia genica o determinate terapie chirurgiche). La NA non è, infatti, in grado di influire sulle cause di una malattia, ma al più sulle sue conseguenze, ad esempio prevenendo o trattando la malnutrizione (v.), oppure riducendo gli effetti negativi dell’ipercatabolismo (v.).

3) Anche se talvolta in grado di alleviare sintomi quali la fame e la sete, la NA non è da considerarsi una terapia sintomatica (come ad esempio la terapia analgesica o antipiretica), in quanto non rimuove semplicemente un sintomo, ma si sostituisce al deficit di funzione che ha originato il sintomo stesso.

4) La NA non è definibile come terapia palliativa, tuttavia la NA, in quanto trattamento sostitutivo dell’alimentazione naturale, può trovare indicazione nell’ambito di un programma di cure palliative, accanto ad altri provvedimenti medici (e non) riservati a pazienti in cui non vi sia più possibilità di attuare trattamenti eziologici o curativi della patologia di base.

a - La SINPE ritiene che anche nell’ambito delle cure palliative la NA si configuri sempre come un trattamento medico. Ciò è in accordo con la posizione delle altre società nutrizionali internazionali, ma é in disaccordo con il parere espresso, seppur non unanimemente, dal Comitato Nazionale di Bioetica nel 2005. In specifiche condizioni la NA (e particolarmente, la NE) può essere condotta a domicilio del malato (NAD) e somministrata da personale non medico (finanche dai familiari del malato), tuttavia non ci sono dubbi che tali procedure debbano essere considerate “atti medici” e “trattamenti medici”. Occorre infatti ricordare che l’appropriatezza dell’indicazione alla NA e la valutazione del rapporto costo-beneficio e rischio-beneficio ricadono nell’ambito delle specifiche competenze del medico, così come la pianificazione di un adeguato monitoraggio clinico-metabolico finalizzato alla prevenzione e diagnosi tempestiva di eventuali complicanze.

b - D’altra parte, appare indispensabile distinguere tra la valutazione di appropriatezza di indicazione alla NA, la valutazione del rapporto costo-beneficio e rischio-beneficio (atti squisitamente medici) rispetto alla valutazione dell’opportunità di instaurare o continuare uno o più trattamenti sostitutivi in un malato affetto da una patologia non (o non più) suscettibile di terapia. Analoga preoccupazione è giustamente sottolineata dal già citato documento del Consiglio Nazionale di Bioetica, nel quale si afferma che “anche qualora la NA venga considerata un trattamento medico il giudizio sull'appropriatezza ed idoneità di tale trattamento dovrebbe dipendere solo dall'oggettiva condizione del malato (cioè dalle sue effettive esigenze cliniche misurate sui rischi e benefici) e non da un giudizio di altri sulla sua qualità di vita, attuale e/o futura”.

Per maggior chiarezza consideriamo le diverse problematiche inerenti a situazioni cliniche differenti. Ad esempio pensiamo a un malato in terapia intensiva a prognosi rapidamente infausta, a un malato oncologico terminale e a un malato in stato vegetativo permanente:

- nel primo caso, il giudizio medico è di per sé sufficiente per una valutazione di verosimile inappropriatezza o appropriatezza del trattamento nutrizionale;

- nel secondo caso, l’opportunità o meno di instaurare o continuare la NA deve derivare da una valutazione medica sia del potenziale beneficio sulla qualità di vita sia delle potenziali complicazioni associate al trattamento (ovvero, ad una valutazione di costo/efficacia e rischio/efficacia). Tale valutazione è basata sulle linee guida nazionali e internazionali e concorrerà alla decisione finale presa nell’ovvio rispetto della volontà del malato e con il suo necessario consenso;

- nel terzo caso, dove la NA si pone come terapia sostitutiva, certamente efficace nel mantenere lo stato nutrizionale del malato (e talora indispensabile per mantenerlo in vita), la valutazione sulla opportunità di sospendere questo o altri trattamenti sostitutivi implica considerazioni complesse di natura etica e giuridica che esulano da una valutazione puramente e squisitamente medica; ciò nondimeno, anche in questa ultima situazione, il giudizio medico è di importanza cruciale, poiché garantisce il necessario e imprescindibile supporto tecnico-scientifico a decisioni di ordine etico o giuridico.

c - Vale la pena accennare, a questo punto, al concetto di accanimento terapeutico. Attualmente, la definizione di accanimento terapeutico è assai controversa e facile fonte di incomprensioni. Nel caso si definisse l’accanimento come l’impiego di un trattamento medico di sicura inefficacia e/o gravato da un rischio di complicanze inaccettabile rispetto al beneficio atteso, allora esso si configurerebbe come un’errata valutazione dell’appropriatezza di indicazione del trattamento. In questo caso al termine “accanimento terapeutico” sarebbe preferibile l’anglosassone “overtreatment“, vale a dire “eccesso di cure“. Un eccesso di cure non solo è inutile, ma può essere anche dannoso e quindi va evitato nel malato, sia cosciente sia incosciente. Il riconoscimento di un “overtreatment” può essere relativamente agevole nel malato critico ricoverato in terapia intensiva che non risponde alle terapie rianimatorie. Viceversa può creare sconcerto nel malato stabilizzato e in stato vegetativo permanente, perché può essere impropriamente confuso con la deliberata decisione di interrompere la vita. Per quanto detto ed in considerazione del ruolo sostitutivo del trattamento nutrizionale, la SINPE ritiene che una NA la cui appropriatezza di indicazione sia fondata sulle linee guida nazionali e internazionali non si configuri mai come accanimento terapeutico.

 

 

Detto delle note tecniche, riferibili alle Linee Guida Internazionali più aggiornate, occorre occuparci dell’opinione pubblica. Essa dovrebbe essere sensibilizzata sul seguente aspetto: lo sviluppo delle tecnologie e della scienza biomedica ha radicalmente modificato il processo di morte e reso sempre più frequenti i casi in cui è necessaria una terapia di fine vita. Oggi le cure palliative sono utili quando non indispensabili sia in una fase di approccio alla morte, sia in un periodo antecedente: infatti è necessario interrogarsi sul “fino a che punto” l’applicazione delle cure mediche terapia assicura un miglioramento delle prospettive e della qualità globale della vita e, quindi della dignità della persona, o, al contrario costituisce una forma di accanimento terapeutico origine di ulteriori sofferenze. Si è detto di molti aspetti dirimenti, che aiutano il medico a mantenere salda l’alleanza terapeutica col paziente e coi suoi familiari e si è ribadito il ruolo “cruciale” del medico stesso, quando alla luce delle più recenti e condivise nozioni scientifiche, è chiamato ad esprimersi in proposito o a decidere in concreto.

Ciononostante, il recente passato non ha portato alla convinzione che il parere o l’operato del medico siano sufficienti (anche quando è scrupoloso osservatore delle LL.GG.) quando vi sono elementi controversi che rendono più complessa la decisione, e la terminologia che compone il Codice Deontologico nonché la Carta Costituzionale non è da considerarsi priva di ambiguità o per lo meno chiusa alle interpretazioni.

Fatto salvo che l’eutanasia è pratica da rifiutarsi in ogni caso, alla luce delle modificazioni del processo di morte, che si svolge oggi con dinamiche sempre piu’ durature e imprevedibili, riteniamo di dover contribuire con un elemento chiave: il principio inviolabile dell’autodeterminazione di sé e della decisione per sé. Tra l’altro, è certamente vero che il pericolo oggi più concreto e reale è quello dell’accanimento terapeutico (inteso come prosecuzione di terapie inappropriate, inefficaci e non discusse col paziente).

Noi riteniamo quindi necessario ricorrere ad una normativa giuridica molto chiara che renda effettiva e tutelata in maniera inderogabile la volontà dell’individuo, liberamente espressa (attuale o anticipata) di accettare o rifiutare una terapia o un qualsiasi atto medico, anche se volto alla tutela del bene ultimo ovvero la vita. E’ la persona nella sua dignità ed autonomia a scegliere per sé, in base ad una scala di valori e di priorità del tutto personali; non è lo Stato Etico a scegliere per l’uomo, ma l’Uomo (etico) nella sua unicità a scegliere per sé, tutelato dallo Stato. Non a caso, la definizione di salute dell’OMS, coincide con la qualità della vita, evidentemente la qualità e la dignità della vita per molte persone sono valori superiori, alla durata della vita stessa.

Riteniamo essenziale anche l’elaborazione di un emendamento al comma 'e' dell'articolo 1, relativo al provvedimento che vieta la sospensione di qualsiasi attività medica volta a consentire o provocare la morte del paziente; l'attività medica è esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute, nonché all'alleviamento della sofferenza. Tale attività medica è tuttavia sempre subordinata all'espressione del consenso informato ribadito nell'articolo 5 della convenzione di Oviedo, ratificata dalla legge 28 marzo 2001, n.145, nonché dei limiti imposti dal rispetto della persona umana'.

Attribuiamo quindi un ruolo chiave al Consenso Informato, espresso mediante direttiva anticipata da parte di ogni persona. L’idea che una persona possa essere obbligata dalla legge a subire trattamenti di nutrizione e idratazione forzata, e che il medico non possa decidere di sospenderle ANCHE QUANDO NON SOLO NON SONO UTILI MA SONO DANNOSE, come quasi sempre avviene nelle ultime fasi della vita non ha eguali in nessun paese civile. Riteniamo sia una battaglia di civiltà e di difesa dei diritti dell’individuo nel senso più alto.

Assistiamo al fatto che il DDL della maggioranza rende manifesta una intenzione diversa, inquietante e inaccettabile perché incide profondamente sui diritti fondamentali delle persone, alterando lo stesso quadro costituzionale. Vi sono infatti aspetti della vita che il nostro ordinamento costituzionale ha messo al riparo da ogni intervento esterno, che ha sancito intoccabili. Il rifiuto di cure, diritto ovunque riconosciuto e caposaldo della stessa soggettività morale, viene negato dalla proposta inclusa nel disegno di legge in esame. La sorte del corpo nel tempo del morire è sottratta alla libera decisone dell’interessato, viene affidato ad un medico investito del ruolo di funzionario di uno stato etico che ha proceduto, come bene ha indicato Stefano Rodotà alla “pubblicizzazione” del corpo. Esiste una pericolosa ideologia riduzionista del senso e della portata dei diritti fondamentali che vuole impossessarsi della vita intera delle persone: questo Disegno Di Legge sulla “regolamentazione delle terapie di fine vita” è stato redatto nel modo più arretrato possibile, un modo che anche dopo auspicabili emendamenti, sarà caratterizzato dalla seguente impronta: il parere del soggetto interessato deve essere ripetutamente convalidato ogni volta alla presenza di un medico e davanti ad un notaio. In ogni caso il medico curante potrà o non tenere conto della volontà espressa.

Tali modalità di procedere anziché rendere semplice favorire l’espressione della volontà individuale, ne impedisce l’attuazione e i suo libero manifestarsi come atto giuridico.

R.Dominici, Dirigente Medico ospedaliero Patologo Clinico
M.A.Gambirasio, Medico Specialista in Scienze dell’Alimentazione - Nutrizione Clinica