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colloquio con Diego Miscioscia, psicologo, psicoterapeuta e formatore per parlare delle nuove generazioni tra cambiamenti sociali ed educativi. Dalle difficoltà del contesto socio economico, alla cultura del consumo, la dimensione educativa moderna come chiave di lettura per spiegare la disillusione e le difficoltà di separazione dal nucleo familiare. Un viaggio nella psicologia attraverso i passaggi che conducono i giovani verso l’incapacità di pensare il futuro, verso il ritiro narcisistico e le problematiche depressive.

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Quando oggi si parla di nuove generazioni si pensa a giovani accomunati da un certo disagio e da problematiche legate al lavoro, alla ricerca dell’indipendenza. Ma quali sono le caratteristiche della gioventù attuale dal punto di vista psicologico?
I giovani attuali vengono descritti in numerose ricerche come soggetti apparentemente poco interessati alla realtà sociale: passivi, tristi, sfiduciati, ritirati narcisisticamente. In generale anche i ragazzi che stanno bene si trovano per molti aspetti fuori strada: essi restano a lungo influenzati dagli aspetti regressivi ed illusori del nuovo contesto sociale edonistico e narcisistico. Come viene denunciato da più parti, nella nuova cultura narcisistica hanno perso la capacità di progettare il futuro e di pensare, quindi, in una dimensione spostata in avanti nel tempo.
Inoltre i giovani più vulnerabili psicologicamente, sono drammaticamente persi nel loro cammino di crescita e sono impigliati in gravi e spesso bizzarre patologie, tipiche della nuova cultura familiare e del nuovo contesto sociale.

Vuoi dire che è il contesto sociale causa principale di questo smarrimento diffuso? Insomma c’è una differenza sostanziale rispetto all’educazione ricevuta dai padri di questi giovani?
Certamente il contesto socio – educativo in cui si trovano a crescere oggi i ragazzi è non solo molto distante dal vecchio sistema autoritario o tradizionale ma la condizione psicologica è addirittura opposta.
Nella società tradizionale un ragazzo cresceva imparando molto presto a rinunciare ai propri desideri e ai propri sogni. La famiglia e la società, infatti, erano sessuofobiche e autoritarie. Erano, quindi, contro il desiderio e contro il soggetto. Il bambino cresceva immerso nella cultura della paura e della colpa per le minacce degli educatori e per la presenza in lui di un desiderio sessuale ed aggressivo che si poteva anche cercare di negare, sublimare, rimuovere, ma che ostinatamente si rifaceva sempre vivo nella sua mente. D’altra parte, il vantaggio per la sua crescita era che in adolescenza non ci voleva molto tempo per fare i conti con la realtà: abituato com’era fin da piccolo a rinunciare ai propri desideri, ai propri sogni ed illusioni, l’adolescente cresceva in fretta e si abituava molto rapidamente ad entrare in un ruolo adulto responsabile, anche se esso, il più delle volte, era stato scelto da altri e non da lui. Anche per chi poteva permettersi il lusso di scegliere il proprio progetto futuro, visto che nessuno insegnava ai ragazzi a scoprire se stessi, la propria vocazione e i propri desideri, il risultato non era migliore: tale scelta, infatti, risultava il più delle volte sbagliata, era cioè espressione di un “falso sé” da cui ci si svegliava troppo tardi per cambiare.

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La totale negazione della personalità, della soggettività, quindi. Dicevi che la situazione del giovane oggi è opposta, in che senso?
Oggi la cultura del narcisismo, ribalta completamente la situazione. Essa mette al centro il soggetto coi propri bisogni e coi propri desideri; inoltre se nel passato l’età giovanile era al servizio del progetto futuro, ora nel sistema narcisistico prevale una cultura ripiegata sul presente, dove gli individui vivono più che altro per se stessi, mettendo al primo posto la ricerca del piacere, la visibilità sociale e il successo personale.

Essi sperimentano un forte distacco emotivo nelle relazioni, una perdita del senso storico rispetto alla vita e quindi una debole idea del passato e del futuro. In questa cultura, il bambino è più adorato che amato, è caricato di aspettative di successo e quindi di illusioni. La famiglia, non più autoritaria ma “affettiva”, come la definisce Charmet, sollecita la sua creatività e le sue iniziative. Il figlio ideale non è più un individuo docile e ubbidiente, ma un ragazzo intraprendente, creativo, pieno di interessi, capace di farsi strada nella vita e di avere successo con gli amici e con le ragazze o i ragazzi.

Il problema nasce durante il periodo dell’adolescenza e dal confronto con la realtà: questo figlio ideale si trasforma in un ragazzo debole, vulnerabile e, il più delle volte, alla fine dell’adolescenza, rimane prigioniero di illusioni infantili che pregiudicano le sue potenzialità. E’ in questa fase della vita che si devono prendere decisioni importanti, ci si deve separare, ed è in questo periodo che ci si confronta molto più seriamente con il mondo esterno, con le frustrazioni e le dure regole della vita. E’ in questa fase della vita, dunque, che tornano centrali i valori affettivi paterni: il saper decidere, separare, il mettere ordine, il saper dire dei sì e dei no chiari sulle questioni strategiche della vita, il trasmettere principi etici. E questi sono i valori di cui la famiglia attuale è più carente.

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In poche parole si scontrano aspettative e realtà… Interviene “l’esame di realtà” per citare Freud…
Esattamente. L’adolescente arriva a questa fase della vita carico di aspettative, con un “io enorme” che “pretende” successo, visibilità sociale, riconoscimenti, affettività, bellezza e potere. Ma la sua personalità è poco allenata alle frustrazioni e al dolore mentale, si rivela impreparata di fronte ai problemi più difficili di questa fase del ciclo di vita: maturazione affettiva, sessuale, etica, studi impegnativi e frustranti, grandi ansie e complessità dei primi legami d’amore, mondo del lavoro irraggiungibile. Contro questa realtà si infrangono i sogni infantili di successo e di visibilità sociale.

Dunque cosa può accadere a questo punto? Quali possono essere gli esiti di questa empasse evolutiva?
Soprattutto nelle famiglie più fragili e problematiche il percorso adolescenziale dei figli rimane bloccato dalle fantasie onnipotenti infantili, il loro “io narcisistico” non si ridimensiona ed essi rimangono per tutta la vita imprigionati da un’immagine di sé grandiosa ma al tempo stesso molto fragile (senso di precarietà, paura di fare brutta figura).

Molti ragazzi con la complicità inconsapevole della famiglia, rischiano di restare intrappolati nell’infanzia e nel fascino della figura materna, altri sono catturati da un suo replicante sempre più invadente e seduttivo, rappresentato dalle lusinghe ipnotiche e regressive della cultura dei consumi e del divertimento a tutti i costi, altri ancora da una sua versione ancora più pericolosa, rappresentata dalla malattia, dalle droghe e dalle altre dipendenze patologiche.

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Certamente però ci sono le eccezioni, famiglie sane e giovani adattati.
Molti genitori riescono a fornire ai figli sufficienti “anticorpi” contro i “virus” della cultura del narcisismo e sufficienti principi etici per valorizzare quanto essi hanno ricevuto di buono nel corso dell’infanzia, in questo modo, essi ottengono risultati migliori rispetto ai genitori di un tempo.

Essi, infatti, vedono crescere dei figli con notevoli capacità “artistiche”: si tratta di ragazzi molto creativi, molto interessati a stabilire relazioni affettive intense nella coppia e nell’amicizia e ad impegnarsi creativamente nella realtà; sono giovani perlopiù di indole pacifica, anche grazie all’amore che hanno ricevuto durante l’infanzia, e sicuramente sono più consapevoli di sé e del mondo in cui vivono rispetto ai giovani adulti delle passate generazioni.

Qual’è l’universo relazionale dei giovani più fragili?
Molti di loro sembrano vivere in un tempo vuoto, privi di affetti e di passioni, capaci solo di relazioni strumentali, utilitaristiche e superficiali. Essi sembra non sappiano identificarsi con la condizione degli altri che temono e disprezzano. Al tempo stesso, tuttavia, essi vivono un doloroso sentimento di esclusione, un’estrema vulnerabilità e una fame sproporzionata di riconoscimento e valorizzazione.

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Sembra una contraddizione, ma in effetti è l’eccesso di protezione familiare che garantisce il fallimento dell’adolescente durante la fase di separazione.
È così in effetti. Ed è ancora più vero in una cultura come quella italiana, dove il valore della famiglia è così forte. Durante l’adolescenza, infatti, tale ideale di forte appartenenza affettiva, da valore affettivo aggiunto, rischia di trasformarsi in un limite, in un handicap e quindi in un’incapacità da parte dell’adolescente di separarsi per andare verso il mondo.

D’altra parte, come accennavi prima, alle incapacità della famiglia si unisce la vacuità della società dei consumi.
Certo. A fare da cornice alla famiglia affettiva, c’è un contesto sociale governato dal mercato dei consumi: i mass media e le nuove tecnologie sostengono seduttivamente i giovani nelle loro pretese immaginarie e onnipotenti. Nel mondo in cui viviamo c’è un continuo incitamento socio-culturale al consumismo, al divertimento, all’apparire, all’esibire la forma del corpo, che deve essere sempre splendido e giovanile; tutto ciò che ha a che fare con il disagio, con la vecchiaia, invece, va nascosto; la morte, per esempio, va rimossa socialmente perché è contraria a questo mito narcisistico dell’eterna giovinezza.

Prima parlavi dell’incapacità dei giovani di progettare e di pensare il futuro, è un discorso legato a questa vuotezza sociale?
La cultura del sociale, che un tempo era soprattutto il luogo del lavoro e della responsabilità, oggi spinge chi è in crisi verso la dimensione regressiva del piacere edonistico, spinge verso una direzione opposta rispetto a quella della crescita e dell’impegno cioè verso il passato, verso l’infanzia, verso un seno materno, rappresentato di volta in volta dai consumi, dalle droghe, dalla cultura ipnotica dei mass media o dei videogiochi, verso una cultura, insomma, che fa tornare piccoli, un po’ obnubilati, come lo sono i neonati dopo aver succhiato il seno materno. In questo tipo di cultura malata i più giovani perdono facilmente il senso storico, il senso delle tradizioni, il senso della grande saggezza degli anziani; in particolare, è una cultura che allontana il senso del futuro e condiziona i giovani a vivere ripiegati sul presente, dando valore più agli oggetti che alle persone.

 

Da qui si spiegano le problematiche narcisistiche, ma come dare conto delle tendenze depressive che sono in crescita in maniera preoccupante anche tra i più giovani?
In questa fase della vita le problematiche di tipo narcisistico sono sicuramente in aumento: tendenze autolesive, delinquenziali, tossicodipendenze, disturbi alimentari, disturbi di personalità, ecc.; anche rispetto all’impegno sociale. Durante l’adolescenza sono sempre più frequenti anche le problematiche depressive esplicite ed i segnali di disagio interpretabili come “equivalenti depressivi”, cioè come comportamenti che rimandano alla depressione: pensiamo agli incidenti stradali in motorino e in macchina, prima causa di morte nell’età giovanile, dietro cui si nasconde spesso il tentativo di fuggire dal dolore depressivo, pensiamo alla ricerca di sensazioni forti che porta tanti ragazzi ad andare in discoteca e ad utilizzare droghe prestazionali come l’ecstasy e la cocaina per anestetizzarsi rispetto alla tristezza, pensiamo infine all’aumento preoccupante dei suicidi in adolescenza.

Per concludere di cosa avrebbero bisogno questi giovani?
I ragazzi delle nuove generazioni hanno bisogno di educatori validi, capaci di tenerli svegli e consapevoli contro le lusinghe ipnotiche della cultura del narcisismo, ed anche capaci di trasmettere loro fiducia e speranza nel futuro, cioè nella possibilità di raggiungere mete ambiziose che possano restituire senso alla crescita ed alla fatica quotidiana.

Bibliografia
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Lasch C. (1979), La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano, 1981
Miscioscia D., Miti affettivi e cultura giovanile, Franco Angeli 1999.
Miscioscia D. e Nicolini P., a cura di, Sentirsi padre. La funzione paterna in adolescenza. Franco Angeli, 2004.
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Chi è

Psicologo, psicoterapeuta, docente e formatore. Presidente della cooperativa sociale “Borgocometa” di Monza , socio fondatore dell’ Istituto “Minotauro” di Milano. Ha collaborato con i Provveditorati agli Studi di Milano e Piacenza ad alcuni programmi di prevenzione e innovazione in ambito educativo nella scuola media inferiore e superiore. Ha collaborato come consulente psicologo scolastico con l’Asl di Milano. Collabora a progetti formativi sull’educazione alla pace come consulente del Centro Psicopedagogico per l’educazione alla Pace e la gestione dei conflitti di Piacenza. E’ docente di psicologia in diverse scuole di psicoterapia e di formazione educativa. Ha avuto incarichi di docenza nell’università di Ancona e di Palermo. Lavora come psicologo clinico e supervisore in Centri Clinici, Scuole e Servizi Sociali. Ha scritto, anche in collaborazione con altri: La formazione psicologica delle allieve della Scuola per vigilatrici d'infanzia 1987; La cultura affettiva degli insegnanti nella scuola dell'adolescente1990; L'ascolto psicologico e pedagogico nella scuola superiore 1995; Scuola e prevenzione 1998; Le radici affettive dei conflitti 1998; Miti affettivi e cultura giovanile 1999; Adolescenti, diversità e violenza 2003; Cultura giovanile e generazione 2004; Essere padre. Sentirsi padre. La riscoperta del ruolo paterno 2004. Ha inoltre pubblicato numerosi articoli di carattere scientifico su riviste di psicologia e di formazione.

 

 

 

Jessica Abel

200812-jessica-abel.jpgNel 1996 vince il prestigioso premio Xeric, con cui pubblica il quinto albo della collana che la mette in luce con la casa editrice Fantagraphics Books e le fa vincere il premio Harvey come “miglior talento” del 1997. Da allora, la Abel ha lavorato per numerosi giornali, realizzando non solo delle storie a fumetti, ma usando anche questo mezzo di espressione per realizzare dei veri e propri articoli giornalistici. Nel 1999 si trasferisce a Città del Messico con il suo fidanzato Matt Madden. Lì continua a lavorare e realizza un interessante fumetto basato sulla una popolare trasmissione radiofonica. Dopo essere tornata negli Stati Uniti, si trasferisce a New York assieme a Matt Madden (ora suo marito) e inizia la pubblicazione di La Perdida, una miniserie ormai quasi giunta alla sua conclusione che prende a piene mani dalla sua esperienza messicana. Attualmente, oltre ad aver partecipato al volume Bizzarro Comics, un libro dove autori della scena indipendente realizzano storie utilizzando i personaggi della DC Comics, lavora molto come illustratrice e collabora alla realizzazione dei reading “Comix Decode”, in cui alcuni dei più interessanti autori leggono e discutono i propri fumetti mentre sono proiettati con delle diapositive.
www.jessicaabel.com

Le tavole che arricchiscono questo articolo sono tratte da "Artbabe", pubblicato in Italia da Black Velvet. Dal sito della casa editrice è anche tratta la sua scheda di presentazione

Gli autori di Vorrei
Manuela Montalbano