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Le difficoltà dello stato sociale si possono superare ricostruendo il tessuto comunitario nel territorio. Intervista al deputato del Partito Democratico

 

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bbiamo incontrato l'onorevole Roberto Rampi al margine del convegno sul tema della cultura come motore di sviluppo economico per la Brianza. Convegno da lui promosso nella Villa Reale di Monza. In questa intervista abbiamo voluto trattare però il tema delle comunità locali. Un realtà in crescita. Da iniziativa pionieristica, quale era solo alcuni anni fa, sta divenendo un fenomeno sempre più diffuso e consolidato nella società brianzola.

 

Roberto Rampi, la rivista Vorrei per sua natura è sensibile ai temi del territorio, della sua cultura e di quanto in essa matura di nuovo e promettente. Il tema della nuove comunità ci ha visto impegnati e partecipi con una lunga serie di servizi. Non abbiamo però finora affrontato il tema nella sua relazione con la politica. Onorevole Rampi, pur muovendosi essenzialmente in un ambito pre-politico, le comunità sono importanti per la politica in Brianza?
Le comunità sono una chiave essenziale. Le vedo particolarmente bene. Sono convinto che questa sia una delle questioni fondamentali su cui lavorare. Credo che in qualche misura, anche per il modo in cui abbiamo costruito i servizi pubblici nella seconda metà del Novecento, il famoso importantissimo stato sociale ha avuto un rovescio della medaglia inatteso. La strutturazione di servizi, in maniera quanto più efficiente e distaccata, ha prodotto la perdita di comprensione delle motivazioni e del valore di quei servizi. Ricostruire una dimensione comunitaria significa ridare un senso al bene pubblico. Diverso dalla percezione attuale di "cosa statuale". Vuole dire riscoprire il valore comunitario di quella "cosa" che essendo dello Stato non è sentita propria, ma percepita un qualcosa d'altro lontana da se.

 

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Roberto Rampi - Foto di Pino Timpani 

 

Qual'è il concetto di comunità per Roberto Rampi?
Uso spesso questa immagine: nella cascina lombarda tradizionale c'era una comunità che aveva un modello di gestione senza saperlo. Era un modello di gestione naturale degli anziani, dei minori e delle persone con difficoltà. Nella comunità i problemi diventavano "cosa" di tutti. Insieme si gestivano i bambini di tutti. Gli stessi bambini erano di tutti e se un bambino aveva una difficoltà veniva accudito oltre che dai genitori anche da altri componenti della comunità. Lo stesso era per gli anziani. La condivisone era naturale. Addirittura anche nel confronto con la morte c'era un momento comunitario. Di fronte alle tragedie, siccome venivano condivise quelle capitate agli altri, le persone della comunità si sentivano psicologicamente meno sole. In questo contesto ci si rendeva conto che determinati avvenimenti potevano capitare a chiunque. Partecipare alla comunità comportava l'acquisizione di strumenti esperienziali del patrimonio comunitario.

La strutturazione dei servizi novecentesca non ha però spinto i cittadini a diventare consumatori?
Si. Questo è un grande problema. L'utente dei servizi sociali in qualche modo è un tipo di consumatore. Invece di pagare la tariffa, paga le tasse. Questa accezione si è spinta addirittura a introdurre la customer care e altri sistemi di monitoraggio e perfezionamento propri del modello del consumo di massa. Invece la comunità non è fatta di utenti.

Io aderisco al Gas Il Pane e le Rose di Concorezzo

Ci puoi parlare delle comunità presenti in Brianza che ritieni più significative?
La rete dei Gas è una esperienza ormai storica. Io aderisco al Gas Il Pane e le Rose di Concorezzo. Quando spiego il senso della mia partecipazione ad esterni faccio fatica a farne capire il senso. Il Gas non ha alcuno degli obbiettivi generalmente identificabile dall'esterno. L'obbiettivo non è comprare i prodotti a basso costo. Tanti pensano a questo. Non è neanche il comprare prodotti migliori a prezzi sostenibili, anche se questo elemento ha una sua logica. Il gruppo di acquisto nasce sul concetto di solidarietà, da una idea di ricostruzione comunitaria e solidale. Il singolo quando aderisce opera anche un segmento del lavoro. Ognuno fa degli acquisti per conto di tutti e li gestisce per conto di tutti. Così ricostruisce comunità.

Bene Comune di Carnate sta facendo un lavoro strepitoso

In Brianza ci sono altre comunità appena formate come ad esempio la Comunità Agricola del Cibo. (ne avevamo trattato qui, ndr). Pensi che anche queste sono in grado di formare nuove comunità come quelle della Rete Gas del Desbri?
Si. Infatti ho subito aderito versando una quota sociale per la partecipazione al progetto. Lo ritengo molto interessante con anche la valenza di prospettare un valore sociale alla produzione di cibo locale, determinato con la partecipazione a un processo di produzione condiviso e consapevole. Ci sono altre esperienze interessanti. Penso per esempio alla nascita recente del gruppo per il Bene Comune di Carnate che sta facendo un lavoro strepitoso proprio in questa logica di ricostruzione di tessuto comunitario: ci mettiamo insieme, chiediamo anche alle istituzioni una serie di supporti, ci prodighiamo a tenere pulito, a tenere a posto, a fare piccole manutenzioni nel paese. C'è una esperienza molto interessante a Modena dove un gruppo di quartiere ha chiesto al Comune di avere a disposizione alcuni strumenti per il taglio dell'erba e per spalare la neve quando serve. Ne è nato un gruppo di intervento senza nessun costo per il Comune, se non la messa a disposizione degli strumenti e dei mezzi. C'è una funzione pratica, ma quella più importante è la ricostruzione di un tessuto comunitario. In questo senso anche alcune idee sul cohousing vanno in questa direzione. Un modo di abitare insieme diverso. Dove non può capitare di non sapere chi è il nostro dirimpettaio di pianerottolo. Vimercate è stata peraltro una città della Brianza pioniere di un progetto di cohousing con queste finalità.

 

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Comunità Agricola del Cibo - Agrate Brianza - Foto di Pino Timpani

 

Non conoscere il vicino di casa è una condizione diffusa nei contesti di agglomerati urbani. La ricostruzione di comunità può influire anche nei modelli relazionali della popolazione iper urbanizzata?
Si. Nel novecento qualcuno ha scritto delle parole molto belle su questo tema. Recentemente ho visto il film su Leopardi. Prendendo un poco le distanze dai circoli illuministici, a cui si era legato in un primo tempo, il poeta dice: non credo possa esistere una società intesa come una massa di persone felici e composta da individui felici. C'è una drammaticità della condizione dell'individuo in quanto tale, antropologica, che va affrontata. Non si può risolvere con la risposta dei bisogni di massa. Peraltro Leopardi anticipa di un secolo e mezzo alcune questioni poste per esempio da Pasolini. Oggi il punto è questo. Abbiamo lavorato molto nella seconda metà del novecento sull'individuo, però abbiamo perso il senso delle relazioni comunitarie. L'essere umano innanzi tutto è un animale sociale, se perde le relazioni cambia tipo di natura.

In Inghilterra, dove le pratiche comunitarie hanno una storica esperienza consolidata, il governo di Cameron aveva posposto un progetto di Big Society che a molti è sembrato un modo per scaricare funzioni statali alla società. Può essere che anche da noi le Amministrazioni locali siano indotte a utilizzare la propensione comunitaria di cui stiamo trattando per scaricare i costi dei servizi?
Si. Il rischio c'è. Io uso da tempo il termine neo comunitario, ma altri lo hanno usato con un significato che però non condivido. Il tema è delicato. Però il nodo è questo: se pensiamo che di fronte alle difficoltà dello stato sociale e dei tagli alla spesa pubblica possiamo limitarci solo a difesa di alcuni principi in termini teorici, senza mettere in discussione il modello. Forse c'è un bene nel male. La ristrettezza di risorse ci costringe a rivedere alcuni ragionamenti sullo stato sociale. Intanto il Comune deve svolgere una attività di coordinamento. Mettere a disposizione mezzi e strumenti. E' giusto fare una operazione di questo tipo, però non può diventare mero utilizzo di manodopera gratuita. Il fatto che queste attività siano comunitarie e quindi di natura non lucrativa, non vuol dire che debbano essere considerate a priori in perdita. Non dobbiamo pensare che queste attività siano esclusive per le persone che se lo possono permettere per tempo disponibile e condizioni economiche.

 

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Fonendoscopio - Ritratto di gruppo con Roberto Vecchioni - Foto di Max Spinolo - Comune di Vimercate 1998

 

Per spiegare questi concetti racconto la mia esperienza diretta. Ho iniziato a fare politica in modo inconsueto. Insieme ad altri coetanei ho fondato a Vimercate Fonendoscopio, una associazione culturale con 26 ragazzi iscritti. La avevamo costituita partendo da un bisogno: eravamo un gruppo di ragazzi tra i 16 e i 20 anni. Pensavamo che l'offerta per attività che noi ritentavamo essere interessanti era scarsa. A un certo punto abbiamo maturato insieme l'idea: siccome non potevamo pretendere che qualcuno ci offrisse quanto da noi desiderato, abbiamo pensato di proporre noi direttamente l'offerta. Siamo andati in Comune e abbiamo proposto un progetto all'Amministrazione. Noi abbiamo messo a disposizione l'impegno volontario e il Comune ci ha affidato in gestione spazi e mezzi. Così abbiamo cominciato ad organizzare concerti e attività culturali. Successivamente il Comune ebbe a disposizione delle risorse finalizzate ad aprire le prime mediateche in Brianza. Così ci propose la gestione della mediateca di Vimercate. Alla fine raggiungemmo un accordo in base al quale ci veniva riconosciuto il nostro impegno volontario con un contributo destinato alla associazione. Non un contributo individuale ma collettivo. Un patrimonio dell'associazione per sviluppare alcune delle sue attività. Se le nuove comunità che si costituiscono riescono a far risparmiare delle risorse, siccome l'obbiettivo prioritario non è quello del risparmio, sarebbe preferibile che queste avessero la disposizione delle risorse, anche pubbliche, per progettare e gestire le loro attività. Per esempio nel caso che citavo prima di Modena, gli strumenti e o i mezzi costosi, come la macchina per rimuovere la neve o la taglia erbe e altri, il Comune li ha affidati in uso all'associazione.

La ristrettezza di risorse ci costringe a rivedere alcuni ragionamenti sullo stato sociale

Questo significa che si può evitare il disimpegno della funzione pubblica istituzionale, mantenendo una struttura di servizi parallela e interagendo con i livelli dell'associazionismo?
Esatto. In qualche modo ci siamo indeboliti. Necessita di essere rinforzata la difesa di alcuni principi e valori anche pratici, cioè quando noi aiutiamo le persone in difficoltà o persone con disabilità gravi o aiutiamo ad esempio i rifugiati. Se non si ricostruisce una comunità che risponde a questo sentire, si rischia di farlo in maniera intellettualistica, lontano dalla gente e calata dall'alto. Poi quando qualcuno propone tagli ai servizi sociali per pareggiare i conti del bilancio, questi particolari servizi possono passare inosservati e per questo inevitabilmente colpiti. In una comunità di questi casi ce ne sono pochissimi. La maggioranza della popolazione si concentra alla difesa delle scuole materne o dei nidi. Come fare in modo che tutti capiscano anche la necessità di servizi che difficilmente li riguarderà nel corso della propria vita? Bisogna riportare la comunità alla comprensione e costruire il supporto solido a questi investimenti. Questo lo si può fare meglio ricostruendo il valore comunitario.

 

 Il sito di Roberto Rampi

Approfondimenti sul tema del comunitarismo:

Il termine comunitarismo è comparso nell'ambito della filosofia politica anglosassone a partire dagli anni '80 per descrivere un movimento di opposizione al liberalismo e al capitalismo. Oggi si identifica come un insieme di filosofie distinte ma unite dall'opposizione all'individualismo. Spostando l'attenzione dal singolo individuo alla società ed alla comunità, ha un grande impatto su molte questioni etiche, come la povertà, l'aborto, il multiculturalismo e libertà di parola. Le teorie comunitariste sono variegate. E' difficile identificare una teoria condivisa, in quanto ci si trova di fronte a una varietà di analisi e proposte.

Qui Alain de Benoist con "Il pensiero comunitarista" traccia una scheda riassuntiva le diverse interpretazioni sul tema. Qui il testo di Federico Sollazzo: I principi del comunitarismo. Ch. Taylor e A. MacIntyre analizza le principali interpretazioni di matrice liberale. Qui il testo Maria Dodaro - la critica comunitarista al liberismo rawlisiano. 

In Italia esiste un approccio al tema di origine marxista prodotto dal filosofo Costanzo Preve, scomparso nel 2013.Qui la recensione di Andrea Virga all'opera "Il nuovo comunitarismo" di Costanzo Preve. Il filosofo italiano è stato criticato perché nella sua ricerca si è trovato in contiguità con alcune concezioni sul tema proveniente dall'estrema destra. 

Qui il testo "Il comunitarismo" di Valentina Pazé Bari-Roma, Laterza, 2004 presenta un lavoro filologico e semantico sul tema di Roberto Esposito Communitas. Origine e destino delle comunità, Einaudi, Torino, 1998

 

Gli autori di Vorrei
Pino Timpani

"Scrivere non ha niente a che vedere con significare, ma con misurare territori, cartografare contrade a venire." (Gilles Deleuze & Felix Guattari: Rizoma, Mille piani - 1980)
Pur essendo nato in Calabria, fui trapiantato a Monza nel 1968 e qui brianzolato nel corso di molti anni. Sono impegnato in politica e nell'associazionismo ambientalista brianzolo, presidente dell'Associazione per i Parchi del Vimercatese e dell' Associazione Culturale Vorrei. Ho lavorato dal 1979 fino al 2014 alla Delchi di Villasanta, industria manifatturiera fondata nel 1908 e acquistata dalla multinazionale Carrier nel 1984 (Orwell qui non c'entra nulla). Nell'adolescenza, in gioventù e poi nell'età adulta, sono stato appassionato cultore della letteratura di Italo Calvino e di James Ballard.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.