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Quella notte Ulisse alloggia nella locanda dove i suoi genitori hanno trascorso la loro prima notte coniugale. Sul comò c’è la brocca dell’acqua e i bicchieri. 

 

Bim, bum, bam! Provate a dividere gli anni della vostra vita per sette o diciassette, ma con gli occhi chiusi e il respiro trattenuto. Non c’è risultato. Vi ha provato Cartesio e non c’è riuscito. “Sono numeri anomali” ha scritto il filosofo prima di sparire per sempre. In ogni modo chi vi riesce diventerà immortale e chi manca sarà incenerito dal fulmine.

Davanti allo specchio Ulisse si insapona il volto apprestandosi a radersi: “Il fulmine.” pensa “Perché aspettare il fulmine che mi bruci?” Egli non ha paura del fulmine piuttosto teme il susseguente rimbombo del tuono con la prosopopea da Giorno del Giudizio. Ulisse non ama le grida, le porte che sbattono, predilige la goccia che cade dal rubinetto, i bisbigli dei vecchi in preghiera. Ama i silenzi. Al bar chiede il caffè con un gesto: alza l’indice della mano destra. Il barista acconsente levando il pollice e gli serve il caffè.

Per sfuggire ai fulmini Ulisse decide di tornare nel paese dove è nato, al cospetto dell’infinità dei campi di riso sorvolati dagli aironi diretti verso la fine del mondo. La sua è stata una vita regolata da affettuosi battiti del cuore: il cuore dei suoi genitori e il cuore di Laura. Come professore di matematica ha viaggiato molto insegnando soprattutto in cittadine periferiche, in una di queste, porto di mare per il commercio del tabacco, ha incontrato Laura.

Puntualmente, ai primi di marzo, sul finire di una notte, la primavera entra nella sua casa posandosi con chiara luce sulle foglie e i fiori della tappezzeria. “Sono pronto.” dice Ulisse e mette in ordine la casa: passa la cera sui pavimenti, spolvera i libri sugli scaffali, rifà il letto aggiustando le coperte e sprimacciando i cuscini. Sui cuscini, dalla parte di Laura, indugia con la mano nel ricordo di remote carezze. Chiama Laura, ripetutamente la chiama mentre l’ondata del pianto gli sgorga dagli occhi. Poi chiude la casa e quando è nella strada getta la chiave nel canale dove scorre la buia acqua del residuo inverno.

Giunge presto alla stazione delle corriere, il bar è aperto, ordina un caffè e davanti al banco si accosta ad un uomo che beve un vermut. Si guardano. “Michel…” Ulisse riconosce il soldato della Legione Straniera che ha incontrato da ragazzo. E’ lui, con la cicatrice che gli attraversa la faccia dalla fronte alla bocca. “Michel…” ripete Ulisse e il legionario, come sorto da un sogno, lo guarda e gli sorride. Si scambiano i saluti. La corriera di Michel sta per partire. Ulisse fa’ appena in tempo a chiedergli dove sia diretto. Il legionario gli grida che va al mare e nomina la cittadina dove Ulisse ha conosciuto Laura. Nel cuore di Ulisse si solleva la memoria del vento che soffia sulla costa scuotendo gli ulivi dietro i muretti di sasso.

Ulisse beve il caffè mentre pensa alla disperazione di sua madre quando le aveva comunicato la sua decisione di arruolarsi nella Legione Straniera. Lei l’aveva stretto fra le braccia, come se potesse trattenerlo, gli aveva strappato la camicia e i brandelli aveva pestato sotto i piedi. Sua madre gli gridava: “No,  no, no!” e l’aveva rinchiuso nello sgabuzzino delle vecchie scarpe e delle scope. Ulisse non si era arruolato nella Legione Straniera, aveva continuato gli studi e si era laureato con una tesi sui numeri anomali di Cartesio meravigliando i commissari esaminatori che l’avevano ascoltato con squittii da topo. Il presidente della commissione si era allontanato più volte per andare a lavarsi le mani come se fosse contaminato.

Ulisse fa’ in tempo a bere un altro caffè prima che arrivi la sua corriera. Fatica a prendere posto. Il mezzo è strapieno di gente simile agli affamati che durante la guerra lasciavano la città per i paesi dove i contadini vendevano a borsa nera farina e burro in cambio di ori e stoffe. La corriera parte dondolando come un cane ammalato che fatica nel tornare a casa. Tante volte Ulisse ha fatto quel viaggio con la madre. Andavano a visitare i parenti. Ed ogni volta mancava qualcuno. L’ultima volta era stato per il funerale del nonno, ma non c’era più sua madre.

Quando la corriera si ferma in aperta campagna Ulisse si fa’ il segno della Croce. Conosce quella fermata, sul ciglio della strada c’è un cippo funerario. Scende una vecchia. Trema reggendo un vaso di gerani fioriti.  La corriera ha il motore spento a salvaguardia del silenzio. La vecchia depone i fiori ai piedi del simulacro e resta a capo chino. Ulisse ricorda i versi della morte di Patroclo nell’Iliade: “Disciolta dalle membra scese l’alma a Plutone, la sua piangendo sorte infelice…”

Poi il viaggio riprende, le persone scendono alle fermate e vengono accolte con abbracci dai parenti. Infine la corriera giunge al paese di Ulisse. E’ in corso lo sposalizio dei suoi genitori. La chiesa è affollata e sull’altare maggiore gli sposi sembrano statue scolpite nello stesso sasso. Sua madre stringe fortemente la mano di suo padre. Lo sposo è trasognato e solo la sposa risponde al rituale del parroco officiante, furtivamente strattonando il suo uomo. Lui non apre bocca, si limita ad assentire con cenni del capo. Giunti alla pronuncia del giuramento: “finché morte non vi separi.” si leva un grido dal fondo della chiesa. Tutti si volgono, i capelli ritti per lo spavento: sulla porta del tempio è apparso lo zio Ferro, morto ad el Alamein nella battaglia contro gli inglesi del generale Montgomery.

Quella notte Ulisse alloggia nella locanda dove i suoi genitori hanno trascorso la loro prima notte coniugale. Sul comò c’è la brocca dell’acqua e i bicchieri. In un angolo della stanza lo scaldaletto di ottone con la cenere residua delle braci. Ulisse si accosta all’armadio: esita al pensiero che dentro vi siano ancora gli abiti dei suoi genitori: il vestito di organdis di sua madre, i pantaloni e la giacca a doppio petto di suo padre. Ulisse posa l’orecchio contro l’armadio: nessun suono. Nel colmo della notte si sveglia. Dov’è? Va alla finestra. In fondo all’orizzonte un bagliore di lampi e un brontolio di tuoni. Ulisse si sporge e chiama Laura. Gli risponde un tuonare più prossimo. Chiama ancora: luce abbagliante. I rami degli alberi appaiono come al microscopio. Ulisse allarga le braccia per accogliere il fulmine che il destino gli ha riservato. Il giorno seguente, nella stanza della locanda, viene trovato il libro di Cartesio aperto alla pagina dove è sottolineato il corollario dei numeri anomali: “Nessuno ci lascia. Tutti ci aspettano pochi passi più in là.”

Come se nulla fosse accaduto la primavera si estende dappertutto, il riso allunga le radici nei campi allagati, le nuvole sbiancano e si alleggeriscono, nei paesi di mare gli ulivi germogliano boccioli d’argento. Vi sono giornate di sole, giornate di pioggia freschissima, vi sono anche momenti di grandine: chicchi grossi come noci che spaventano i gatti acquattati sotto le tegole dei tetti.

 

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Gli autori di Vorrei
Adamo Calabrese
Adamo Calabrese

Adamo Calabrese è scrittore, autore di teatro e illustratore. Ha pubblicato con Einaudi il romanzo "Il libro del re", con Albatros i libri di racconti "L'anniversario della neve", "La cenere dei fulmini", "Il passaggio dell'inverno", con Joker "Paese remoto". Ha illustrato i propri libri ed edizioni di Dante, Gibran e Pascutto. Scrive e disegna per il quotidiano "Il cittadinio" di Lodi, per le riviste "Vorrei" di Monza e "Odissea" di Milano. I suoi ultimi lavori teatrali hanno messo in scena opere di Brecht, Joyce, San Francesco e Iacopone. Nel 2012 RAITREha trasmesso un suo testo. Nel 2014 è stato finalista del premio internazionale di grafica satirica "Novello". Insegna letteratura presso le Università della terza età di Sesto san Giovanni e Milano (Università Cardinale Colombo)

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