Nel mondo e nel tempo narrando in versi ai bambini
dedicato a voi tutti e in particolare ai bambini dell’Ucraina
Umberto De Pace, Patrizia Zocchio, Pippo Biassoni
Presentazione di Umberto De Pace
Disegni a cura di Pippo Biassoni
dalla raccolta
“C'ERA UNA VOLTA UN RE”
C'ERA UNA VOLTA UN PELLICCIAIO
C'era una volta un mastro pellicciaio,
ma un giorno pure a lui successe un guaio.
Lavorando di pettine e di spazzola
tra cappe, stole e guanti,
mantelli e manicotti,
sentì bussare e vide farsi avanti
una foca e due lupacchiotti.
Dietro di loro vennero
una talpa e una volpe argentata,
un visone, una tigre sdentata,
un leopardo dal pelo fulvo e d'oro,
una lince, un castoro,
una capra mongola, un agnellino,
un candido ermellino,
una faina assai poco tranquilla,
un coniglio d'angòra e una cincilla.
Di fronte a quella folla di animali
mastro Pelliccia si sentì a disagio:
«Buon giorno, fate adagio»,
disse e inforcò gli occhiali.
Poi si rivolse ancora all'uditorio:
«Che fate qui, nel mio laboratorio?»
Per tutti gli rispose la cinciglia,
era cilena ed era una coniglia.
Mosse i baffi, la coda, anche la testa
e recitò, solenne, una protesta:
«A tutti coloro che fanno il mestiere
di conciatore ovvero pellicciere
annuncio: gli animali da pelliccia
d'ora in avanti più non cederanno
la pelle nè la ciccia.
Oggi, in questa bottega,
fanno alleanza e lega...»
Il mastro pellicciaio, già tremante,
non attese un istante.
Lasciò il cappotto, prese il cappello,
fece valigia, fece fagotto,
prese gli occhiali, appese un cartello,
uscì, disse al visone:
«Me ne vado in pensione».
C'ERA UNA VOLTA UNO
Un uno – disse l'Uno –
che cos'è?
Più piccolo di me
non c'è nessuno.
Ed io che devo dire?
– piagnucolò lo Zero.
Di vergogna son nero,
io mi sento morire.
Zero, dice la gente,
come per dire: niente!
Ma proprio in quel momento
capitò un professore:
– Cos'è questo lamento?
Perchè tanto rumore?
Burì, burò, buratto,
l'Uno contò la storia.
Cicì, cicò, cicoria,
lo Zero espose il fatto.
– E per questo piangete?
O che sciocchini siete!
Tanto per cominciare,
non c'è al mondo nessuno
che potrà mai contare
senza partir dall'Uno.
Poi, con fare severo,
si rivolse allo Zero:
– Basta con questo lagno,
e prendi per la mano il tuo compagno.
Dissi, lo scrissi e feci:
insieme siete dieci!
Che succede? Ridete?
Che bella coppia siete!
Vista quella scenetta,
vista quell'allegria,
altri zeri si unirono,
si fecero compagnia.
Fecero un gran raduno
e in testa c'era l'Uno.
Così furono cento,
così furono mille,
svelti come le anguille
veloci come il vento.
Così, inquadrati, in fila,
furono centomila,
un milione, un miliardo,
con l'Uno sempre in testa
portando lo stendardo.
LE MONETE D'EUROPA
Un giorno Marco e Franco
si misero in viaggio
su un camioncino usato.
Viaggiarono, viaggiarono,
si fermarono in un villaggio
quando Marco fu stanco
e Franco affamato.
Nel mangiare erano parchi.
Si accontentavano di salame e pane,
pagando in franchi e in marchi
i pranzi e le cene.
E tutto andò bene
in Svizzera, in Germania,
Belgio, Francia e Finlandia.
Ma in Inghilterra, per un whisky
e un sacchetto di noccioline
pagarono due sterline.
Sterline anche in Irlanda
per taxi e per locanda.
In Svezia e in Danimarca,
in Norvegia ed Islanda
la vera moneta buona
si chiamava corona;
e non era corona reale
nè simbolo di poesia.
Pure in Cecoslovacchia
pagarono in corone
un vaso di cristallo ed un visone.
Per dieci rubli, a Mosca e a Leningrado,
scialarono con vodka e caviale.
Poi, via col treno, in altra capitale.
In dinari pagarono a Belgrado.
A Sofia e a Bucarest,
con bulgari e romeni,
sborsarono «leoni»
negli alberghi, nei treni,
perfino in osteria.
In Olanda e in Ungheria
comprarono paprike e fiori
pagando in fiorini.
In Austria circolarono
con gli scellini.
A Roma, per dormire,
per viaggiare e mangiare
ci vollero le lire
(non quelle per suonare).
Con le lire arrivarono
fino alle Puglie, a Bari,
e lì fecero i marinari.
Così, con quel mestiere,
l'uno facendo il mozzo
e l'altro il timoniere,
Franco e Marco riempirono
di soldi un barilozzo.
Sbarcando in Albania
cambiarono uno check
per quattrocento lek.
Ne spesero cento a Tirana
i rimanenti a Durazzo,
ma non si trovarono bene.
Perciò filarono a razzo
per raggiungere Atene.
In Grecia spesero dracme
e qualche altra moneta,
in Spagna la peseta,
in Portogallo l'escudo.
Rimasero senza un soldo
col portafoglio nudo.
In fondo a una tasca
trovarono uno zloty
moneta della Polonia
e quello lo spesero con parsamonia.
Qualche anno dopo, nell'Europa unita,
viaggiando con gli euro in tasca,
i due amici bevvero succo di marasca,
mangiarono carne bollita,
cibi d'ogni sorta e per ogni dieta,
pagando sempre con la comune moneta.
E ancora vanno in giro a braccetto
con l'euro nel sacchetto.
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