Alberto Casiraghy, micro-editore di Osnago, da 35 anni pubblica enormi piccoli libri. Abbiamo fatto visita a quella stanza delle meraviglie che è la sua casa-bottega
S
cenografo, stampatore, liutaio, poeta, illustratore, editore. Questi me li sono appuntati, eppure sono certo che ad ascoltarlo qualche altra ora, di mestieri ne avrebbe confessati altri cento. Lui è Alberto Casiraghy. Con la ipsilon alla chiusa, come l'ha subito messa anche al mio, di nome. Fra un aneddoto e un altro, mentre paziente rispondeva alle domande curiose di un direttore, digitale ma nostalgico della carta.
È lui Pulcinoelefante. È lui il micro-editore prossimo agli 8888 titoli stampati. Tutti in piccolissime tirature: venti, trenta, quaranta copie, non di più. Alcuni firmati da personaggi molto noti come Bruno Munari o Allen Ginsberg, Lawrence Ferlinghetti o John Giorno, Fernanda Pivano o Roland Topor; altri da oscuri autori. Fulminanti aforismi, ineffabili schizzi di vita, esiziali versi, sempre accostati a incisioni, disegni, riproduzioni, collage, fotografie, ori, pupazzetti, buchi, fustelle, acquarelli, pastelli.
Un campionario erotico sterminato per chi ha passione per la parola e per l'immagine, stampate su carta che è delizia al tatto. Quello che i pixel, i led, il sintetico touch non riuscirà mai neppure a imitare.
A Osnago, nella casa su due livelli stracolma di libri, dipinti, feticci, maschere e ricordi, con la sua macchina da stampa mette insieme i caratteri mobili, imprime e rilega pietre preziose nascoste fra le poche pagine delle sue edizioni da collezione.
A raccontarla, si direbbe una storia dei nonni. Di quando non c'era il computer; e il toner, il laser, il getto d'inchiostro erano futuro remoto. E per dirla tutta non ci sono neppure la televisione e il frigorifero. E invece no. C'è così tanta contemporaneità e vita che non basterebbe il nuovo datacenter della Apple a contenerla tutta. Solo che l'unità di misura non è il byte, sono i caratteri fusi in piombo e antimonio raccolti nelle cassettiere; disegnati dall'eterno Bodoni — roba del 1700 signori miei — o da Stanley Morison — suo il Times per l'omonimo quotidiano londinese, del 1931 — o il più vecchio di tutti questi, il Garamond, XVI secolo.
E se non è il piombo dei caratteri è il legno di bosso delle incredibili xilografie di Alberto Porazzi. Incredibili perché il dettaglio farebbe pensare a calcografie, al metallo inciso dall'acido dell'acquaforte, non al bulino che accarezza ciò che fu albero.
In tanti hanno fatto tappa a casa del Casiraghy in questi decenni, da Pippa Bacca ad Alberto Rebori, da Matticchio a Scarabattolo. Ma ad una sola è toccato il privilegio di dare voce a più di mille (mille!) dei titoli del Pulcinoelefante. Ad Alda Merini. Che chiamava anche venti volte in un giorno e che poi aveva bollette da 3 milioni di lire da pagare.
Che cosa lega queste migliaia di titoli, pagine, versi? Qual è il filo refe che le tiene insieme? Ovviamente le dita di Alberto Casiraghy guidano l'ago che buca i fogli. Ma a guidare le mani di Alberto c'è un'arma ancora più aguzza: la leggerezza. Mai prendersi troppo sul serio! Mai pensare di creare oggetti troppo importanti per essere veri. E infatti le parole dei quasi 9000 pulcinielefanti sono sempre leggere, deliziosamente ironiche: «Ho tantissime cose da non dirti» (Oscar Wilde), «Non ti amo, ma non so come dirmelo» (Paolo Bianchi), «Le emozioni delle mosche non interessano proprio nessuno» (Alberto Casiraghy), «La donna è un firmamento, ma se un uomo non sa leggerle dentro, vede solo la notte» (Alda Merini).
Poesia è parola abusata. Chiamiamo poesia il passaggio no-look di Ronaldinho o la luce della luna che lumeggia il profilo della nostra amata, l'icastico verso di Fabrizio De André come il sovrapporsi dei veli di colore di Mark Rothko. A casa di Casiraghy, fra le pagine che rilega, la poesia è incanto che si tocca. Le parole di questa pagina arrancano, tentano di ritrarla. Ma la poesia è fra una parola e l'altra della poesia. Finiamola qui allora con le parole, tanto non c'è gara.