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L’ex cantante dei Ritmo Tribale, band tra le migliori dei fertili anni ’90 italiani, è tornato quest’anno dopo 13 anni di silenzio con un nuovo album. La data al Tambourine

 

 

Fotografie di Francesca Pontiggia

Quello di Edda non è un concerto come tutti gli altri. Probabilmente questa frase è già stata detta per molti altri artisti o band di vario genere, ma in questo caso la definizione è vera ed inattaccabile. L’ex cantante dei Ritmo Tribale, band tra le migliori dei fertili anni ’90 italiani, è tornato quest’anno dopo 13 anni di silenzio con un nuovo album, intitolato “Sempre Biot”. Titolo azzeccatissimo, data la natura acustica ed intima dei dodici brani contenuti nel disco. Titolo che vale ancora di più per il suo live.

 

Al Tambourine, davanti ad un pubblico folto ed appassionato, Edda si è infatti messo a nudo, rivelando in ogni brano il suo spirito più profondo, regalando emozioni mai scontate, da elaborare pian piano. Più che un vero concerto è stato quindi un viaggio all’interno della mente e del cuore di un uomo, della sua storia, dei suoi problemi e delle sue paure, accompagnati in questo dalla sua voce, capace di cambi repentini di tonalità e di picchi di espressività sorprendenti, e da accompagnamenti musicali mai invadenti.
Ogni brano proposto è diventato quindi una tappa di questo viaggio, una parte del flusso di coscienza di Edda. Gli accordi e i testi originali sono diventati di volta in volta le basi per le rielaborazioni del cantante, con stravolgimenti orientati il più delle volte a rendere i versi ancor più crudi ed intensi. Questo è accaduto sia con i suoi brani che con le cover proposte (se ancora possono essere definite così dopo il trattamento subito).

 

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Tra le canzoni di “Sempre Biot” quelle che più hanno colpito sono state indubbiamente “Fango di Dio”, con il verso “mi sono perso mentre andavo all’Ikea” in cui ognuno si riconosce; “Milano”, ritratto lapidario e poetico delle contraddizioni della capitale lombarda; “Organza”, che cita Carmen Consoli pur essendone lontanissima.
Tra le cover vanno citate “Amore splendido” di Moltheni e “Dentro Marylin” degli Afterhours, rappresentate nella nuova versione da un solo verso, quello che dà il titolo alla canzone nel primo caso, mentre per il secondo il riferimento è stato al “naturale processo di eliminazione”.
Un discorso a parte meritano invece i brani dei Ritmo Tribale, che non hanno subito particolari stravolgimenti, a parte il passaggio dall’elettricità imperante negli anni ’90 alla versione acustica odierna. È stato così possibile per i numerosi fan di vecchia data della band di Edda cantare e lasciare spazio alla nostalgia, grazie a “Sogna”, posta in apertura di set, come a sottolineare il carattere non esattamente reale di ciò che sarebbe seguito, e alle seguenti “Uomini” e “Oceano”. Canzoni che a distanza di 15 anni hanno ancora molto da dire, così come quelle più recenti.

 

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Gli autori di Vorrei
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi

Nasce nel 1984. Studi liceali e poi al Politecnico. La grande passione per la musica di quasi ogni genere (solo roba buona, sia chiaro) lo porta sotto centinaia di palchi e ad aprire un blog. Non contento, inizia a collaborare con un paio di siti (Indie-Eye e Black Milk Mag) fino ad arrivare a Vorrei. Del domani non v'è certezza.

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