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La lettura dei romanzi romani di Pasolini alla luce dei grandi maestri lombardi del realismo e della innovazione del linguaggio, da Caravaggio a Manzoni e Gadda 

 

Il 5 marzo di quest'anno ricorre il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini: ormai lo sanno anche i sassi, i media d'ogni genere sono inondati di servizi, trasmissioni, articoli, documentari dedicati a lui. I centenari, si sa, scatenano orge di commemorazioni un po' obbligate, nelle quali si può finire per perdersi e disamorarsi; ma può anche rappresentare una buona occasione di riflessione quando ci si trova di fronte a personaggi che ancora sollecitano un'indagine, che possono rivelarci ancora qualcosa di sé e di noi stessi, di come li abbiamo recepiti, amati o odiati, compresi o ignorati per qualche pregiudizievole motivo. Fra le tante, infinite cose che si possono leggere su un Autore tanto discusso e ancora così vicino a noi, la cui produzione è già di per sé complessa e sterminata, comprendendo la poesia e il cinema, la narrativa e la critica, il teatro e la pittura, l'impegno politico e la polemica culturale, è inevitabile operare una scelta: di solito, la prima scelta ad imporsi, specialmente nel suo caso, è quella tra biografia e opera. C'è chi segue nella prima la scia degli scandali e del mistero della sua tragica morte, del suo impegno politico, delle sue amicizie e dei suoi viaggi, del rapporto con la madre o col padre e così via; e chi, nella seconda, privilegia il poeta o il regista anziché l'ideologo o il romanziere.

Ma è anche possibile, e più utile, seguire il filo rosso che lega la sua vita all'opera; e, seguendolo, incontrare i suoi maestri e affini, la cui vicinanza aiuta a meglio comprenderlo.

Per farlo, aiutano scritti non recentissimi, ma preziosi, che si possono trovare anche on line.

 

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Pasolini e Caravaggio 

Il primo personaggio che si incontra in questo percorso è lontano nel tempo, ma prepotentemente presente nel nostro immaginario: è quel Caravaggio che Pasolini imparò giovanissimo a conoscere seguendo a Bologna le lezioni di Roberto Longhi, il grande critico d'arte a cui si deve la lettura più avvincente, nonché la riscoperta nel Novecento dell'opera del pittore lombardo.

Da un lato, li accomuna il carattere straordinario della loro biografia:

Così seducente è la somiglianza della vicenda esistenziale e della tragica fine dei due, che in molti sono andati alla ricerca di analogie, evidenze e tratti comuni tra il pittore lombardo e l’intellettuale, poeta, romanziere e regista friulano.”: così scriveva nel 2004 su Liberazione Davide Varì ( reperibile in Caravaggio e PPP. Convergenze tra vite appassionate, di Davide Varì - Centro Studi Pier Paolo Pasolini Casarsa della Delizia ).

Entrambi, poco più che ventenni approdano nella “città di Dio”, capitale della cultura sia nel Seicento che negli anni cinquanta e sessanta del Novecento: anni di miseria per entrambi, quei primi anni romani, ma nello stesso tempo anni di entusiasmanti scoperte: “al pari dei pittori del Rinascimento, i manieristi, o il grande Caravaggio, che dai paesi della Bassa Padana vennero a Roma per apprendervi segreti di stile e segreti di vita, il suono stordente della realtà, Pasolini, a Roma, apprese un nuovo amore e fu da esso stordito e vinto.”

Così Enzo Siciliano nella sua insuperata biografia dell'Autore.

 

Li accomuna il carattere straordinario della loro biografia e l'amore sensuale per i ragazzi di vita, affamati e amorali, ma anche teneri e innocenti ai loro occhi

Davide Varì, nell'articolo citato, riprendeva così l'accostamento tra il Pasolini romano e il Caravaggio già suggerito da Cesare Garboli e Gabriella Sica:
“Difficile resistere al richiamo di due esistenze vissute sotto il segno dell’eresia e dello scandalo. L’una, quella del pittore, nel cuore della Roma papalina, «nella città tra manieristica e bigotta di Sisto V – scrive Roberto Longhi, magnifico critico di Caravaggio -, dove egli doveva sembrare un irregolare se non proprio un eretico»; l’altro nel cuore dell’Italia piccolo-borghese degli anni Sessanta e Settanta, spesso altrettanto bigotta e chiusa. Problemi con la giustizia, risse, alcove, censure e infine la morte, violenta e prematura, consumata per entrambi a pochi passi dal mare. […] Poco a nord di Ostia, a Porto Ercole, nel 1655 un’altra vita spezzata sulla riva del mare. Moriva Michelangelo Merisi da Caravaggio. […] Una vita buttata tra le bettole cenciose e rissose della Roma papalina e nelle stanze torbide e passionali, dove si rifugiava con i suoi giovani amanti. Ragazzi e ragazze di vita in pieno Seicento, nel cuore di Santa Romana Chiesa
.[...] “. Ma c’è una cosa, su tutte, che unisce i due. La compassione per gli ultimi. Per i brutti, gli sporchi ed i cattivi.” 
Pasolini e Caravaggio “vivono fino in fondo il mondo che rappresentano. Il pittore perso nel sottobosco delle osterie del Seicento e lo scrittore perso nella Roma delle borgate. Li spinge qualcosa, una necessità, che arriva direttamente dall’anima e dal ventre.” L'amore sensuale per i ragazzi di vita, affamati e amorali, ma anche teneri e innocenti ai loro occhi, è anche l'altra faccia dell'insofferenza per il mondo altolocato e sazio in cui la loro arte li costringe a muoversi, tra ricchi committenti l'uno, editori e produttori l'altro.

 

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 Pier Paolo Pasolini nella periferia di Roma

 

È ancora Davide Varì a rintracciare un passo di Pasolini che sembra la trascrizione letteraria di uno dei ritratti caravaggeschi di adolescenti:

Gennariello, lo scugnizzo immaginato dalla penna dello scrittore che miracolosamente e quasi fedelmente ritroviamo dipinto in molti quadri del Caravaggio. «I tuoi occhi devono essere neri e brillanti, la tua bocca un po’ grossa, il tuo viso abbastanza regolare, i tuoi capelli devono essere corti sulla nuca e dietro le orecchie, mentre non ho difficoltà a concederti un bel ciuffo, alto, guerresco e magari anche un po’ esagerato e buffo sulla fronte», scrive Pasolini in Lettere luterane. Una descrizione, quasi, di molti soggetti caravaggeschi. “

Ma a scandalizzare i bempensanti non erano solo, per entrambi, la frequentazione e la rappresentazione dei reietti: altrettanto scandalosi apparivano i modi di questa rappresentazione, il linguaggio adottato, ben lontano dai canoni della pittura e della narrativa tradizionale. Entrambi accusati di adottare modalità espressive troppo legate al particolare, prive di struttura narrativa, e di ricercare l'adesione alla realtà anziché ai canoni tradizionali della loro arte: “A Roma non si richiedeva verità alla pittura, ma devozione o nobiltà”, dice Roberto Longhi a proposito di Caravaggio; così come a Pasolini si rimproverava, da parte della critica marxista, di non rappresentare un proletariato moralmente integro e di non raccontare storie dotate di coerenza e prospettiva, mentre dalla censura ufficiale si bollavano come oscene non solo le avventure dei ragazzi di vita, ma anche il loro linguaggio.

 

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Una tradizione di realismo e pluringuismo 

 

Ed è proprio sul fronte del linguaggio e della ricerca di realismo che sia Caravaggio che Pasolini assumono una dimensione che li sottrae alle polemiche retrive dei contemporanei, per inserirli in una tradizione nella quale si incontrano i classici, i maestri del rinnovamento artistico e letterario: e per entrambi questa linea è quella che è stata definita come “linea lombarda”.

Entrambi accusati  di ricercare l'adesione alla realtà anziché ai canoni tradizionali della loro arte

È stato Roberto Longhi a dimostrare l'ascendenza lombarda dello stile di Caravaggio, confutando la critica che collegava la sua pittura al luminismo veneziano. Ma al di là delle reali frequentazioni e parentele stilistiche tra pittori, riconoscibili dalla critica d'arte, è nella letteratura che la tradizione lombarda di attenzione al reale e, con esso, alla vita della gente comune e ai suoi modi espressivi, si impone con evidenza: da Manzoni a Gadda, per dire solo dei più grandi.

Di entrambi Pasolini ebbe a scrivere analizzandone lo stile. E Gadda lo conobbe e frequentò, invitandolo spesso a casa sua, in quella stessa Roma dove l'ingegnere ambientò il suo Pasticciaccio brutto de via Merulana, capolavoro del plurilinguismo, dell'impasto lingua-dialetto usato come elemento centrale nella caratterizzazione dei personaggi e dell'ambiente: ovvero, per “dire le cose vere delle anime con le vere parole che la stirpe mescolata e bizzarra usa nei sogni, nei sorrisi e dolori. “

In verità, questo è l'intento attribuito da Gadda a Manzoni, che giudica mosso in questa scelta da “quello stesso amore per cui disegnò la dolce figura d’una popolana, sia pur graveolente.”

Anche Pasolini rivendicava le sue scelte letterarie, la sua attenta e laboriosa registrazione delle “parole vere” dei ragazzi di borgata, il suo apprendimento del dialetto romanesco grazie all'aiuto del suo “interprete” Sergio Citti, come un atto d'amore verso quella realtà umana diseredata e rinnegata dai benpensanti, per i quali essa era invece qualcosa di “graveolente”, se non addirittura ripugnante, sia sul piano estetico che su quello morale. Solo che il suo amore era nello stesso tempo sensuale e ideologico, corrispondeva anche ad una scelta di classe fortemente antitetica, e troppo laica ed eretica era l'innegabile componente cristiana della sua ispirazione per meritare il consenso che ebbe invece Manzoni.

È a quest'ultimo che Gadda accosta ancora Caravaggio per via delle rappresentazione che entrambi fanno del secolo barocco: non solo sul piano figurativo, ma anche su quello morale: nella sua “ riesumazione Manzoniana” scritta a Longone nell'agosto del 1924 (rintracciabile nel sito The Edinburgh Journal of Gadda Studies), leggiamo questo passo:

Michelangiolo Amorigi veste da bravi i compagni di gioco. Mentre il Signore chiama Matteo, un viso di giovane, sensualmente distratto, chiede «Chi cerca costui?» Il vino imporpora le sue floride gote e guarda curioso, con sorrisetto quasi bolognese. E nessun pensiero lo sgomenta. Una bella piuma ha nel cappello di velluto violetto e una sottile spada al fianco. Le gambe nervose si vedono di là dallo sgabello. Non vi è pena, né pensiero: rosse e fervide luci sono il termine della calda, verde pianura e nelle vene pulsa il fervido sangue dell’adolescenza.”

Caravaggio, Manzoni, o Pasolini? Anche i suoi ragazzi di vita sono “sensualmente distratti”, e si esprimono a gesti, hanno quell'aria di braveria che Manzoni attribuiva pure a Renzo (il personaggio preferito da Pasolini), si pavoneggiano con maglioni gialli e azzurri anziché con piume sul cappello, ma qualche volta un coltello, anziché un pugnale, ce l'hanno, e lo usano.

Ma soprattutto, per loro “Nulla esiste più, nulla è più possibile socialmente: soltanto sono reali gli impulsi di una fuggente individualità. [...] Non vi è legge se non nelle viscere torturate.”, come dice Gadda a proposito della società del Seicento; ed è una descrizione interamente applicabile alla vita nello squallore delle periferie romane come le vive e le interpreta Pasolini: una vita senza legge, senza programmi, preda degli impulsi del momento, dell'”eterna fame” , della ricerca continua del divertimento e della grana; e tutto ciò, proprio perché “nulla è possibile socialmente” nell'inferno delle borgate nato dallo sventramento fascista del centro della capitale e continuato con l'immigrazione interna e la speculazione edilizia nell'epoca democristiana.

Denuncia e atto d'amore, restituzione di una realtà che nessuno voleva vedere attraverso una non facile sperimentazione linguistica, un uso del dialetto diverso da quello liricamente ispirato delle poesie in friulano della sua giovinezza.

Denuncia e atto d'amore, restituzione di una realtà che nessuno voleva vedere attraverso una non facile sperimentazione linguistica

Sperimentazione che ha indotto un altro scrittore lombardo poco più giovane di lui, Alberto Arbasino, a riunire sé stesso, insieme a Pasolini e a Giovanni Testori, nella definizione di “nipotini dell'ingegnere”: con la quale evidentemente intendeva riconoscere alla sua generazione un debito letterario nei confronti di Carlo Emilio Gadda.

Il prossimo anno sarà il centenario di Testori, cantore anch'egli di periferie, questa volta milanesi, critico d'arte e scandaloso autore di teatro, sicuramente meno presente e discusso del suo “cugino” celebrato oggi. Vedremo di riscoprire anche con lui questa passione per il reale e per gli ultimi che anima da secoli la “linea lombarda”.

 

Gli autori di Vorrei
Carmela Tandurella
Carmela Tandurella

Se scrivere è “scegliere quanto di più caro c'è nel nostro animo”, ecco perchè scrivo prevalentemente di letteratura. Storia, filosofia, psicologia, antropologia, tutte le discipline che dovrebbero farci comprendere qualcosa in più della nostra umanità, mi sono altrettanto care, ma gli studi classici, la laurea in filosofia, anni di insegnamento e una vita di letture appassionate mi hanno convinto che è nelle pagine degli scrittori che essa si riflette meglio. Il bisogno di condividere quello che ho letto e appreso, che prima riversavo nell'insegnamento, mi ha spinto ad impegnarmi prima con ArciLettore, poi, dal 2013, con Vorrei, del cui direttivo faccio parte. Da qualche anno sono impegnata anche nella collaborazione alle pubblicazioni e alle iniziative del Comitato Antifascista di Seregno e del Circolo Culturale Seregn de la memoria, di cui sono attualmente vicepresidente.Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.