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 Tra Tokio, Toronto e Seregno. Conversazioni e considerazioni sui giovani e la musica classica a margine del Concorso Pianistico Internazionale “Ettore Pozzoli

Foto tratte dalla pagina Facebook del Premio Ettore Pozzoli

Occorre un certo impegno per rinunciare a celebrare con un po’ di retorica la forza trascinante della musica che abbatte le barriere, generazionali o di genere, culturali e sociali, ma la settimana dal 22 al 29 settembre u.s., per chi l’ha trascorsa seguendo le diverse fasi del Concorso pianistico internazionale intitolato al compositore seregnese Ettore Pozzoli (1873-1957) produceva facilmente  questo genere di tentazioni. Si tratta di una manifestazione biennale che da quasi sessant’anni richiama dalle  migliori scuole musicali di tutto il mondo giovani pianisti in grado di affrontare una selezione molto impegnativa ad opera di autorevoli giurie, anch’esse internazionali: una delle varie occasioni di questo tipo che fondazioni e istituzioni  apposite , in genere private e/o in compartecipazione  con enti locali, offrono  a chi ha scelto la musica come impegno professionale ai più alti livelli; ma una delle più attraenti  in Italia per la consistenza del montepremi  (15.000 euro per il vincitore e altri 16.500 suddivisi in diversi importi e distribuiti ai più meritevoli con diverse motivazioni) e per la difficoltà delle prove, che assicura prestigio ai vincitori.

Bastava scorrere l’elenco dei concorrenti  (giovani tra i sedici e i trentadue anni) e i loro curricula per capire non solo quanto il mondo sia, come si dice, globalizzato, ma quanto alla  globalizzazione culturale contribuisca la musica. Non tanto la musica di consumo che circola come tutti gli altri prodotti dell’industria e insieme ad essi, ma quella che è la quintessenza della cultura europea, quella che ha espresso nel suono i grandi temi dell’arte e della letteratura, che ne ha seguito o anticipato i movimenti  distillandone lo spirito. Bene, che questa musica divenga oggi sempre più patrimonio di tutte le nazioni è qui evidente: la stragrande maggioranza dei concorrenti viene dall’Est, dell’Europa e del mondo. Solo per citare alcuni casi, per la Germania, dove è nata e ha studiato e vive,  ha concorso  Pan Anke, una ragazza di chiara origine asiatica,  come Christine Wu, nata in Michigan, che concorre per gli USA;   la giovanissima Anastasia Rizikov è nata in Canada; fra i giapponesi, Yoshifumi Morita studia a Milano e Yoshito Numasawa a Mosca. Molti fra gli iscritti, specialmente gli italiani,  non si sono presentati, riducendo la selezione dai quarantaquattro ammessi a venticinque concorrenti, e fino alle semifinali c’è stata ancora qualche inattesa defezione (la tendinite è in agguato per i giovani pianisti…), ma la proporzione è stata in ogni fase a favore degli orientali, che sembrano i più dinamici, i più determinati, o forse solo i più fortunati, per la loro capacità di attraversare il mondo inseguendo la propria vocazione. Rassicurante è poi il fatto che tanti giovani si dedichino a questa musica, garantendone la sopravvivenza, quando invece anche le eredità più preziose del passato vengono travolte nel caos della contemporaneità.

Per i profani  il concorso potrebbe  rappresentare  un’opportunità bellissima di immergersi ad ogni ora nella magia della musica pianistica: tutte le esibizioni sono aperte gratuitamente al pubblico e la loro qualità è garantita dal livello dei concorrenti, ammessi dopo una severa preselezione basata non solo sui curricula, ma anche su prove registrate; sarebbe un’occasione anche  per aggiungere qualche conoscenza alla purtroppo poverissima  cultura musicale che il nostro sistema d’istruzione ci fornisce.  Ben pochi però ne approfittano: a parte la serata finale, tradizionalmente affollatissima per un evento che dà lustro alla città, le prove eliminatorie, in tre livelli di crescente difficoltà,  si svolgono quasi solo alla presenza di addetti ai lavori!

Per me questa settimana di selezioni  è stata anche l’occasione di incontrare dei giovani che si dedicano ad una musica profondamente impegnativa, a una carriera certo promettente ma estremamente selettiva, a una passione totalizzante che richiede cultura, sensibilità, tenacia: tutte cose che meriterebbero d’essere incoraggiate e sostenute dalla collettività come risorse preziose per migliorare la qualità della nostra vita civile.  Ho  voluto conoscerne  almeno alcuni, di questi musicisti, anche se non è stato facile approfondire una conversazione mediata da interpreti,  con persone che hanno acquisito  l’inglese da lingue diverse (mi hanno aiutato Simona Bianca Maria Silva e Anfisa Tirone). Sono riuscita a chiacchierare con loro qualche minuto tra una prova e l’altra, rigorosamente dopo la loro esibizione, però: troppo tesi e concentrati, prima, intenti a ripassare i loro pezzi, come tutti i ragazzi prima degli esami;  indossano le cuffie, e, chini  sul piano messo a loro disposizione nella hall  del Teatro San Rocco, ripercorrono veloci  i tasti che mandano all’esterno solo una sorda percussione (spettacolo nuovo per me, questo suonare muto…).

Nell’attesa, mi capita di parlare con un giovane italiano, Alfredo Cerrito,  che, scoprirò, sebbene sia un musicista e un insegnante di musica, non è un concorrente, ma il marito di  una concorrente, anche lei italiana, Anna Lisa Giordano  (che è anche la componente pianistica del duo musicale nel quale lui  è sassofonista). Lei non avrò occasione di incontrarla, ma il punto di vista di un esterno al concorso che è però un professionista mi sembra interessante. E’ infatti un punto di vista critico  sia nei confronti della musica che si ascolta nei concorsi, che gli appare appiattita, pur se eseguita in modo tecnicamente inappuntabile da giovani molto preparati, sia degli stessi concorsi come istituzione  in cui si pretende di valutare non solo la correttezza, ma pure la bellezza di un’esecuzione: quanto alla prima, è facile rilevare  gli errori, la mancata applicazione delle indicazioni dell’autore (è chiaro che se esegui un “adagio” come unallegro” non va bene), mentre per la seconda è inevitabile, dice,  che sul giudizio estetico pesino fattori soggettivi, anche legati all’idea che ciascun giurato ha della musica e di come vada eseguito un brano; fare il giurato è davvero qualcosa di molto complicato. Ma accade anche, a suo parere, che il moltiplicarsi a dismisura dei concorsi  ne abbia determinato  una certa svalutazione: oggi - dice - per ottenere davvero quella visibilità che serve a proiettarti nel mondo reale della musica, a fare concerti, a fare carriera, bisognerebbe vincere per lo meno lo Chopin di Varsavia. Di conseguenza  spesso i giovani pianisti inseguono molti concorsi,  sono continuamente in tournèe, girano per anni da un concorso all’altro. E questo, secondo lui,  finisce per fare dell’ esecuzione musicale in una competizione un “compitino”, qualcosa che supera il limite del piacere. D’altra parte, i concorsi sono uno dei pochi mezzi attraverso i quali un giovane può sperare di essere aiutato a continuare i suoi studi grazie ai premi: è quel che è accaduto anche a lui, è questo l’unico buon motivo per partecipare, a suo parere, perché gli studi musicali sono molto, molto costosi, e i mecenati sono una realtà del passato.

Del resto, la stessa musica classica ha le sue radici in un mondo così lontano dal nostro modo di vivere! E’ anche per questo che è una musica difficile, che  è complicato capire a fondo la Pastorale di  Beethoven: che ne sappiamo più, noi,  del percorrere chilometri per andare a prendere l’acqua in una natura incontaminata, noi che viviamo nel caos e nel rumore? Si tratta però di lasciarsene conquistare, di ascoltarla sfatando  il mito del tecnicismo: non è vero che bisogna conoscerne gli aspetti tecnici per capirla, essere competenti sulle forme di composizione o altro, anzi spesso a non essere influenzati dalla tecnica si riesce meglio a gustare questo genere di  musica. Occorre che la si ascolti fin da bambini, però, quando si può orientare ed educare il gusto musicale: la sua scuola, dice Cerrito, è frequentata da bambini anche di tre anni. Se ci si accorge di una sensibilità o propensione precoce per la musica, occorre coltivarla, e in ogni caso sarebbe bene che i ragazzi ascoltassero “un po’ più di Beethoven e Mozart e un po’ meno di Jovanotti e Vasco Rossi”.

 

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Maurizio Pollini, vincitore della prima edizione dell'“Ettore Pozzoli” International Piano Competition, nel 1959

 

Bisogna appassionarsi, come è accaduto appunto agli orientali che sempre più desiderano accostarsi alla musica classica e se ne impadroniscono: questo giovane musicista italiano e sua moglie sono stati invitati in Vietnam per una serie di concerti in varie università e per delle lezioni sulla musica italiana. C’è negli orientali – dice - una sete di conoscenza che permette loro di superare rapidamente la distanza che separava la loro cultura dalla  nostra.  Certo, il formarsi di orchestre composte da musicisti di diversa provenienza, cresciuti in scuole diverse, fa sì che non si possa più ritrovare in tutte il carattere inconfondibile di un’orchestra radicata in un paese e nella sua tradizione musicale: la globalizzazione produce una certa omologazione anche nella musica. Ma della sua diffusione  più larga nel mondo non possiamo che rallegrarci.

Non a caso, la prima concorrente a cui riesco ad avvicinarmi ha un dolce e sorridente volto orientale: è Min Ae Kim, ventotto anni, sudcoreana, che ha studiato a Mannheim e ha vinto parecchi premi tra Seoul, l’Austria  e l’Italia. Dice di aver iniziato a studiare il pianoforte quando aveva cinque anni e di essersi trasferita in Germania a sedici  anni per studiare, perchéè necessario conoscere la cultura di un paese per conoscerne bene la musica”. In Germania si mantiene dando lezioni ai bambini e vuol rimanerci, ha lì un ragazzo e con lui vuole sposarsi, formare una famiglia. Nel suo paese d’origine la musica classica è un fenomeno ancora élitario, ma iniziano a diffondersi i concerti a tema per avvicinare ad essa le giovani generazioni. Questa giovane asiatico-tedesca conosce ormai bene l’Italia, ha partecipato a diverse competizioni a Cagliari, a Vietri sul Mare, in Val Tidone, ed è contenta di venirci, le piacciono l’architettura e il cibo italiani. Dice che a volte ha trovato nei concorsi italiani una”bad organisation”, ma che il Pozzoli offre invece ai concorrenti un buon supporto organizzativo, grazie anche all’ospitalità offerta dalle famiglie di Seregno;  inoltre, è interessante sul piano professionale, vi si confronta la propria preparazione con quella di altri pianisti molto bravi, si affrontano più livelli di difficoltà: insomma, Min Ae Kim dice di aver imparato molte cose qui. Le chiedo perché partecipa ai concorsi, e mi dice che insieme al desiderio di vincere c’è quello di farsi ascoltare, di coinvolgere il pubblico nella propria emozione, di condividerla.

Non stento a crederle: l’entusiasmo, la passione per la musica si leggono facilmente nei suoi occhi, come in quelli di Danilo Mascetti, che ha ventitré anni ed è lombardo, è nato a Como. “Io non ho mai sentito che mi mancasse qualcosa”, mi dice convinto quando gli chiedo quanto sacrificio gli studi musicali e la carriera pianistica comportino per un giovane. “Ho la fortuna di potermi dedicare a qualcosa che mi piace, cosa potrei chiedere di più?” Non è facile, certo: spesso capitano grosse delusioni – dice – e poi, se vuoi impegnarti seriamente, non sei mai soddisfatto.. Ha iniziato anche lui da bambino, sua madre era una violinista dilettante, e già a nove anni è entrato nel sistema dei conservatori, prima a Como, dopo il diploma a Milano; parallelamente agli studi musicali superiori sono iniziati per lui i concorsi e i concerti. Il Conservatorio di Milano, dice, cerca di unire a una seria selezione anche la promozione degli allievi migliori. Il problema nell’intraprendere gli studi musicali in Italia è, secondo lui, di trovare subito i maestri giusti, adatti alla tua formazione, che ti permettano di non perdere anni se vuoi essere adeguato ai livelli europei. L’istituzione dei licei musicali rappresenta per ora un’opportunità solo teorica, perché i buoni maestri sono pochi e devono distribuirsi fra licei e conservatori; finchè coesisteranno i due  percorsi, entrambi avranno dei limiti.  Il costo degli studi è un altro problema di non facile soluzione: i premi dei concorsi costituiscono delle borse di studio che certo aiutano, ma non sono una fonte di mantenimento su cui si possa contare e dunque non sono l’incentivo principale a parteciparvi;  sono invece, secondo Mascetti, uno stimolo molto importante, molto formativo a livello professionale, perché  il concerto non impegna necessariamente a dare il massimo, mentre partecipare a un concorso significa giocarsi un’opportunità, mettersi a confronto con persone molto preparate, e perciò “ è una parte dell’imparare a suonare”.

Questo aspetto competitivo è invece quello che disturba i concorrenti, secondo Yoshifumi Morita: temere di sbagliare, di venire giudicati negativamente non è secondo lui la condizione ideale per dare il meglio di sé, tant’è vero che i giurati raccomandano di suonare “come al solito”; ma questa tranquillità è più facile mantenerla in un concerto, dove ci si può esprimere meglio, “ il concerto è più divertente”. Ha trentadue anni,  questo artista, è il veterano di questa edizione, a cui ha già partecipato due anni fa, ed è stato allievo di due dei membri della giuria, la sua prima insegnante, Shuku Iwasaki (allieva a sua volta di Arturo Benedetti Michelangeli), e l’italiano Vincenzo Balzani;  eppure sente  molto la tensione della prova. Anche lui ha iniziato da bambino, proprio con questi due maestri, e, quando gli chiedo se abbia mai sentito come sacrificio la dedizione al pianoforte, ricorda la proibizione a giocare a palla o a fare sport subita nell’infanzia, per il rischio paventato dalla madre e dall’insegnante che le mani potessero subirne dei danni. Dopo la laurea in Giappone è venuto in Italia “con la massima gioia”, dice : ha un appartamento a Milano e prosegue i suoi studi al Conservatorio G. Verdi; è entusiasta della cucina italiana, dice che secondo lui “i cibi buoni fanno le persone buone”. Per lui il vivere in un paese e condividerne la cultura è l’unico modo per capire davvero non solo lo strumento, ma anche i compositori, il loro mondo. Parla italiano, e sostiene che la nostra è una lingua bellissima, molto musicale. Per i giapponesi, dice, è difficile apprendere l’intonazione, perché la loro lingua non ha modulazioni del tono come invece la nostra: per dimostrarlo, mi fa sentire quanto diversamente suoni  il presentarsi col suo nome in italiano o in giapponese. Per questo, dice, le loro esecuzioni musicali  appaiono in genere corrette, ma prive di emozioni, povere nel fraseggio. Per essere buoni musicisti non serve solo esercitarsi anche tutto il giorno  allo strumento, occorre conoscere persone, paesaggi e situazioni che arricchiscano la propria esperienza umana. Nell’augurarsi di superare questa volta tutte le prove, accenna, con mia grande sorpresa, a un rapido segno di croce: immagino per un momento che anche questo gesto sia stato diffuso a livello globale, che so, da certe  abitudini scaramantiche dei nostri calciatori o atleti. Invece mi spiega che lui ha frequentato una scuola cattolica, è un gesto che ha sempre fatto, che faceva anche sua madre; e allora mi dico che le premesse per la globalizzazione culturale sono anche più antiche di quei primi del Novecento in cui è iniziata la diffusione della musica europea in Giappone…

 

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Più o meno recente che sia la penetrazione della cultura europea in Cina, anche il più grande paese dell’Estremo Oriente è ben rappresentato al Pozzoli, ma la concorrente dal cognome cinese con cui riesco a scambiare qualche parola è in realtà una sino-americana: si chiama Christine Wu, ha ventidue anni,  ha studiato a New York e ha vinto diversi concorsi negli Stati Uniti, dove  i suoi genitori si sono trasferiti  negli anni ’80.  Lì, mi racconta, ogni scuola ha un’orchestra o una banda, ma gli studi musicali non vengono presi molto sul serio. E’ solo a livello privato che si può intraprendere un percorso di apprendimento di uno strumento e bisogna davvero esserne innamorati per proseguire: molti iniziano da giovani, ma desistono a un certo punto, perché è davvero impegnativo e poco remunerativo.  La sua famiglia l’ha molto sostenuta, sia economicamente che moralmente, e in questo si ritiene privilegiata. Anche partecipare ai concorsi è costoso: qui si viene ospitati dalle famiglie seregnesi, ma tutto il resto, dall’iscrizione  al biglietto aereo, costa parecchio. Però val la pena di venire, dice, e non solo per i premi in palio, ma anche per l’esperienza in sé. “ E poi non si sa mai chi può esserci tra il pubblico”: ecco, penso, è questo forse che impari, insieme alla musica occidentale, se nasci in America, questa idea dell’occasione che può cambiarti la vita …  E’ davvero simpatica, Christine: finita la sua esibizione, corre a togliersi  la mise da palcoscenico, le scarpe col tacco altissimo e l’abito lungo, per mettersi comoda con le infradito e i leggings! E con lo stesso abito parteciperà anche alla grande serata finale, aggiudicandosi il terzo posto…

Qui non c’è davvero bisogno di quote rosa: anzi, fra i concorrenti iscritti, le ragazze sono la maggioranza. E spesso appaiono più tranquille, meno tese dei loro colleghi: ne parlo con Anke Pan, la giovane di origine cinese nata in Germania, e lei mi dice che si tratta di dominare l’eccitazione della prova, di non lasciarsene condizionare. Anche la sua voce pacata, il suo inglese molto fluido, il suo atteggiamento, esprimono padronanza di sé, nonostante i suoi ventidue anni. E’ la sola,  Anke, a dirmi che non è dalla famiglia che ha ricevuto stimolo e incoraggiamento  nei confronti della musica e del pianoforte, anzi all’inizio i suoi erano un po’ restii:  un incontro capitatole per caso, quello con la musica, che lei ha voluto approfondire. Per lei la musica classica è la fonte di tutta la musica contemporanea,  tutti i giovani potrebbero apprezzarla se solo venisse proposta più diffusamente dai massmedia.  Suonare il pianoforte dà molte soddisfazioni, anche se comporta un apprendimento molto impegnativo. Non dev’essere però il successo, l’applauso del pubblico lo scopo da perseguire, perché questo va e viene, mentre la padronanza della musica è premio a sé stessa. E’ un processo in cui si vede impegnata per tutta la sua vita futura: le chiedo se per questo lo vede in conflitto con i suoi progetti di donna e, quando dice  che no, che pensa che potrà conciliare carriera, amici e famiglia, le chiedo come spiega allora la rarità delle donne fra i grandi concertisti, dato che le giovani promesse come lei sono invece così numerose. E’ un atteggiamento mentale, l’idea di  una presunta superiorità maschile in questo campo, giustificata da quanto accadeva in passato, a condizionare, secondo lei,  la costanza delle donne nella prosecuzione della carriera. Oggi accade sempre più spesso che alcune donne possano eccellere nella musica, anche nella direzione d’orchestra, e questo aprirà la strada anche ad altre.

Anna Pavlova, ventisei anniè russa;  studia da venti anni, ormai, iniziata alla musica prestissimo da sua madre, che aveva  fatto studi musicali, e da suo padre, direttore di un coro. Ha frequentato diversi istituti musicali, nel suo paese e in Austria e  ha anche vinto, quest’anno, una competizione internazionale a New York: le chiedo che effetto le faccia trovarsi adesso qui, in un luogo così periferico rispetto alla metropoli americana, e mi dice che l’importanza di questo concorso compensa quella della città. Anche lei, come la sua collega, pensa che non sia impossibile conciliare la famiglia e la carriera, sposarsi (“vediamo”) e continuare a calcare il palcoscenico. Suonare è la sua droga, dice, non potrebbe davvero farne a meno, e comunque non la isola certo dai suoi coetanei, ha molti amici, sia fra i musicisti che fra i giovani che hanno altri interessi.  Ormai da qualche anno ce la fa a mantenersi da sola, dando lezioni e tenendo concerti.

E’ questa, oltre allo studio, la vita di un giovane pianista. La possibilità di tenere concerti rientra nel montepremi dei concorsi, e in ogni caso ne è un risultato grazie alla visibilità che assicurano, ai contatti che permettono di avviare: di questo mi parla Salvatore Monzo, siciliano, vincitore nella scorsa edizione del Pozzoli del premio speciale al più giovane concorrente italiano (premio che quest’anno sarà vinto da Danilo Mascetti). Gli spazi per le professioni musicali in Italia si riducono sempre più, la musica è sempre la prima a subire  tagli di bilancio, e più si taglia meno possibilità si aprono ai giovani. Per non parlare del sistema degli studi musicali. Oggi Internet permette una maggiore informazione, un giovane può orientarsi meglio nella ricerca delle scuole migliori, chi può va sicuramente all’estero. Parliamo delle difficoltà di un giovane siciliano a seguire studi qualificati e a inserirsi nei circuiti internazionali: c’è moltissimo talento – dice - ma la scuola non riesce a intercettarlo e alimentarlo. I licei musicali sono terra di nessuno, non si sa chi debba insegnarci e perché, non ci sono criteri definiti. Gli insegnanti migliori vanno nelle  istituzioni private, le sole forse dove in Italia si possa trovare l’eccellenza:  cita, per il pianoforte, la Scuola Pianistica di Imola, la Scuola di Musica di Fiesole, l’Accademia di Santa Cecilia, che è riconosciuta dallo stato; è in queste scuole che si trovano sicuramente come insegnanti pianisti in carriera. Nonostante tante difficoltà, la passione per la musica ripaga profondamente: quando suoni, ti sembra di sollevarti da terra, poi tutto torna normale; quello che gli dispiace è che la musica colta, e la cultura in generale, siano così poco considerate, che sia sempre meno diffusa la conoscenza di autori che un tempo erano anche popolari e noti al grande pubblico.

Come dargli torto?  Oggi la musica classica viene  saccheggiata dalla musica più popolare senza che gli ascoltatori possano riconoscerlo, come accadeva  coi capitelli dei templi romani riciclati nelle chiese cristiane; i grandi brani classici passano per musiche da film o vengono usati dalla pubblicità, senza che questo valga a suscitare curiosità per i loro autori ed esecutori o ammirazione per la loro forza evocativa, senza che questo, ahinoi,  produca più cultura.

Di passato e presente della musica classica e di difficoltà negli studi musicali parlo anche con il ventitreenne concorrente francese, Valentin Cotton, che lamenta anche lui la necessità di ricorrere a scuole private ai livelli più avanzati, perché i conservatori pubblici in Francia sono solo due e praticano una selezione rigidissima; gli studi intermedi, invece, sono pubblici e gratuiti.  Con lui, unico concorrente europeo oltre ai russi e agli italiani, torniamo a riflettere sulla internazionalizzazione delle scuole, sul superamento delle tradizioni musicali nazionali, che trova sia un fatto positivo: occorre certo saper cogliere lo spirito della musica francese o tedesca, ma lo si può fare anche avendo radici diverse. Se oggi molti asiatici vengono in Europa è perché ancora le scuole più prestigiose sono qui, ma presto anche loro potranno vantare ottime accademie.

Me ne dà conferma  un altro concorrente giapponese, Yoshito Numasawa, ventotto anni, che ha studiato alla Toho Gauken University, che, dice, è una scuola da cui provengono ottimi musicisti, anche se non è certo ai massimi livelli nel panorama internazionale. Ce ne sono ormai parecchie di buone scuole, in Giappone, ma per lui aver studiato al Conservatorio di Mosca è stata un’esperienza incredibile, a un livello naturalmente imparagonabile con quello delle scuole del suo paese. Vive in Giappone, adesso, dove la musica europea, dice,  diventa sempre più conosciuta e popolare, ci sono molte sale da concerto o teatri d’opera, Verdi e Rossini sono molto amati dal pubblico. Anche lui ha partecipato  a molti concorsi internazionali, ne ha vinti diversi: quando gli chiedo se questo serve a sostenere il lato economico della carriera musicale, risponde allegramente che i pianisti sono pazzi, non pensano ai soldi, a quanti ne servono, a quanti se ne possono guadagnare; seguono la loro passione, che è la molla e il requisito principale per proseguire, anche se ammette che, certo,  chi ha più mezzi economici è avvantaggiato. Appare  tranquillo e quasi spensierato, infatti, Yoshito, e sarà lui, con una potente ed emozionante esecuzione di un celebre concerto di Tchaikovsky, il vincitore della competizione, ex aequo con la giovanissima Anastasia Rizikov.

 

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Questa giovane russo-canadese ha poco più di sedici anni,, ma ha già una lunga carriera di concerti e di premi internazionali, avviata e seguita com’è nel suo impegno musicale dalla “babuska”, la nonna pianista, che continuamente la sprona e la riprende, sia con la videocamera, che con le sue osservazioni da insegnante esigentissima. E’ arrivata in Canada venticinque anni fa, questa energica signora russa, ha una classe di pianoforte, ma non ci sono finanziamenti pubblici per gli studi musicali, in quel grande paese multietnico, dove a nessuno importa se tu sei russo o americano, ma dove anche della cultura a ben pochi importa. Nel repertorio delle scuole musicali canadesi ci sono pochissimi compositori, anche se poi ne escono dei buoni interpreti. E’ questo che ad Anastasia dispiace del vivere in Canada, l’assenza di una tradizione culturale e musicale profonda. Lei non riesce ad immaginare la sua vita senza la musica. La sua anima russa si esprime in lei non solo attraverso la lingua, ma soprattutto nel suo modo di suonare appassionato, che accompagna le emozioni col movimento  del busto, delle braccia e della bella testa tizianesca. Ha scelto per la premiazione un abito da gran soirèe, di velluto nero e voile, con una brace di paillettes che sembra arderle sui fianchi ad ogni respiro. Come ci informa la nonna,  lo ha disegnato per lei, proprio per questa occasione (evidentemente prevista, oltre che sperata), un giovane designer suo amico. Il pubblico in sala la designa vincitrice e anche la giuria le assegna, oltre all’ex aequo, una messe di premi minori. Auguri, Anastasia: che la musica possa rimanere per te una passione genuina, che tu possa viverla ai massimi livelli, ma lontana dai rischi del divismo.

Anche alla gran serata finale, quello che mancava era il pubblico giovanile. I pochissimi ragazzi che circolavano per il teatro non erano venuti ad ascoltare i concerti per pianoforte e orchestra eseguiti dai tre finalisti, ma per esibirsi qualche minuto  in un siparietto che serviva  a riempire l’intervallo e, indirettamente,  a pubblicizzare la sezione musicale dell’unica scuola media cittadina che ne ha attivata una ormai da qualche anno. C’è stata una sola ragazza, oltre ai concorrenti, che ha seguito tutte le fasi della manifestazione, perché lavora da stagista per l’organizzazione facendo anche da interprete per i concorrenti. Si chiama Anfisa Tirone e frequenta l’ultimo anno dell’Istituto Tecnico Linguistico per il Turismo. Scopro che sua madre è russa, è una pianista che l’ha abituata fin da piccola all’ascolto della musica classica, a frequentare i teatri e i concerti. Anfisa è qui non solo perché studia lingue, ma soprattutto perché ama questa musica. Ho deciso di chiedere a lei come si spiega la latitanza dei suoi coetanei. Secondo lei, è principalmente una questione di pregiudizi, se i giovani in genere non ascoltano la musica classica: pensano che sia noiosa, che sia una musica da vecchi, e per questo pregiudizio si precludono una conoscenza che potrebbe rivelarsi appassionante. Le chiedo se questa sua passione la allontani dai suoi coetanei:  non è così, dice, perché lei ascolta anche la “loro” musica, ma l’emozione che le dà la musica classica è quasi incontenibile. Se solo la si ascoltasse fin da bambini, come è accaduto a lei, se la si respirasse nell’aria, se la scuola offrisse delle opportunità per coltivarla, evitando però le pratiche obbligatorie, si scoprirebbe che è una musica per tutti e che solo la pigrizia, il pregiudizio e il conformismo ne allontanano gli adolescenti. Questa giovane seregnese diciannovenne nutre ottimismo sulla possibilità che maturando, uscendo da questa “bolla” che li separa dagli adulti, tutti i ragazzi possano scoprire e apprezzare la musica classica. A noi adulti spetta il compito di fare in modo che questo avvenga, promuovendo in ogni circostanza e con ogni mezzo la conoscenza e la sensibilità per ogni forma d’arte e di bellezza.

Gli autori di Vorrei
Carmela Tandurella
Carmela Tandurella

Se scrivere è “scegliere quanto di più caro c'è nel nostro animo”, ecco perchè scrivo prevalentemente di letteratura. Storia, filosofia, psicologia, antropologia, tutte le discipline che dovrebbero farci comprendere qualcosa in più della nostra umanità, mi sono altrettanto care, ma gli studi classici, la laurea in filosofia, anni di insegnamento e una vita di letture appassionate mi hanno convinto che è nelle pagine degli scrittori che essa si riflette meglio. Il bisogno di condividere quello che ho letto e appreso, che prima riversavo nell'insegnamento, mi ha spinto ad impegnarmi prima con ArciLettore, poi, dal 2013, con Vorrei, del cui direttivo faccio parte. Da qualche anno sono impegnata anche nella collaborazione alle pubblicazioni e alle iniziative del Comitato Antifascista di Seregno e del Circolo Culturale Seregn de la memoria, di cui sono attualmente vicepresidente.Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.