La terza serata di PoesiaPresente, giovedì sera, ospiterà l'apprezzato e talentuoso poeta, musicista e slammer statunitense. L'intervista.

 

Parlare di parole, senza stancarsi. È la magia che avviene chiacchierando con Regie Gibson sulla poesia e sullo stato della poesia nella cultura contemporanea. Rispondendo alle nostre domande e agli interventi del poeta Marco Bin, Gibson ha intavolato una lunga discussione a tutto tondo sul senso della parola e sul ruolo di chi fa poesia nella nostra società. Campione del National Poetry Slam negli USA nel '99 e vincitore del poetry slam “Absolute Poetry Big Boat” di Monfalcone nel 2008, vanta un numero sterminato di collaborazioni con musicisti e artisti di valore del panorama statunitense e americano. Reciterà alcune sue poesie giovedì sera al Teatro Binario 7, nell'ambito della terza serata di PoesiaPresente.

Nella sua performance "The Word", lei dice di "aver visto la parola": quanto è potente la parola poetica, secondo lei?

La parola per me ha sempre significati molteplici. Ho cominciato ad interessarmi alla parola, e quindi alla poesia, grazie a mio nonno, che non sapeva leggere ma sapeva cantare e raccontare storie. Da lui ho imparato che la parola è carne, crea e può cambiare il mondo. La parola conferisce l'esistenza. Nella Bibbia, che per me è stata la prima fonte di poesia insieme a Shakespeare, il primo poeta è Adamo, colui che ha dato il nome a tutte le cose, intuendone l'essenza e le potenzialità.

altLo scrittore italiano Roberto Saviano dice proprio questo, che la parola letteraria può cambiare il mondo: lei è quindi d'accordo?

Io credo che l'abbia fatto. Basta pensare alla nostra cultura prima dell'avvento della scrittura, che è un evento epocale. Prima che il mondo, però, come diceva Octavio Paz, la letteratura cambia gli individui. Spesso ci dimentichiamo che semplicemente parlando, esercitando la parola, noi cambiano noi stessi e la nostra cultura. La parola letteraria dura nel tempo, e costituisce una sfida. Quando io recito l'Iliade, parlo di persone ed eventi lontani: io sono solo davanti al popolo che ha creato quella cultura.

"The Word" termina con la frase "I am". È la poesia che ci rende davvero vivi?

Sì. La poesia ci fa sapere che esiste più di quel che si vede. Pensiamo alla metafora: una cosa che parla tramite un'altra, una cosa che diventa un'altra. "Io sono" significa che io divento la parola. La creazione del mondo è una parola, nella Genesi. Io sono sempre qualcosa in divenire, come diceva Eraclito, e quel divenire è espresso dalla poesia.

Il suo modo di recitare sembra fondersi insieme alla musica e all'armonia, tanto che il discorso pare nascere per la prima volta lì sul palco: quanto segue l'ispirazione del momento, e quanto invece si affida a ciò che ha preparato prima dell'esibizione?

Faccio entrambe le cose. Quando mi trovo sul palco, io divento un personaggio. È una sfida che mi entusiasma, essere qui e ora. Molto dell'esibizione viene dai sentimenti del momento, ma dipende anche se sono solo o recito accompagnato dalla band: da solo posso permettermi di improvvisare, con gli altri devo seguire un canovaccio. Ad ogni modo anche il posto in cui reciterò ha un ruolo importante: diciamo che sento le vibrazioni del luogo e mi comporto di conseguenza. È così da tantissimo tempo, nella tradizione occidentale: lo facevano anche gli aedi dell'antica Grecia, che avevano da raccontare sempre la stessa storia, ma detta da poeti diversi assumeva sfumature e contorni di volta in volta originali.

Come allena la voce per recitare sul palco?

Imito gli strumenti musicali, mi aiuta a comunicare con la musica e con i musicisti. Pratico anche le lingue, nei limiti delle mie capacità, perché credo che esprimano le possibilità infinite della voce umana. Per lo stesso motivo adoro anche le armonie. Io vengo dagli Stati Uniti, dove è molto radicato il Blues, che ha nella voce una componente fondamentale. Per molti aspetti trovo il Blues vicino al flamenco, proprio per l'importanza della voce, del canto e del sentimento.

Che relazione vede tra poesia e musica?

L'armonia è uno stile poetico. Molti antropologi ritengono che l'uomo abbia cantato prima di parlare. La musica ci riporta all'alba dei tempi, e nasce dall'imitazione dei rumori naturali e animali. Per forza ha influenzato il linguaggio. Poesia e musica hanno la stessa origine, la poesia non è altro che musica parlata.

Per un poeta è più importante scrivere poesie, o recitarle?

Entrambe le cose, anche se tutti i poeti performer che conosco sanno scrivere, mentre non tutti quelli che sanno scrivere sono in grado di recitare sul palco. La situazione comunicativa, comunque, influisce: se vado in un college a recitare, il pubblico si aspetterà un tipo di poesia vicina a quella scritta, mentre in un quartiere povero la gente vorrà qualcosa di musicale e ritmato. Sono due facce dello stesso potere, se vogliamo: il potere di conoscere l'inconoscibile. Il poeta è innanzitutto un comunicatore, e dovrebbe essere un innovatore. Dovrebbe regalare la poesia, non aspettarsi dei tributi perché elargisce i suoi versi. Il poeta è al servizio della parola, e molti autori dovrebbero ricordarsi un po' di umiltà. Non mancano coloro che si ergono a difensori della tradizione e della cultura, ma se li interroghi, troverai che ci sono tantissime crepe nel loro modo di vedere il mondo. Pensano che la poesia sia solo una, mentre in realtà sono tante poesie che coesistono. Questo conservatorismo è alimentato dal mondo accademico, che è un'istituzione lentissima ad accettare i cambiamenti che avvengono nel mondo reale. Diciamo che si tende a voler più bene ai bambini che ci assomigliano. La poesia odierna è al tempo stesso elitaria e democratica: noi dovremmo semplicemente adottare il punto di vista più democratico, e parlare alle persone più che alle istituzioni. Dobbiamo insomma saper parlare di Dante, Cervantes, Omero, ma anche di Lady Gaga e dell'Hip Hop.

Grazie alla poesia, ha viaggiato molto: cosa pensa di aver imparato, e cosa pensa della poesia Europea?

Rimugino e medito continuamente su ciò che ho imparato, è un processo infinito. Quando sono stato a Monfalcone (che ospita il più importante poetry slam italiano, ndr) sono rimasto colpito dal fatto che l'Europa ha conservato gli spazi per l'arte, che arte e cultura ancora possano dialogare, mentre negli Stati Uniti non è più così. Sugli autori stranieri, se devo citarne qualcuno, direi che mi piacciono molto Dante, Garcia Lorca, Montale, Milosz, Josè Padilla. Certo, ho il problema delle traduzioni, che molto spesso uccidono la poesia. Il traduttore ha un compito difficile, quello di tirare fuori la vita dalla poesia altrui, ma non molti ci riescono. Per farmi un'idea su un autore straniero di solito leggo due o più traduzioni alla volta. Adesso sto cominciando ad assaporare un po' di italiano, ma sono lento ad assimilare nuove lingue.

 

Estratti da: La parola (The Word) - Traduzione di Anna Castellari

 

() una canzone ocra ti chiamò dall'angolo della post esistenza

sei apparsa silenziosa apparizione del linguaggio

ed io entrai in gestazione della parola.

 

E la parola prese il volo in oceani cremisi di luce.

Oceani di luce gridarono preghiere agli angoli vermigli di spazio conteso.

Lo spazio raggiunto affondò come una sirena ossidiana nella folle bocca della mia tasca.

La mia tasca lasciò pendere una morte stridente dalla lingua di una roccia victrola.

Una roccia victrola tossì un killer di corvi gridando musica blu luminosa.

Musica blu circondò le campane della mia insistente parola in attesa.

La mia parola sentenziò se stessa verso la spada della tua memoria.

La tua memoria gettò l'ombra del mio respiro mozzo.

 

Il mio respiro gridò il bacio di una canzone ocra che ti chiama dall'angolo

della post esistenza. Sei apparsa silenziosa apparizione del linguaggio.

Sono entrato in gestazione della parola.

 

(()) E la parola nacque. Rinacque. Nel vortice di un risveglio turbolento. La parola divenne luminosa, scolpendo il suo arpeggio verso l'arcipelago di una piatta oscurità che si schiude. La parola divenne.

...

La parola succhiò la mia lingua e lo sognai. La parola sputò ibisco balsamico sulla mia bocca. La parola e io amammo quella notte, io piansi e morii dentro la parola quella notte.

E la parola rimase incinta della parola. La parola crebbe insieme alla parola. La parola diede alla luce la parola, e la parola divenne dita marroni di bambino per asciugare le lacrime dagli occhi dei genitori. La parola si allungò per abbracciare le sottili mani rugose di marroni sottili rugose donne in una pietra testata d'angolo chiamata Mississipi. La parola visse nei sottili spazi universali d'inalazione ed esaltazione. La parola attraversa la terra, intrappolata in condomini di pelle, dimenticando e rifiutando di ricordare ciò che essa è

IO SONOOOOOOOOOO

Gli autori di Vorrei
Simone Camassa
Simone Camassa

Nato a Brindisi il 7 maggio del 1985. Insegnante di Italiano, Storia e Geografia nella scuola pubblica, si è laureato in Lettere, in Culture e Linguaggi per la Comunicazione e in Lettere Moderne, sempre all'Università degli studi di Milano. Suona la chitarra elettrica (ha militato in due gruppi rock, LUST WAVE e BLACK MAMBA) e scrive poesie.

Appassionato di sport, ha praticato il nuoto a livello agonistico fino ai diciotto anni, per un anno ha anche giocato a pallacanestro. Di recente, è tornato al cloro.
È innamorato della letteratura in tutti i suoi aspetti, dalla poesia fino al fumetto supereroistico statunitense. Sogna di realizzare un supercolossal hollywoodiano della Divina Commedia, ovviamente in forma di trilogia e abbondando con gli effetti speciali.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.