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Il libro di Enrico Moretti, docente di economia del lavoro all’Università di Berkeley in California. Il territorio (l’”ecosistema”) conta, la vicinanza, le relazioni faccia a faccia, le possibilità di dialogo immediato, sono determinanti per una crescita culturale, sociale,  economica.

Ha avuto molto successo in USA  ( e ora anche da noi) il libro di Enrico Moretti, docente di economia del lavoro all’Università di Berkeley in California, famosa per aver anticipato i movimenti del ’68 in Europa. Il titolo del libro è  “La nuova Geografia del Lavoro” (Mondadori, 2013). L’ho letto come  e-book, pagando 10 invece che 19 euro.

La tesi fondamentale del libro è che le città  dove si insediano  iniziative frutto di creatività e d’innovazione prosperano,  creando lavoro di qualità e ben pagato non solo per le persone più istruite e dotate ma anche per le categorie meno elevate. Inoltre, queste città o territori emergono  anche per quanto riguarda le condizioni e addirittura la speranza di vita degli abitanti. Al contrario, le città dove l’innovazione, la creatività, la capacità di cambiare  sono assenti  vanno incontro a un  rapido declino.

A sostegno di questa tesi Moretti esibisce  una straordinaria quantità  di dati relativi a diverse città americane, al grande  e rapido  sviluppo di alcune di esse e al degrado di altre. E ritiene che questi fenomeni non riguardino solo gli Stati Uniti, ma tutto il mondo e in particolare l’Italia.

Questa sua tesi si contrappone ad  altre, secondo cui le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) tenderanno inesorabilmente  a ridurre l’importanza della localizzazione delle persone e delle attività. Molti ritengono infatti che  in futuro il web renderà indifferente,  ai fini dello sviluppo e del benessere, il luogo in cui le persone si troveranno e agiranno,   essendo possibile per tutti e ovunque collegarsi on line con il resto del mondo. Addirittura, secondo alcuni (i cosiddetti “makers”), il web si trasferirà dalle parole e dai dati alle cose, consentendo di realizzare a qualunque distanza gli oggetti più disparati.

C’è del vero in tutti e due le tesi. Ma Moretti fissa un punto fermo: Il territorio (l’”ecosistema”) conta, la vicinanza, le relazioni faccia a faccia, le possibilità di dialogo immediato, sono determinanti per una crescita culturale, sociale,  economica.

Moretti non si pone il problema,  politico e umano,  degli squilibri. Da studioso, indica solo quelle che secondo le sue evidenze   sono le cause dello sviluppo. E per le aree in declino, non fa altro che indicare quelle cause  come condizioni  da porre in essere per invertire la rotta. In complesso   rivela senz'altro un orientamento  tendenzialmente  “liberista”, al punto di proporre contributi per  chi, indigente,  desidera emigrare  dalle aree arretrate a quelle sviluppate. E questo  per ricreare un equilibrio tra domanda e offerta di lavoro! Come se non bastasse ciò che già avviene.

Dai casi citati sembrerebbe che lo sviluppo e il benessere di una data area sia determinato più da eventi casuali (ad esempio: la decisione di Bill Gates e Paul Allen, i fondatori di Microsoft, ambedue nati a Seattle, di trasferire Microsoft  da Albuquerque alla “sonnacchiosa” città natale)  che da azioni deliberate e programmate, in particolare da parte di enti pubblici.

Per mettere in moto un processo di sviluppo capace di autoalimentarsi  è necessario raggiungere una adeguata massa critica  di fattori,  come  ad esempio una concentrazione  di  persone dotate di una educazione superiore e un'ampia  varietà di attività produttive. Per realizzare questa densità e questa varietà  sono stati spesso riversati  investimenti ingenti su determinate aree, il cui esito è stato inferiore alle attese. Vedi il caso del  successo inadeguato   della TVA (Tennessee Valley Authority) lanciata  negli anni trenta da Roosevelt in USA, e vedi il sostanziale fallimento della Cassa del Mezzogiorno in Italia.

Più che puntare su grandi investimenti pubblici, Moretti suggerisce di creare le condizioni per attrarre persone dotate di capacità creative e innovative, e addirittura di  ingaggiare luminari di particolari discipline,  perché la presenza di questi fari in una certa università, centro di ricerca, ospedale, impresa agisce appunto da attrattore di altri talenti. Con un esempio che fa riflettere sulla nostra città, di cui dirò in seguito, afferma che “gli ospedali collegati con facoltà di medicina producono a livello locale centinaia, quando non migliaia di posti di lavoro ben remunerati... attirano pazienti dal resto del mondo... producono un serivizio commerciabile che trascende le frontiere dell’economia locale, un po’ come fanno Microsoft e Apple”.

E cita ricerche da cui risulta che la creazione di un posto di lavoro nei settori avanzati ne origina  da tre a cinque in quelli di livello inferiore.

Moretti fa anche notare che “il settore dell’innovazione non è soltanto scienza e tecnica. Esso arriva a toccare i campi più disparati, come l’intrattenimento, l’industrial design, il marketing, la finanza”. E  sottolinea l’importanza del “coworking”, di cui “un esempio è il Chronicle Building di San Francisco. Al suo interno si trovano, fra le molte iniziative professionali, un vivaio di alta tecnologia, una scuola di animazione cinematografica digitale, una galleria d’arte, una bottega di strumenti per ‘inventori, creatori, hacker e sperimentatori’ e centinaia di ingegneri, scienziati, artisti e attivisti di imprese sociali, tutte persone convinte di avere qualcosa da imparare  l’una dall’altra”.

Moretti ritiene che la tendenza alla diseguaglianza tra città o territori in sviluppo e altri in declino sia inesorabile e crescente. Ma io credo che  le due tesi dell’importanza del territorio da una parte, e dall’altra della possibilità per gli uomini e per le loro iniziative di affermarsi ovunque grazie alle nuove tecnologie della comunicazione,  non siano  in contrasto. Basti pensare al fatto che molti prodotti complessi, dalle auto agli aerei ai cellulari, sono un insieme di componenti prodotti da imprese eccellenti disseminate in ogni parte del mondo. E’ possibile infatti, e io me lo auguro, che il futuro del pianeta non veda l’affermarsi di un nuovo impero cinese, dopo quello inglese e romano, ma al contrario di una rete di “smart cities” diffuse in tutti i continenti e legate tra loro. In un mondo divenuto  “glocal”.

Moretti ha parlato  in modo approfondito degli  USA, e solo  marginalmente dell’Italia. Pensando al territorio dove risiedo,  mi chiedo: quali indicazioni si possono trarre per i possibili scenari futuri della Brianza?

Credo che uno dei punti di forza della Brianza sia la varietà di attività economiche e la loro flessibilità. E’ vero che ci sono settori industriali prevalenti, come quelli del legno-arredo, della meccanica, della farmaceutica, ma la Brianza non si presenta come un distretto produttivo concentrato su un solo settore. Ha, come direbbe Moretti, un “buon patrimonio di settori produttivi”. La dimensione medio-piccola delle sue imprese rende inoltre il suo sistema produttivo molto flessibile, e soprattutto basato su una diffusione capillare della imprenditorialità, fonte di creatività e di innovazione. La capacità di adeguarsi al cambiamento è dimostrata dalla storia di questo territorio.  La presenza di filiali di grandi imprese straniere, ad esempio nei settori farmaceutico, elettronico, manageriale, completa positivamente il quadro.

Ho spesso pensato che possa esserci nella  Brianza una carenza di formazione superiore,  come risulta dalla bassa percentuale di laureati. Ma dai  capi d’imprese multinazionali sull’attrattività del nostro territorio che ho intervistato qualche anno fa, pubblicate su questa rivista,  questa carenza era negata. E secondo lo steso Moretti, “Il problema dell’Italia non è l’offerta di talento creativo - non c’è sicuramente penuria di giovani laureati intelligenti, ambiziosi e creativi - ma è la domanda di talento creativo” . E proprio  ieri (19 novembre), al convegno sul rapporto Specula-Lombardia   dal titolo "Il lavoro dei laureati in tempo di crisi", l’economista Alberto Meomartini affermava, controcorrente, che nella nostra regione le doti di   creatività e innovazione sono eccellenti, anche per la presenza di una offerta di  formazione superiore che è all’altezza di quella di altri paesi. Quello che manca è la domanda, l’esistenza di imprese in crescita o di nuove imprese. E ciò dipende da un contesto socio-politico-istituzionale farraginoso e parassitario che scoraggia chi vuole intraprendere qualsiasi cosa.

Insomma:  le potenzialità della Brianza, secondo le analisi   di Moretti, ci sono: ad esempio, Monza ospita da alcuni anni importanti succursali delle università milanesi nel campo della medicina e della organizzazione d’impresa. La popolazione di studenti universitari si aggira sulle duemila unità, un numero che può far pensare a un futuro di città universitaria.  Ma può esserci anche un problema di fuga di cervelli, dovuta a mancanza di opportunità offerte dal territorio e evidentemente, di una sua adeguata attrattività.

E’ su queste opportunità e attrattività che occorre lavorare, tutti insieme.

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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