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L’economia come scienza economica è una costruzione mentale nata nel settecento, che così come è nata è destinata a morire. Magari nel nostro secolo.

C’è una battuta di spirito secondo cui chi crede nella possibilità di uno sviluppo illimitato in un mondo finito, o è un pazzo oppure è un economista.

L’economista Serge Latouche, divenuto famoso per l’idea della decrescita (espressione adottata a fini divulgativi, perché il suo inventore preferirebbe parlare di a-crescita, di non crescita), ha posto la critica alla crescita infinita alla base di tutte le ricerche da lui condotte per una vita.

L’idea della a-crescita nasce da una visione audace e coivolgente, che l’autore ha illustrato nel suo libro “L’invenzione dell’economia” (Bollati Boringhieri, Torino, 2010, ed. orig. 2005): l’economia come scienza economica è una costruzione mentale nata nel settecento, che così come è nata è destinata a morire. Magari nel nostro secolo.

Fondamentali, per la nascita della scienza economica, sono state le trasformazioni avvenute, tra il Rinascimento e il secolo dei Lumi, in due concezioni fondamentali sull’uomo e sulla società: quella dell’ordine naturale e quella del rapporto tra l’amor sui, l’amore per sé stesso, e l’amor Dei, l’amore di Dio (con l’amore per il prossimo come variabile dipendente).

1. L‘ordine naturale. Tutto parte dall’affermazione di Galileo secondo cui “l’universo è scritto in lingua matematica”. E’ la nascita della scienza moderna. Ed è evidente che la filosofia morale, madre delle future scienze sociali, rischiava di restare esclusa dall’ordine naturale. Occorreva rimetterla in riga.

Se la scienza si esprime in termini matematici, cioè quantitativi, e riguarda tutto l’universo, anche l’uomo deve soggiacere a questa legge naturale. E’ aperta la strada per l’homo oeconomicus, l’uomo “a una dimensione”, secondo la definizione di Marcuse.

Il mito (la religione) dell’ordine sociale ci dice che quello esistente è l’unico dei mondi possibili, e che l’uomo deve accettarlo.

Il mito sopravvive anche alla “decapitazione del lusso” operata dalla rivoluzione francese, legittimando il sistema capitalista.

I pensatori liberali e poi Marx hanno contestato questa visione del mondo, ma anche essi sono rimasti prigionieri del mito scientista, della credenza assoluta nelle “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità, secondo la sarcastica espressione di Giacomo Leopardi.

2. L’amore. La ricchezza crescente dei grandi stati-nazione occidentali mette in crisi, tra il sei e il settecento, le concezioni consolidate su ciò che è bene e ciò che è male nei comportamenti umani, cioè sulla religione e l’etica.

L’autore descrive questa crisi in un denso capitolo del suo libro, intitolato “Agostinismo e utilitarismo”.

Nel pensiero tradizionale, dominato da una filosofia morale pessimistica d’ispirazione agostiniana, l’amore per sé stesso, e in particolare la cupidigia, erano espressione dell’inesorabile tendenza dell’uomo a operare il male, ed erano quindi contrapposti all’amore di Dio, che comportava una concezione sacrificale della vita, come espiazione del peccato originale, in vista dell’ingresso nella città celeste.

Le nuove idee sull’ordine naturale tendevano invece a favorire una concezione dell’amor proprio più accomodante, al punto di arrivare, nella nascente scienza economica sino ad allora ancella dell’etica, a un rovesciamento radicale.

“L’abbandono”, scrive Latouche, “del progetto religioso produce una laicizzazione e una trasformazione in senso profano dei valori della rinuncia al godimento e dell’ansia della salvezza a vantaggio del risparmio da investire e del lavoro produttivo” (p.111).

Dalla combinazione tra l’idea dell’ordine naturale e la legittimazione dell’interesse “per la propria felicità, di quella della propria famiglia, dei propri cari e del proprio Paese” (Adamo Smith) nasce l’immaginario economico fondato sull’utilitarismo, e alla fine la scienza economica.

Da queste vicende sono passati due secoli (e mezzo).

Secondo la mia esperienza. lo scientismo economico ha raggiunto il suo culmine con l’econometria, la costruzione di quei modelli matematici che furono alla base dei piani pluriennali costruiti dagli stati (dai gosplan sovietici ai programmi nostrani degli anni sessanta bollati poi come “libri dei sogni”) ma anche dalle grandi multinazionali, convinte che il mercato fosse una variabile dipendente dalle loro decisioni. La crisi del petrolio degli anni settanta ha spazzato via molti miti economici, mentre si cominciava a parlare dei “limiti dello sviluppo” (il titolo della ricerca diretta da Donella Meadow del MIT e condotta dal Club di Roma nel 1972).

Ma il ridimensionamento dello scientismo economico non ha impedito che la dimensione economica continuasse e continui sino ai giorni nostri a sequestrare l’immaginario e il senso della vita di miliardi di persone. Il PIL (il prodotto interno lordo, cioè il reddito) e la sua crescita continuano ad essere considerati come l’espressione del benessere umano e sociale, anche se sottoposti a critiche crescenti nella ricerca di paradigmi più significativi e compatibili con le risorse limitate del mondo in cui viviamo.

Questa ricerca, imposta in modo sempre più perentorio dalla mobilitazione di vasti strati sociali e dalla integrazione-scontro tra culture dominanti e culture emergenti, testimonia che l’economia viene forzata a rientrare in un contesto etico, razionale, estetico più ampio, in una posizione fortemente ridimensionata se non addirittura ancillare.

Del resto, il ritorno da uno specialismo scientifico esasperato alla universitas della cultura, in una rinnovata integrazione tra umanistica e scientifica, dovrebbe essere la prospettiva di tutte le scienze nel nuovo secolo.

Ma “la luce abbagliante del tramonto” della costruzione economica che ha dominato nella seconda metà del secondo millennio continua ad accecare l’universo di senso in cui siamo abituati a vivere.

L’auspicio, piuttosto utopistico, di Latouche è espresso nelle ultime parole del libro: quello “di una società conviviale plurale, liberata dalle religione della crescita e dell’economia... per poter celebrare di nuovo la gioia di vivere e riscoprire la bellezza dell’universo. Ma questa è un’altra storia”.

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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