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Riceviamo e pubblichiamo.

Mondo precario, l’interessante articolo di Emanuela Beacco pubblicato su Vorrei, tratta il problema del lavoro precario attraverso una serie di interviste ad alcuni dei diretti interessati.

Settimana scorsa, Luca Ricolfi nella sua rubrica su Panorama ha affrontato lo stesso argomento esordendo in modo “provocatorio”: nel nostro paese, politici e stampa spendono parole in misura proporzionalmente inversa alla reale consistenza dei fenomeni di cui parlano.

Le statistiche ufficiali gli danno ragione, ma Ricolfi aggiunge un’altra osservazione interessante: la precarietà, in Italia, non investe innanzitutto quei lavoratori che si definiscono precari per antonomasia.

La segmentazione del Mercato del lavoro e dell’occupazione fa sì che la nozione di precariato si moltiplichi in mille frammenti, alcuni più corposi di quello dei Co.Co.Co e affini.

Il sociologo inquadra la questione nell’ambito della contrapposizione ipergarantiti/ipogarantiti: i primi sono gli statali, i secondi i lavoratori in nero, poi ci sono categorie - cinque o sei - fluttuanti tra i due estremi, costituite dai lavoratori anziani, da quelli facilmente sostituibili per scarsa qualificazione professionale, da quelli delle aziende a conduzione famigliare o delle piccole imprese ecc.

Il centrodestra ha sempre visto (e costruito…) questa contrapposizione come la contesa fratricida per un bene scarso: le garanzie, che, se vanno all’uno, non vanno all’altro; il centrosinistra ha cercato di sfumare questo contrasto, ma non ha messo in discussione l’assunto di fondo, cioè che le garanzie siano bene sempre meno disponibile, appuntando semmai l’attenzione sul fatto che il ricorso allo strumento della flessibilità è andato ben oltre le situazioni e gli scopi per i quali era stato predisposto (il lavoro stagionale, l’andamento ciclico della produzione industriale, il favorire l’accesso graduale ad una occupazione stabile, il lavoro a progetto nelle alte qualifiche…).

La condizione flessibile classica si è facilmente trasformata, così, in condizione precaria, per via dell’assenza di tutti gli strumenti a contorno che avrebbero dovuto consentirla ma renderla quasi “indolore” (salario minimo garantito, formazione professionale ecc.).

 

Tutti precari. Le paure dei lavoratori italiani

La situazione è questa ma, dentro la lettura di Ricolfi s’intravede - sebbene l’autore si guardi dall’esplicitarlo - - un dato, la precarietà, che oggi si allarga e percorre gran parte del mondo del lavoro dipendente: fenomeno che può consentire di trasformare in elemento di possibile coesione del mondo del lavoro quel che era sinora fattore di disgregazione e divisione.

C’è, infatti, una soglia superata la quale un fenomeno diventa generale e come tale chiede risposte.

Una recente indagine prodotta da un noto istituto ha rilevato che, in cima alle paure di gran parte degli italiani, non stanno più quelle dell’immigrazione clandestina o della microcriminalità, nonostante tutti gli sforzi mediatici e politici per mantenercele (le ronde dell’esercito, l’enfasi data alla cronaca nera).

Il timore prevalente è diventato quello di perdere il posto di lavoro: troppi sono, infatti, i segnali internazionali, nazionali, locali della crisi che striscia sottopelle all’economia ed alla quale il governo, per bocca di Berlusconi, imputa la necessità di chiedere ai lavoratori ulteriori lacrime.

Epifani, dal canto suo, accennando ad un possibile autunno di conflitti sindacali, ha sottolineato il fatto che anche la Fiat, solo tre anni fa simbolo sacralizzato della ripresa, sarà probabilmente costretta di nuovo alla cassa integrazione.

La stagflazione, che finché sta sui manuali d’economia ci lascia abbastanza indifferenti, circola per le strade sotto forma di inflazione crescente, produttività industriale e consumi in calo, evasione fiscale in ripresa, redditi di vario tipo inadeguati ed esplicitamente dichiarati inadeguabili da Confindustria e governo.

Forse si sta chiudendo un ciclo economico e politico nel quale l’attacco quotidiano, sistematico ai diritti del lavoro e nei luoghi di lavoro è stato ossessivo ma poco contrastato?

Non sarà facile né automatico tornare sui propri passi, anche perché non saranno gli stessi passi già percorsi a suo tempo: certo è che, però, si può provarsi ad invertire una tendenza, tornando a considerare lavoro precario non solo ciò che, per norma, è definito come temporaneo.

Gli autori di Vorrei
Michelangelo Casiraghi