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Negli ultimi dieci anni ha raccolto le storie di esperienze di resistenza incontrate in America Latina, Medio Oriente, passando per l’Europa e il Mediterraneo. Con le sue fotografie è facile chiedersi da dove si parte, e dove si arriva.

 

Alcune donne in primo piano guardano sorridenti l’obiettivo. Tre di loro hanno adagiata sul capo, una giacca (o forse una bandiera) troppo piccola per contenerle tutte, il simbolo di una libertà che le avvicina. Si stringono facendosi più minute mentre intorno è un tripudio di sorrisi giovani e belli, come quelli degli eroi.

Questa è solo una delle immagini della resistenza italiana, una di quelle in cui, guardandola, si è in condizione di prestare attenzione ai dettagli, dove tutto quello che si osserva è importante per aggiungere particolari alla storia delle persone ritratte.

Alcune immagini hanno il potere di raccontare storie intere nello scatto di un secondo.

 

01 resistenza ragazze festa

 

Succede un po’ la stessa cosa con le fotografie di Valerio Nicolosi, che negli ultimi dieci anni ha raccolto le storie di esperienze di resistenza incontrate in America Latina, Medio Oriente, passando per l’Europa e il Mediterraneo. Anche con le sue fotografie è facile chiedersi da dove si parte, e dove si arriva.

Non è casuale per me, la scelta di partire da un’immagine della resistenza italiana, non per una questione di memoria storica alla quale dovremmo sentire di appartenere, e neanche perché è testimone della nostra identità collettiva (espressione troppo spesso portatrice della retorica dell’identità che riconosce l’altro solo nella misura in cui ci somiglia). Ho scelto di partire da qui per due motivi: perché la resistenza è un’esperienza di ribellione e di costruzione insieme, e perché (R)esistenze è il nome dell’ultimo progetto di Valerio, un viaggio di lotta e tentativo di riconquista di libertà e diritti.

«(R)esistenze ripercorre le tappe di un percorso umano e professionale – dice Valerio – durato anni, e lo fa lentamente e silenziosamente, guardando indietro e raccontando incontri incredibili, mesi di frequentazioni dei campi rom di Roma, dei bar notturni della sua periferia, anni di militanza e passione politica che si legano allo sport popolare. Urla storie di tante persone che resistono quotidianamente nella Striscia di Gaza, e sussurra la lotta del popolo maya che oltre 20 anni fa disse: Ya Basta! indossando dei passamontagna e facendo conoscere al mondo l'esercito zapatista. È il racconto di migranti che partono da paesi e continenti differenti ma che cercano tutti la stessa cosa, una vita dignitosa».

Noi, fruitori e consumatori di immagini, senza quest’ultime non esistiamo, senza fotografare un concerto non ci siamo mai stati, senza aver fotografato una portata di cibo non l’abbiamo mai mangiata, senza la rappresentazione del nostro quotidiano quest'ultimo non ha senso.

Parlando di (R)esistenze, Valerio cita la democratizzazione della fotografia, pratica alla quale ha contribuito la rivoluzione digitale permettendo di fatto (nel bene e nel male) a chiunque di pubblicare e condividere continuamente immagini. «Noi, fruitori e consumatori di immagini, senza quest’ultime non esistiamo, senza fotografare un concerto non ci siamo mai stati, senza aver fotografato una portata di cibo non l’abbiamo mai mangiata, senza la rappresentazione del nostro quotidiano quest'ultimo non ha senso». 

 

 

Ma lo scopo della fotografia non è solo di documentare ogni momento della nostra quotidianità. La fotografia è talvolta un simbolo dal forte potere comunicativo.

«Potremmo parlare della guerra civile spagnola, della seconda guerra mondiale, della rivoluzione cubana, della guerra del Vietnam o della fame del mondo  – dice Valerio – ma nessuna di queste discussioni sarebbe immediata con la vista delle foto che raccontano questi episodi come la morte del miliziano e lo sbarco in Normandia di Robert Capa, il ritratto di Ernesto “Che” Guevara scattato da Korda, il bambino e l'avvoltoio di Kevin Carter, la protesta di Piazza Tienanmen di Jeff Widener o la bambina vietnamita nuda che scappa dalle bombe al napalm dell'esercito statunitense di Nick Ut senza bisogno di parole, senza bisogno di aggiungere altro».

Oggi invece, le immagini risultano care solo per qualche istante per poi diventare troppo presto distanti e hanno poco tempo per rimanere simboli. «I ritmi dell’informazione vengono imposti dalla società e dagli strumenti che quest’ultima utilizza – dice – il mondo dell'informazione è profondamente cambiato negli ultimi anni. Anche in questo caso la rivoluzione digitale e informatica attraverso internet, ha influito a creare un nuovo linguaggio e nuove metodologie di comunicazione. Il vero cambiamento è stato nella velocità, tutto è frenetico, tutto è veloce e tutto viene rimpiazzato in poche ore. Con i canali “all news” che trasmettono in diretta 24 ore al giorno, per esempio, anche il fotogiornalismo è costretto ad avere ritmi veloci altrimenti rischia di essere superato costantemente facendo diventare vecchie le storie che racconta».

(R)esistenze è un viaggio all’interno della vita delle persone che – come Valerio racconta – gli hanno cambiato la vita a dimostrazione che noi, siamo le persone che incontriamo.

Di persone Valerio ne ha incontrate tante, dai gazawi, agli zapatisti ai rom. Ad ognuno di loro ha riservato un posto da protagonista nelle sue fotografie.

É un progetto che parla tanto di America latina raccontata con la passione tipica di questa terra dalle memorie di fuoco che sulla cartina geografica appare come un cuore malato. È questo un argomento che mi appassiona particolarmente, io che ho invece, il cuore che tende un po’ a sud ovest.

Queste immagini sono il frutto di un viaggio di oltre quattro mesi tra Messico, Guatemala, Chiapas, Nicaragua, Honduras, Cuba.

Un itinerario che attraversa, analizzandoli, secoli di storia latinoamericana, partendo dal colonialismo che ha depredato e prosciugato il Sud America contribuendo allo stato di sottosviluppo in cui si trova ancora oggi a distanza di più di cinque secoli.

Valerio ha percorso parte dell’America Latina ascoltando la voce dei reietti, degli ultimi, e di quelle voci ne ha fatto foto e documentari. I suoi lavori nascono e si sviluppano in un contesto di povertà e sfruttamento, quel contesto che diventa il terreno fertile delle piccole e grandi rivoluzioni. Sono storie di resistenza allo sfruttamento.

Cesmach (Campesinos Ecologicos de la Sierra Madre de Chiapas), per esempio, racconta la vita dei contadini e delle loro famiglie indigene nelle coltivazioni di caffè in Chiapas.

I protagonisti di questa storia sono piccoli produttori di caffè che combattono una lotta quotidiana per la loro sopravvivenza, sia dal punto di vista produttivo che economico. «Per migliaia di agricoltori che vivono in questa zona, il caffè è la principale attività agricola e la loro unica fonte di reddito. In Messico, i piccoli produttori di caffè, che seguono una coltivazione tradizionale e biologica, combattono una lotta contro due grandi multinazionali: la svizzera Nestlé, leader globale nel settore alimentare, e Agroindustrias Unidas de México (AMSA), che controlla circa il 50% delle esportazioni del paese» racconta Valerio.

I Cañeros invece, sono lavoratori della canna da zucchero del nord ovest del Nicaragua che da circa 30 anni sono vittime di una rara malattia renale (l’insufficienza renale cronica) che causa malfunzionamento e ridimensionamento dei reni portando alla morte tra atroci sofferenze chi la contrae. «Le cause di questa malattia – precisa Valerio – sono da ricercare nelle condizioni estreme di lavoro e all'utilizzo indiscriminato dei pesticidi impiegati dall'azienda Ingenio San Antonio (oggi SER San Antonio) vicina a Chichigalpa. Il massiccio uso di pesticidi ha infatti inquinato le falde acquifere circostanti e di conseguenza ha compromesso le coltivazioni».

Occorre a questo punto fare attenzione al contesto in cui nascono e si sviluppano i suoi lavori, ma soprattutto occorre prestare attenzione, come quando si osserva una fotografia, al contesto storico e sociale di queste terre, da sempre teatro di sfruttamento e depredazione. «Il Nicaragua – racconta Valerio – per esempio è, secondo le stime del FMI, il secondo paese più povero del continente americano. Oltre alla povertà, il Nicaragua, paese della rivoluzione sandinista, deve anche combattere con un altro triste record: è lo Stato con il più alto tasso di disuguaglianze di reddito al mondo».

il Nicaragua, paese della rivoluzione sandinista, deve anche combattere con un altro triste record: è lo Stato con il più alto tasso di disuguaglianze di reddito al mondo

Per analizzare e capire il tessuto sociale ed economico di questa terra, forse bisogna partire dal 1492, raccontare la storia dei conquistadores, come riesce facile fare anche ad autori come eduardo Galeano, uno dei massimi conoscitori dell’America Latina. Forse basta addirittura leggere Marx citato proprio da Galeano nel suo reportage Le vene aperte dell’America Latina.

Nel primo libro del Capitale – dice Galeano – Marx ha scritto: «La scoperta dell’oro e dell’argento in America, lo sterminio, la riduzione in schiavitù e il seppellimento nelle miniere della popolazione indigena, l’incipiente conquista e il saccheggio delle indie Orientali e la trasformazione dell’Africa in riserva di caccia di schiavi negri contrassegnano gli albori dell’era di produzione capitalistica. Questi processi idilliaci rappresentano momenti essenziali dell’accumulazione originaria».

I secoli raccontano il perpetuarsi dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura, alle quali fanno da contraltare storie come quelle dell’Esercito Zapatista di liberazione nazionale (EZLN).

Il 1 gennaio 1994 gli zapatisti si ribellarono in un paese in cui i popoli indigeni erano tagliati fuori dall’agenda politica. Quel giorno entrava in vigore il trattato di libero scambio con gli Stati Uniti e il Canada, e fu allora che gli zapatisti insorsero in Chiapas e la questione indigena diventò di sorprendente attualità. L’obiettivo del movimento politico zapatista non è ottenere il potere, ma migliorare le condizioni di vita delle comunità indigene. 

Valerio ha raccontato questa storia. È riuscito nella rara possibilità di partecipare alla vita di comunità, visitando la escuelita zapatista (esempio virtuoso nell’ambito dell’istruzione sud americana), ha vissuto con loro. Con loro ha raccolto il mais, ha spaccato la legna. Con loro ha condiviso la dignità umana. Il risultato sono una serie di scatti di uomini, donne e bambini con il volto coperto dal passamontagna, dove si legge perfettamente il lavoro quotidiano, la lotta e la libertà, la costruzione di un mondo altro.

In questi racconti fotografici si sente l’odore del chicco di caffè appena tostato e se ne assapora il retrogusto amaro, si sentono le note ondulate cantate da Mercedes Sosa. Al ritmo del suo tono scuro e urgente si tiene il tempo della lettura e della riflessione.

Tutto questo lavoro diventerà un libro fotografico dove c’è spazio anche per altre storie come quella di Gaza, di cui abbiamo già parlato un anno fa, sempre su Vorrei.

(R)esistenze è la storia di chi ha temprato il cuore e i muscoli in battaglia, come cantavano i partigiani sulle montagne dalle quali aspettavano l’alba che di colpo cambia qualcosa.

Ci sono le manifestazioni europee, c’è il Tufello di Roma con la palestra di Valerio Verbano, ci sono i Rom degli sgomberi dell’amministrazione Alemanno, ci sono i migranti, guatemaltechi, salvadoregni, etiopi e tunisini che attraversano mari, fiumi e tanta terra per cercare una speranza nei paesi occidentali, trovando spesso solo barriere, muri e respingimenti.

(R)esistenze è la storia di chi ha temprato il cuore e i muscoli in battaglia, come cantavano i partigiani sulle montagne dalle quali aspettavano l’alba che di colpo cambia qualcosa. È l’esigenza personale di Valerio e il dovere di raccontare le storie di uomini e donne che combattono quotidianamente per rivendicare la loro esistenza e che arrancano nella società dei consumi e dello sfruttamento.

Non resta che aspettarlo questo libro per tenerlo tra le mani con le sue note dolci e amare.

Gli autori di Vorrei
Caterina Guerrieri
Caterina Guerrieri

Dopo quasi dieci anni di camminate in giro per l’Italia e la Francia, sono ritornata ad Altamura, il paese in cui sono nata nel 1987 e che avevo lasciato per motivi di studio. Mi sono laureata nel 2012 in Restauro e Conservazione di dipinti su tela all’Accademia di Belle Arti di Lecce. Quando capita faccio anche la restauratrice, ma nel resto del tempo mi dedico alla scrittura e al disegno (le mie grandi passioni) e collaboro con l'associazione culturale “Link”, che si occupa di mobilità giovanile e interculturalità.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.