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Greta, Simone e Marina dimostrano che, se esiste una parte del 99% o 100% a cui ci si dovrebbe rivolgere prioritariamente e con maggiore calore, non si tratta del “ceto medio”. Sono i giovani, anche se non ancora votanti.

Molti insegnamenti possono essere tratti dalle due vicende che hanno avuto recentemente straordinaria risonanza: una internazionale, lo “sciopero scolastico del venerdì” della sedicenne Greta Thunberg per sollecitare i potenti ad adottare misure drastiche contro il riscaldamento globale; e una nazionale, il dialogo con il quale il quindicenne Simone ha fronteggiato gli energumeni di Casa Pound che sobillavano la folla contro gli zingari nel quartiere di Torre Maura a Roma. Io ne aggiungo una terza, locale: una insegnante di Monza che dialoga con i bambini delle elementari su passato, presente e futuro, su Monza e il mondo, e che mi ha parlato degli esiti delle sue lezioni.

Greta Thunberg è andata al Parlamento europeo. Perorando la sua causa, ha fatto rilevare che lei, data la sua età, non potrà ancora andare a votare. Ma ha raccomandato vivamente gli adulti a farlo per sostenere i candidati da cui ci si può aspettare un’azione più incisiva per l’ambiente.

Simone ha dimostrato alla gente che assisteva al suo argomentare pacato e coraggioso, e al vasto pubblico dei media che hanno rilanciato il fatto, che un dialogo fermo e razionale può consentire di affrontare i problemi in modo intelligente, senza essere trascinati dalla paura, dall’odio e dalla violenza. Una lezione per i cosiddetti adulti.

Marina (è il nome dell’insegnante monzese) mi ha illustrato gli effetti positivi sui genitori, dichiarati da questi stessi, delle conversazioni che lei promuove con i suoi alunni sul rispetto dell’ambiente e dei propri simili, ad esempio per quanto riguarda la raccolta differenziata dei rifiuti, il consumo di acqua ed energia, o il vizio del fumo.

L’insegnamento principale che ho tratto da questi casi è che la sinistra perde molto del suo tempo nella ricerca di argomenti che le facciano ottenere il consenso dai cosiddetti “ceti medi”, con il rischio di annacquare la sua ragion d’essere principale: il sostegno ai ceti più deboli, la lotta alle disuguaglianze e alla povertà. Al punto di non avere il coraggio di chiamarsi “sinistra” tout court, ma di preferire il termine ambiguo e insipido di “centro-sinistra”.

 

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In questa logica sostanzialmente elettoralistica, gli under 18 anni sono fuori gioco, per la semplice ragione che non votano.

Ho sempre sostenuto che la sinistra dovrebbe smetterla di rivolgersi “alla sua gente”, che non c’è più, integrandola con il ceto medio, che non si sa cosa sia. Dovrebbe invece sforzarsi di far capire al 99% della popolazione (come suggeriva il movimento Occupy Wall Street), e addirittura a qualcuno del residuo 1%, che l’obiettivo di ridurre disuguaglianze e povertà è nell’interesse di tutti, salvo alcuni, anche come via per conseguire l’agognata sicurezza.

Le vicende sopra citate, di Greta, Simone e Marina dimostrano però che, se esiste una parte del 99% o 100% a cui ci si dovrebbe rivolgere prioritariamente e con maggiore calore, non si tratta del “ceto medio”. Sono i giovani, anche se non ancora votanti. Diciamo da zero a 25 anni.

Una strategia decisamente orientata a favore dei giovani consentirebbe di far fronte a diversi vizi della politica corrente.

Il primo vizio, forse il più importante, è quello della visione di breve termine. I governanti o aspiranti tali cavalcano la miopia di gran parte dell’elettorato, assillato dalle preoccupazioni quotidiane, parlando e agendo secondo i sondaggi, cioè le percezioni di breve momento dell’opinione pubblica, alimentando un circolo vizioso. Cosa che i populisti sanno fare meglio di ogni altro. Parlare ai giovani costringe invece a ragionare sul lungo termine, facendo leva sulla naturale propensione, innata credo in un vasto numero di persone adulte, a preoccuparsi per le sorti di figli e nipoti.

Anche le proiezioni demografiche dovrebbero indurre la classe dirigente a ragionare e far ragionare sul lungo termine, e a occuparsi delle generazioni future. Basta far riferimento al tasso di sopravvivenza degli italiani, tra i popoli più longevi, in costante aumento (da 81 anni nel 2015 a 88 nel 2065), e alla fecondità, molto al di sotto del 2 necessario per la stabilità. Secondo i calcoli dell’ISTAT questi dati comporterebbero una diminuzione della popolazione italiana dal 2017 al 2065 di circa 5 milioni (da 59 a 54), con un rilevante invecchiamento. Le conseguenze di questa prospettiva sarebbero molto pesanti in termini di adeguatezza della produzione di reddito da parte delle persone in età da lavoro rispetto al fabbisogno di strutture e servizi sociali. Di qui la necessità di favorire la natalità e l'integrazione dei migranti, il che equivale a pensare ai giovani.

Una diatriba che ci affligge da anni, ampiamente intrisa di ignoranza, ipocrisia e malafede, è quella tra austerità e sviluppo. In realtà lo sviluppo si ottiene con le riforme, e non, come implicano i pseudo-keynesiani che offendono la memoria di Johhn M. Keynes, con l’aumento del debito di un Paese come il nostro ai limiti della bancarotta. Giustamente ci si mette in guardia sui gravi e immediati effetti finanziari dell’aumento del debito pubblico. Ma troppo poco viene rilevato il fatto che esso incide gravemente sul benessere e la libertà delle generazioni future. Dei giovani che non votano.

L’informazione quotidiana ci mostra l’esistenza nel nostro Paese di una grave carenza di classe dirigente e di professionalità, pubblica e privata. Si pensi alla difficoltà che incontrano i partiti nel reperimento di candidati all’altezza dei ruoli che dovrebbero assumere, o alla gravissima carenza di medici specialisti. Personalmente, non avrei difficoltà ad essere operato da un medico senegalese, anzi lo considererei una testimonianza della riduzione delle disuguaglianze. Per fortuna, l’Italia è d’altra parte un paese dove l’imprenditorialità, come la creatività artistica, non manca. Con maggiori professionalità e competenze direzionali, l’imprenditorialità potrebbe creare una miscela esplosiva per lo sviluppo. Ma anche qui, occorre partire dai giovani.

Nella prospettiva delle elezioni europee dovrebbe avere un certo peso anche il fatto che, come risulta da recenti sondaggi, le nuove generazioni sono più europeiste delle persone adulte. Del resto, al di là dei sondaggi, basta osservare i comportamenti dei giovani. Da parte mia, mi basta fare attenzione a quelli dei figli e nipoti miei come della mia domestica filippina.

Dopo lo slogan “Prima il Nord”, la lega di Salvini cerca di costruire la propria fortuna politica sullo slogan del tutto strumentale "Prima gli Italiani”, facendo leva sull’ignoranza e la paura, sostanzialmente sul razzismo,  proponendosi come unico garante della sicurezza, come “protettore numero uno”.  Zingaretti ha opportunamente parlato di “Prima le persone”, senza distinzioni. Forse sarebbe ora di fare un passo in avanti, proclamando “Prima i figli e i nipoti”, testimoniando questa scelta con un progressivo, ma visibile spostamento di risorse verso le nuove generazioni, in termini di sviluppo umano. Cioè verso la cultura e la ricerca, umanistica e scientifica, la cura della prima infanzia, l’istruzione, l’integrazione dei migranti, la formazione, in una visione permanente capace di coinvolgere anche chi non è più giovane.

Una politica così orientata comporterebbe probabilmente sacrifici per i non più giovani. Ma non sarebbe la prima volta che il consenso si ottiene su progetti di grande valore ideale, anche se a costo di qualche sacrificio. Ricordiamoci la famosa frase di John F. Kennedy rivolta agli americani: «Non chiedetevi cosa l’America può fare per voi: Chiedetevi cosa potete fare voi per l’America».

 

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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