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Dossier. Consumo consapevole. Con i suoi acquisti, il consumatore può determinare spostamenti di ricchezza da una sorgente all’altra, e può usare l’arma della spesa per favorire o compromettere il bilancio di questa o quell’azienda.

La critica al consumismo è stata piuttosto popolare in anni ormai remoti, ma negli anni ottanta e seguenti è stata rimossa dai più con un certo fastidio, arenandosi inascoltata nei pensieri e nelle pagine di sociologi e altri studiosi. Ritorna in auge adesso che i soldi sono finiti o stanno per finire: l’animo umano è maestro nel cogliere nell’aria l’odore del benessere così come quello della sfiga, e a seconda dei casi decide di adattarvisi prontamente o di fare qualcosa per essere all’altezza di ciò che il tempo consente o pretende.

Ho sempre ascoltato con sospetto non solo gli entusiasmi dei bons vivants per lo yacht appena acquisito ma anche le prediche dei rigoristi

Ho sempre ascoltato con sospetto non solo gli entusiasmi dei bons vivants per lo yacht appena acquisito ma anche le prediche dei rigoristi che, in tema di consumi, seguono la corrente del momento. I moralismi improvvisi e troppo proclamati sono a volte l’anticamera dell’intolleranza, e l’intolleranza è – a mio avviso – non meno perniciosa dei Suv e delle pellicce di visone. La questione dei consumi responsabili e degli stili di vita deve nascere e crescere dentro di noi, prima ancora di diventare una moda o una bandiera di protesta.

So che non siamo sempre attrezzati per coltivare interiormente i valori o disvalori che ci circondano; so che non sempre ci è data una bilancia miracolosa che ci aiuti a pesare il senso della vita, o una bussola che ci orienti tra le opzioni che l’esistenza ci offre. La religione, che in questo paese è tanto diffusa, non sembra aver prodotto nella moltitudine dei suoi fedeli adeguati anticorpi alle infezioni dello spirito. Si naviga a vista, più sensibili al mercato che alle idee, e si trovano mille giustificazioni al nostro operare, quale che esso sia.

 

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Già, il mercato. Non sono tra coloro che lo demonizzano di default. E come potrei, dopo essermi occupato di pubblicità per quasi otto lustri? La produzione e il consumo non possono essere, di per sé, soltanto veleno, se e fin quando procurano lavoro agli esseri umani: e del lavoro io ho sempre voluto essere paladino assoluto, e non solo perché la sua sacralità è sancita dalla Costituzione del nostro Stato.

Quanto alla sostanza dei consumi sono favorevole a qualsiasi tipo di scelta, riservandomi però il diritto personale di disprezzare certe compulsioni alla deificazione degli oggetti, alla passività morale nei confronti della ricchezza, al cattivo gusto ammantato di falso bon ton.

Consumo consapevole, per me, non è tanto fiondarsi in un agriturismo dopo l’altro o nel mettersi obbligatoriamente a rilavorare la terra; è prendere atto che anche il consumatore è protagonista del mercato, alla pari col produttore e il distributore di merci, mentre invece ne è considerato l’utile schiavo.

La pubblicità di quella marca ti disgusta e ti offende? Cambia marca. La Fiat se ne va all’estero? Dichiarale il tuo embargo personale.

Il consumatore non si è ancora reso conto (e nessun sindacato sembra averci seriamente pensato) che con i suoi acquisti può determinare spostamenti di ricchezza da una sorgente all’altra, e che può usare l’arma della spesa per favorire o compromettere il bilancio di questa o quell’azienda. Non ti piace che quella marca di scarpe sia stata coinvolta in uno scandalo in India? Bene, comprane un’altra. La Lega Nord ti sta sullo stomaco? Metti nel carrello solo prodotti provenienti da sotto il Po e vediamo come se la cavano in Padania, producendosi e vendendosi i prodotti tra di loro. La pubblicità di quella marca ti disgusta e ti offende? Cambia marca. La Fiat se ne va all’estero? Dichiarale il tuo embargo personale.

Ci vorrebbero meno solennità e meno teoria nell’analisi della società dei consumi (già abbondantemente scandagliata, peraltro, da teorici di indiscutibile statura) e più senso pratico. Qualcuni si applichi, per esempio, alla stesura ragionata di un annuario delle merci: ci dica dove e da chi le marche sono prodotte, di quali meriti (innovazione, gestione del personale, volume di esportazioni all’estero, etc.) o demeriti (outsourcing, licenziamenti, truffe, menzogne, carenze di assistenza post vendita, etc.) le rispettive aziende si sono distinte o macchiate; e si raggruppino sotto ogni voce, come in un dizionario dei sinonimi, le marche equivalenti e concorrenti, in modo da offrire al lettore un panorama di opzioni. Utopistico? Macché: il consumatore è già abituato a usare parametri di scelta: il bisogno, il gradimento, il prezzo. Li vedo, i pensionati al supermarket, con quanta cura scrutano il prezzo sotto gli scaffali! La mia idea è che, oltre a quelli, andrebbero presi in considerazione altri elementi di giudizio. Vorrei che imparassimo ad esercitare il nostro potere di consumatori come quando, da cittadini, andiamo a votare per questo o quel partito.

 

Le immagini sono tratte da www.adbusters.org

Gli autori di Vorrei
Pasquale Barbella
Pasquale Barbella