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Jean Louis Aillon, è stato presidente del Movimento per la Decrescita Felice (MFF) ed è attualmente responsabile dei rapporti internazionali del MDF. Ci parla del movimento nato in Italia e dei temi fondanti del pensiero

 

 

Continuiamo il nostro tour sulle Post Utopie, iniziato con il Bioregionalismo, proseguito con la Panarchia e un approfondimento sulla Spiritualità Laica del Bioregionalismo, con questa intervista fatta a Jean Louis Aillon in videoconferenza da Torino. Fondato in Italia nel dicembre 2007, il Movimento per la Decrescita Felice prende spunto dalle teorie pubblicate due anni prima nel libro La decrescita felice di Maurizio Pallante. Insieme al movimento delle Transition Towns, di cui tratteremo nel prossimo servizio e fondato nello stesso periodo in Irlanda dall'ambientalista Rob Hopkins, condivide l'idea di provare a creare una via risolutiva alle degenerazioni e alle crisi del sistema produttivo capitalista industrializzato. La critica di fondo è diretta al meccanismo centrale del sistema produttivo, laddove viene individuata un'aberrazione nella finalità, consistente nell'idea della crescita fine a se stessa. 

A questa viene contrapposta l'idea di decrescita, intesa non come riduzione quantitativa o recessione, ma come uno strumento di riequilibrio umano dei processi produttivi. Si prende atto dei meccanismi che inducono il sistema produttivo dominante a produrre merci in modo spropositato, non tanto con la finalità di soddisfare i bisogni reali dell'umanità, ma per sottostare alle dinamiche perverse del profitto, della concorrenza e delle leggi del mercato: aumentare la quantità delle merci significa abbassare l'incidenza dei costi di produzione ed essere competitivi nella concorrenza con gli altri produttori. Per questa ragione ogni anno il sistema è costretto a certificare una crescita produttiva, crescita che ciclicamente coincide con le crisi di sovrapproduzione di merci che restano invendute nei magazzini, generano fallimenti aziendali e una spietata selezione di sopravvivenza dei produttori. 

A questi guasti di follia produttiva si aggiungo ulteriori ricadute nefaste: l'inquinamento sempre più massiccio del pianeta, prossimo divenire irreversibile; il dovere forzare, per far sopravvivere il sistema, il consumo di massa di grandi quantità di merci inutili, che a loro volta sono strumenti di distrazione e disumanizzazione; l'avere stabilito come indicatore economico di ricchezza il PIL (Prodotto Interno Lordo) che necessariamente deve crescere ogni anno e anch'esso divenuto strumento degenerativo, quando per paradosso all'aumento del PIL spesso contribuiscono fenomeni negativi, come guerre, calamità naturali ed altri eventi catastrofici: aumentano la quantità di merci e denaro in circolazione, ma non apportano nulla di buono alla società, se non una maggiore ricchezza materiale come prodotto di scarto e anzi gli eccessi aumentano l'insoddisfazione e l'infelicità generalizzata. 

Nei suoi dieci anni di vita il Movimento per la Decrescita Felice si è strutturato e diffuso in Italia in circa una ventina di circoli territoriali e in gruppi di lavoro tematici. Si presenta come una sorta di catalizzatore. L'attività principale consiste nel diffondere il pensiero, ma anche di offrire la possibilità di incontrarsi, discuterne e metterlo in pratica. Il movimento promuove convegni di livello nazionale e ha costituito il progetto “Università del Saper Fare” per valorizzare il recupero delle conoscenze e delle pratiche di auto produzione di beni. Organizza confronti con aziende e professionisti che producono tecnologie per l’efficienza nell’uso delle risorse, riducono l’impronta ecologica e recuperano materiali dismessi, con l’obiettivo di promuovere un’economia parallela. Ha una casa editrice: Edizioni della decrescita felice.

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 La Colère des Dieux - 1960 - Rene Magritte

 

Jean Louis Aillon

 

E' una rivoluzione radicale. Inizia in primis dal rivoluzionare l'attuale struttura pensante con la decolonizzazione del nostro immaginario dall'ideologia, dal totalitarismo e della crescita

Chi è Jean Louis Aillon?
Sono un medico un po' eretico di 33 anni, specializzato in psicoterapia dinamica adleriana. Attualmente sto frequentando un dottorato in antropologia e psicologia sull'adolescenza, in relazione anche alle dinamiche sociali e culturali che si riallacciano con la decrescita. Come psicoterapeuta lavoro con in migranti, nell'ambito dell’etnopsichiatria al Centro Frantz Fanon e presso l’Università di Genova. Sono nel movimento della Decrescita Felice da quasi dieci anni, sono stato uno dei fondatori del circolo di Torino e presidente del movimento negli ultimi due anni, lavorando molto in ambito nazionale. 

Quando hai conosciuto la Decrescita Felice?
Leggendo un libro di Maurizio Pallante che mi aveva regalato la mia fidanzata, quando ancora frequentavo l'università. Questa scoperta mi ha spalancato un mondo da scoprire e ha facilitato il mettere insieme molte mie idee che erano sfilacciate e un po' vaghe. 

Così sei entrato nel movimento?
Piuttosto che lamentarmi passivamente della mia incomprensione del mondo e dei problemi che lo affliggono, ho deciso di prendere parte attiva e portare il mio contributo per aiutare a risolverli: ho cominciato a frequentare il movimento, a discutere dei temi e a studiare con gli altri. Da li è iniziata questa mia mia avventura, protesa verso l'idea di perseguire un cambiamento del nostro attuale modo di vivere, di pensare e di relazionarci.

Cos'è la Decrescita Felice?
E' una rivoluzione radicale. Inizia in primis dal rivoluzionare l'attuale struttura pensante con la decolonizzazione del nostro immaginario dall'ideologia, dal totalitarismo e della crescita. 

La crescita, intesa come forma economica?
Si. Questa determina la struttura della nostra società e si basa principalmente sul produrre e consumare sempre di più, facendo leva su due fattori: lo sfruttamento degli esseri umani, che produce disuguaglianze e lo sfruttare sconsideratamente l'ambiente, producendo inquinamento e per conseguenza anche i cambiamenti climatici. Questi fattori spingono sempre di più verso ritmi di vita frenetici, competitivi e producono contesti malsani. La decrescita vorrebbe ribaltare questo meccanismo. 

In che modo?
Sottraendoci dagli ingranaggi del meccanismo. E' l'economia ora che decide il nostro destino, sacrificandoci sull'altare della crescita, ma noi possiamo ribaltare questo meccanismo, rimettere l’essere umano a manovrare la megamacchina economica in altre direzioni, verso la sopravvivenza dell'umanità, in armonia con gli esseri umani e nel rispetto della natura. 

Questo vuol dire metter in discussione le strutture produttive e quindi anche il capitalismo?
Il capitalismo, il neo liberismo ma soprattutto la struttura stessa della crescita in sé, che paradossalmente era condivisa anche dai sistemi socialisti reali: anche i modelli di economia comunista, pur essendo differenti e con gestioni centralizzate e pianificate, erano ugualmente basati sulla stessa ideologia della crescita. Al contrario la decrescita individua in quest'idea di sviluppo produttivista e di progresso l'elemento da modificare.

Come si vorrebbe modificarlo?
Mettendo al centro una visione differente, un paradigma culturale che per noi significa modificare gli stili di vita, utilizzare tecnologie diverse e far scaturire lentamente anche un cambiamento nel livello politico. Questo lo stiamo già mettendo in pratica sia a livello teorico e sia introducendo gradualmente negli stili di vita una serie di cambiamenti di carattere pratico.

 

Il teorico della “decrescita felice” è Maurizio Pallante, anche se spesso nel mondo politico e giornalistico ne viene erroneamente attribuita la paternità a Serge Latouche

L'ideatore della decrescita felice, Serge Lautoche, partendo dal tema della lunga crisi del capitalismo che stiamo attraversando, si è avvicinato ad alcune teorie post marxiste, quelle del gruppo tedesco Krisis e del gruppo austriaco. Nella filosofia della decrescita ci sono riferimenti a categorie marxiste, come per esempio la Critica del valore?
Il teorico della “decrescita felice”, quello che ha elaborato questo pensiero, è Maurizio Pallante, anche se spesso nel mondo politico e giornalistico ne viene erroneamente attribuita la paternità a Serge Latouche, che invece è uno dei primi pensatori che ha portato alla ribalta internazionale i temi della decrescita, intesa in senso generale. Latouche, infatti, preferisce utilizzare l'aggettivo serena, piuttosto che felice, cioè l'interpretazione che ne ha dato Maurizio Pallante (qui un'intervista-confronto sui temi, Ndr.).

C'è un affinità con il concetto del feticcio della merce di Karl Marx?
In alcune parti potrebbe esservi, per quanto riguarda il concetto di decolonizzazione dell’immaginario, rispetto ai valori della società dei consumi e quindi delle merci. Nella concezione della decrescita felice si propone la diminuzione delle merci che non sono beni, l'aumento dei beni che non sono merci e l'acquisto più consapevole delle merci che possono essere beni. Le merci corrispondono a quello che si scambia con denaro, mentre i beni soddisfano un bisogno o un desiderio. Un esempio di una merce che non è un bene è una casa mal coibentata, perché spreca energia e consuma più petrolio. Oppure un farmaco inutile, per esempio un antibiotico prescritto quando non serve: è una merce, si acquista, ma non migliora la nostra salute, anzi la cagiona. Mentre un bene che non è una merce può essere una zucchina che coltiviamo nel nostro orto, oppure un servizio che scambiamo con nostri amici in una logica di dono.

 

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Mercato ambulante nella spiaggia di Rosignano - Foto di Pino Timpani

 

Possiamo dire che questi concetti vanno a destrutturare l'essenza del sistema produttivo capitalista, quando questo produce merci inutili?
Viene messo in discussione il capitalismo nella sua versione di sistema che tende all’ accumulazione, così come il concetto di plusvalore. Rispetto a ciò che si definisce feticismo delle merci, la decrescita ha un concetto simile, ovvero il termine di mercificazione: significa uscire dal culto del consumo, dal modello del consumismo. Le decrescita prende spunto, tra le tante altre teorie, anche dalla critica marxista, dalla critica al capitalismo e all'economia di mercato. Tuttavia nella sua analisi va oltre e vuole scardinare le categorie politiche di destra e sinistra. Nonostante le differenze esistenti tra i partiti politici, in realtà questi attualmente convergono nel medesimo obbiettivo della crescita economia. Mettendo in discussione il feticcio della crescita economica, se vogliamo chiamarlo così, ci poniamo in una prospettiva che va oltre il marxismo o post marxismo, differenziandoci da questa cornice teorica. 

In quali aspetti?
Il nostro pensiero è molto libertario e parte, non tanto dell'appropriarsi dei mezzi di produzione e proporre un cambiamento esteriore del mondo, ma da un cambiamento interiore, in cui uno dei valori cardini è quello dell'autonomia radicale di Cornelius Castoriadis, (qui in un intervista del 1994, Ndr), cioè pensiamo a una società in grado di darsi proprie regole. Il concetto può essere declinato a livello individuale e in questo senso noi non possiamo affermare in assoluto ciò che è giusto o decrescente, ma lasciare seguire a ognuno il proprio percorso, avendo come stella polare la decrescita, in base alle sue caratteristiche, al luogo in cui vive e ai suoi bisogni e alle sue forme relazionali.

 

Il nostro movimento è accessibile a tutti: a chiunque è offerta la possibilità sia di approfondire la conoscenza della decrescita, ma soprattutto di praticarla, di diventare un agente del cambiamento.

Assomiglia non poco al concetto di Personarchia, di cui abbiamo recentemente trattato con un intervista a Gian Piero de Bellis. Ma a differenza del pensiero di Panarchia, la Decrescita Felice è invece uno movimento strutturato e presente nei territori, con anche una serie di attività e progetti. Ce ne puoi dare una descrizione? Come si può entrare a farne parte?
Il nostro movimento è accessibile a tutti: a chiunque capiti di leggere un libro o di avere notizie della nostra esistenza e si incuriosisce sul tema della decrescita, è offerta la possibilità sia di approfondire con diversi strumenti ma soprattutto di praticarla, di diventare un agente del cambiamento. Non può che essere fatto nel livello locale da una moltitudine di persone. Se non siamo in molti, inevitabilmente le macro conseguenze nefaste, come i cambiamenti climatici, ci travolgeranno, distruggeranno anche i nostri orti. Abbiamo creato una serie di circoli territoriali, attualmente sono circa venti. Sono associazioni locali, segnalate in una mappa e facilmente accessibili a chi vuole proporsi e partecipare alle nostre attività. Dove non ci sono offriamo la possibilità di crearne nuovi. 

Che lavoro si svolge nei circoli?
Si incontrano persone che si interrogano sullo stato delle cose e sentono il bisogno di provare a cambiarle. Il cambiamento si avvia a partire dal livello interiore e individuale. Nei circoli si condivide la decrescita e si organizzano le attività utili a farla vivere: si progettano attività culturali, presentazioni di libri, conferenze, corsi di auto produzione ecc. Abbiamo dato vita a una casa editrice con cui cerchiamo di produrre pensiero. 

Di che corsi si tratta?
Rientrano nell'idea di de mercificazione: vengono proposte conoscenze, lavori manuali e saperi dimenticati. Sono un modo per stimolare la capacità di auto produrre beni ed evitare di dover ricorre all'acquisto di merci che magari possono arrivare da migliaia di chilometri di distanza, riducendo così l'impatto economico, quello sociale e anche ambientale. Si promuove un po' di tutto: dalla panificazione casalinga, alla riparazione di biciclette, alla cosmesi naturale, all'installazione di pannelli fotovoltaici. Molti circoli si dedicano agli orti: qui a Torino ne abbiamo avviato uno, attraverso un progetto partecipativo che ha coinvolto un quartiere. Si svolgono attività con le scuole e di carattere politico.

 

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Particolare del timpano della Villa Barbaro a Maser,  progetto di Andrea Palladio - Foto di Pino Timpani

 

Politica nelle istituzioni?
No. Noi non siamo un partito. Il movimento fa politica agendo sulla polis, promuovendo temi e valori. Oltre a questo dialoghiamo con tutte le realtà, anche con le forze politiche che sono interessate ai temi della decrescita. Facciamo politica nel modo di porci di fronte alle scelte. Per esempio utilizzare una borraccia piuttosto che una bottiglia di plastica, oppure realizzare un orto in città, sono forme di attività politica. Ci interessiamo a i problemi locali e partecipiamo a iniziative di vario genere, promosse in collaborazione con altre associazioni del territorio. Il nostro non è un pensiero ideologico. E' un orizzonte che tendiamo a raggiungere, ma non c'è nulla di ideologicamente prefigurato: si lascia libero spazio a ognuno di perseguire a proprio modo l'orizzonte ideale. La sostanziale differenza che c'è tra noi e tante altre associazioni, dove si sono riversate tante buone intenzioni, pur deluse di non riuscire a cambiare il mondo, è che noi siamo convinti che dobbiamo necessariamente cambiare il macro sistema. Perché se non riusciamo a livello più grande e globale, i cambiamenti ottenuti nel piccolo sono destinati a vanificarsi. Per questa ragione il movimento si propone come una visione generale, in cui possono convergere anche idee diverse sulle modalità e i tempi dei percorsi da intraprendere. Per riuscire a cambiare la struttura del macro sistema, dobbiamo essere una moltitudine. La nostra azione si svolge in contiguità e collaborazione con tanti altri movimenti e associazioni, compreso il movimento delle Transition Towns.

Uno degli attuali nodi cruciali della politica è il tema del welfare: nella scarsità di risorse disponibili emergono sempre di più problemi di impoverimento e di coesione sociale. Che proposte avete in merito a questi problemi?
Pensiamo che prima di tutto bisogna agire sul livello strutturale, chiudendo il “rubinetto” della crescita e diminuire le diseguaglianze. L'auto alimentarsi della crescita crea disuguaglianze e ne consegue un allargamento del divario nord e sud del mondo o all'interno degli stessi paesi industrializzati e non, con forti differenziazioni sociali. Alcuni propongono la riduzione del reddito massimo e l'istituzione di un reddito minimo. Se agissimo nella promozione di una redistribuzione dei redditi, per esempio internalizzando le diseconomie esterne, tutta una serie di problematiche si ridurrebbero. Noi siamo a un livello di prevenzione, pensando non solo alla terra, ma anche al lavoro come un bene comune, di cui tutti possano disporre. Se le risorse scarseggiano le si dividono in base ai bisogni degli individui. A questo va aggiunta la creazione di welfare di comunità., cioè promuovere forme di auto organizzazione. Attualmente nell'individualismo esasperato non sono facili da realizzare, però sono un passaggio evolutivo importante. Pensiamo per esempio, partendo da forme minimali e fattibili, al formarsi di condomini solidali, dove le buone relazioni di vicinato possono aiutare a gestire diverse tipologie di problematiche e disagi.

 

La Decrescita Felice è un cornice che ci fa pensare a un cambiamento possibile e praticabile. I circoli sono una sorte di avamposti territoriali, dove ognuno prova a sperimentare buone pratiche

Il movimento è in grado di dare a queste iniziative, che pure si vanno diffondendo, un corpo più strutturato, in modo da amplificarne al meglio la proliferazione? Vi interrogate su questo?
La Decrescita Felice è un cornice che ci fa pensare a un cambiamento possibile e praticabile. I circoli sono una sorte di avamposti territoriali, dove ognuno prova a sperimentare buone pratiche. Il movimento in se ha lo scopo di diffondere la consapevolezza e con questo aiutare e stimolare queste e tante altre forme di solidarietà. Però non abbiamo ancora un'organizzazione tale da potere proporre in maniera fattiva e particolareggiata le molteplicità delle iniziative e dei progetti che si possono sperimentare negli ambiti locali.

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Les Jardiniers, 1877 - Huile sur Toile (H. 0,90; L. 1,17) -  Gustave Caillebotte

 


Potrebbe in futuro avere questo ruolo?
Siamo un catalizzatore. Se ci fossero le energie nella società, noi, ma anche le altre associazioni con cui siamo in rete, potremmo svolgere un ruolo più incisivo. Il 10 ottobre abbiamo partecipato alla costruzione di una nuova rete più ampia che coinvolge tante realtà che lottano per la sostenibilità ambientale e sociale in Italia: Economia del Bene Comune, Italia che Cambia, Movimento per la Decrescita Felice, Panta Rei, Rete italiana di Economia Solidale, Rete Italiana dei Villaggi Ecologici, Transition Italia, Associazione per la Decrescita, Panta Rei, Couhousing Italia e Terra Nuova come media partner. Qui a Torino stiamo provando a costruire un progetto di cohousing per la decrescita. Quest'anno abbiamo svolto un bike tour per l'Italia e abbiamo conosciuto nei territori diverse realtà locali di buone pratiche. Il nostro compito è stato quello di portare conoscenza, aiutare, dare voce e stimolare anche con convegni tematici nazionali: uno sulla salute, uno sul lavoro e ultimamente uno molto importante, frutto di una collaborazione con l'Università di Pisa, dove abbiamo studiato un livello marco economico di decrescita, confrontandolo con altri modelli e variabili, ragionando con una serie di stakeholder attivi nel territorio. Abbiamo fatto per la prima volta una festa nazionale di due giorni. Tuttavia la nostra peculiarità non è tanto realizzare grandi eventi, ma diffondere una moltitudine di piccoli e sistematici gesti quotidiani, che poi entrano lentamente nel cambiamento dei nostri stili di vita.

 

Tra questi c'è il tema della sobrietà?
Si ma senza doverla intendere come una privazione. Ci si può avvicinare alle buone pratiche facendo cose piacevoli e desiderabili. In una città può essere più bello, oltreché salutare e risparmioso, andare in bicicletta e non utilizzare l'auto. Può essere gratificante non acquistare oggetti inutili e per conseguenza riuscire a lavorare un po' meno e avere più tempo libero a disposizione, oppure condividere con gli amici, o in una piccola comunità, pensieri, ideali e progetti. In un contesto di questo tipo si sta meglio. Si costruisce più facilmente la felicità. La sobrietà è una presa di coscienza delle ricadute che hanno i nostri comportamenti sugli altri che ci stanno intorno. Vedendola nel contesto della decrescita, diventa stile di vita spontaneo, dove non è necessario forzare, perché il suo effetto benevolo ci ritorna attraverso una forma di appagamento, di benessere, ci fa diventare poco alla volta più felici.

 

Il fatto che la decrescita si possa configurare come il sogno di realizzare una società più giusta, più sostenibile dal punto di vista ambientale e felice, la rende una meta non solo personale, ma coinvolgente l'intera umanità

Nel pensiero del Bioregionalismo, di cui abbiamo trattato qui, c'è una consistente carica spirituale portante. La Decrescita Felice possiede anch'essa una visione nel campo spirituale complessiva o diversa dalle religioni dominanti?
Si e no. La decrescita ha una dimensione spirituale importante. Decolonizzare il nostro immaginario dalla crescita significa andare oltre la visione materialista, meccanicista e positivista del mondo. Quindi implica la valorizzazione dell'aspetto relazionale e anche dell'aspetto del senso e trascende la materialità della nostra esistenza. Il fatto che la decrescita si possa configurare come il sogno di realizzare una società più giusta, più sostenibile dal punto di vista ambientale e felice, la rende una meta non solo personale, ma coinvolgente l'intera umanità. Questo è già un elemento di spiritualità intrinseco che può permeare di senso le nostre vite. Ognuno lo fa a suo modo, esprimendo quello che i greci chiamavano daimon. Per alcuni può anche spingersi a forme di spiritualità più elevate verso il rispetto del creato e degli altri animali e vegetali, basandosi su una visione del mondo meno antropocentrica e in cui ognuno è alla ricerca dell'armonia con la natura. Tuttavia la decrescita non vuole essere una religione, né vuole essere portatrice di dogmi e nemmeno dare un senso prestabilito alla vita delle persone. Con la crescita ci viene dato un senso e consiste nel vivere per produrre e consumare, nell'avere successo, potere e denaro. La decrescita vorrebbe rompere questo concatenamento e aprire una breccia alla ricerca di sensi alternativi, nell'andare a costruire insieme un mondo migliore che però ognuno può declinare nella sua peculiare individualità. Vista in questo modo, si potrebbe definire una forma laica, non totalizzante e accessibile a chiunque, se vuole accedervi.

 

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Il sito di  Jean Louis Aillon

Decrescita Felice

 

Post Utopie: 

Gli autori di Vorrei
Pino Timpani

"Scrivere non ha niente a che vedere con significare, ma con misurare territori, cartografare contrade a venire." (Gilles Deleuze & Felix Guattari: Rizoma, Mille piani - 1980)
Pur essendo nato in Calabria, fui trapiantato a Monza nel 1968 e qui brianzolato nel corso di molti anni. Sono impegnato in politica e nell'associazionismo ambientalista brianzolo, presidente dell'Associazione per i Parchi del Vimercatese e dell' Associazione Culturale Vorrei. Ho lavorato dal 1979 fino al 2014 alla Delchi di Villasanta, industria manifatturiera fondata nel 1908 e acquistata dalla multinazionale Carrier nel 1984 (Orwell qui non c'entra nulla). Nell'adolescenza, in gioventù e poi nell'età adulta, sono stato appassionato cultore della letteratura di Italo Calvino e di James Ballard.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.