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Dossier: Gli anni Ottanta. A 1.100 km di distanza da Milano e dalla Brianza. Analogie e diversità.

 

C

hi, negli anni ’80, è cresciuto non nella Milano da bere (e sue propaggini) bensì nella Calabria da assaporare, può dire di essere un highlander. Non perché ne sia rimasto uno solo, anzi (siamo parecchi, agguerriti e tra voi, un po’ come i Visitors). È questione di corazza: se hai superato quegli anni lì in quei posti lì, le difficoltà sai che sono loro la normalità e non l’eccezione tra scampoli di vita lieta.

La Calabria degli anni ’80 il turbinio del “consumo dunque esisto” in salsa arrogante e cafona lo ha sentito tanto quanto il resto d’Italia.

La Calabria degli anni ’80 il turbinio del “consumo dunque esisto” in salsa arrogante e cafona lo ha sentito tanto quanto il resto d’Italia. Solo che a Milano c’erano le versioni originali della nuova specie antropologica e a Cosenza le varianti genetiche da adattamento locale. Lassù gli yuppies, laggiù dei tamarri ma firmati da capo a piedi come i loro modelli, tutti imbellettati, che lo slang anglofono lo mischiavano al calabrese con esiti che avrebbero lasciato senza fiato sua maestà la regina (Elisabetta c’era anche in quegli anni).

Scarponi Timberland, orologio Winchester con cinturino di pelle che ai 40° ruggenti di latitudine Sud ti si scioglieva al polso, cinta El Charro con un fibbione che nemmeno un texano avrebbe mai osato sfoggiare, jeans Uniform/Levi’s, camicia firmata di foggia varia, capelli corti ma con gel per tenerli dritti a spazzola. In sintesi: la perfetta fotografia di un minchione di nuova appartenenza (consumistica) sociale.

 

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E se i soldi per quelle firme lì non ce li avevi? Facevi come avevi sempre fatto: indossavi le cose dei fratelli più grandi o le imitazioni che, come ora, fioccavano. Le relazioni però potevano farsi feroci. Immancabilmente qualcuno ti avrebbe fatto notare che quell’indumento lì non era originale con l’espressione “è d’a pompa”, come dire paccottiglia.

Era “in” farsi 1100 km per andare ad assistere al gran premio di Monza (“ìa cumu mi signu scialatu”, ah come me la sono spassata) e la morte di Villeneuve lasciò tutti senza fiato. Al cinema spopolava Stallone e le varie versioni di Rocky e Rambo, i Ghostbuster erano un successone e Troisi era già quasi alto di gamma. La musica era quella che era: incredibili boiate da Francesco Salvi, il finto scandalo di vedere l’omosessuale Boy George a Domenica In, il primo concertone di Madonna al Comunale di Torino in diretta su Rai 1, Thriller e Bad di Michael Jackson, Simon le Bon e i Duran Duran che zompettano sul palco di Sanremo mentre le fan letteralmente invadono la città, Ramazzotti sdolcinato in duetto con Patsy Kensit, le tettone della dimenticabilissima Samantha Fox. Insomma: ormoni e insulina, voci così così, magrezze giovanili per volti e corpi ora da omino Michelin. Roba che George Michael e Born in the Usa di Springsteen (con Springsteen www.vintageradio.it fotografato di culo in copertina) erano per intellettuali.

La scuola era un edificio per civile abitazione adibito in tutta fretta a istituto: il salotto era l’aula e la palestra era il garage.

I consumi culturali erano trend di massa, in tutta la penisola e senza distinzioni. Le condizioni di contorno no, per nulla. “Ivan, tu ci vai in oratorio?”. Ma quale oratorio? Mai visto. Nuove e fameliche le urbanizzazioni, nuova pure la chiesa, con un campetto in argilla a monte della collina dove i tacchetti lasciavano un’impronta perenne nella creta (penso siano ancora lì certe tacchettate assestate nei giorni di pioggia). Non avevamo nemmeno il calcio balilla: era per ricchi da bar, mica per le attività ludiche sotto l’occhio di don Gino sempre alla ricerca di fondi per completare l’edificio di culto. “Ivan, voi nella palestra della scuola che sport praticate?”. Pratichiamo? La scuola era un edificio per civile abitazione adibito in tutta fretta a istituto: il salotto era l’aula e la palestra era il garage. Quelli del liceo scientifico, invece, erano in affitto al piano terra di un altro palazzo, con il pastore tedesco della signora del primo piano che letteralmente pisciava loro in testa dal balcone. E poi i furti stagionali, con le case svaligiate prima della stagione dei regali natalizi e prima delle ferie estive perché pure la piccola malavita doveva fare i conti con il budget. C’erano (ci sono) le grandi multinazionali del ramo, attivissime: il dolore per gli omicidi di parenti di amici che non si erano voluti piegare, il direttore del carcere crivellato di colpi, i contatti da cui era meglio tenersi alla larga, l’eroina (trend di massa pure questo) delle anime perdute. Il Nord, una reale esperienza di altra Italia, da questo punto di vista era lontanissimo. Allora come ora.

Il dolore per gli omicidi di parenti di amici che non si erano voluti piegare

Firmati o “d’a pompa”, aristocratici o proletari, c’erà però un luogo dove si era tutti uguali: lo stadio. Gli anni ’80 sono stati quelli della rinascita e dell’orgoglio per la Calabria calcistica: la Reggina che risale dai bassifondi, il Catanzaro nobile decaduta ma ancora capace di lottare per il vertice, il Cosenza al ritorno in B dopo 25 anni di purgatorio. Non eri più costretto a tifare Juve, Inter o Milan, ora avevi la tua squadra e ne andavi fiero. Era un fiume umano quello che a piedi raggiungeva la domenica lo stadio, era viscerale la rivalità con le corregionali… era ancora calcio, senza tv e con tanta radio, come mai sarebbe stato al di là del Po.

A quei tempi, c’erano ancora le speranze, l’idea di un altrove diverso, l’emigrazione da far idealmente diventare un domani una scelta e non una necessità. Esistevano ancora i sogni, senza il cinismo dell’ancoraggio alla dura realtà (allora, sia chiaro, più dura di ora). Tanto da poter credere realizzabile la frase di un vecchietto captata nel catino del San Vito un gradone sopra di te: “Prima i mora, u vulerra vida u Cusenza in serie A” [prima di morire, mi piacerebbe vedere il Cosenza in serie A].

Questo, di tanta speme, oggi ci resta.

 

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Gli autori di Vorrei
Ivan Commisso
Ivan Commisso

Vado per i quaranta, mi occupo di soluzioni pubblicitarie online in una grande concessionaria. La mia formazione universitaria è economica. Sono giornalista pubblicista e su Vorrei scrivo per lo più di economia perchè da lì verranno (ulteriori) problemi e su quel tema si dicono un sacco di fesserie. Nota Bene: mi piacciono le metafore, i dolci e la Calabria.

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