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In tutti i documenti ufficiali ministeriali si parla di Murgia come area prioritaria per il deposito unico di scorie nucleari, perché è un territorio poco antropizzato, c’è la polveriera di Poggiorsini, ci sono tutte le condizioni per realizzarlo. La comunità tutta deve vigilare e stare all’erta, per impedire l’ennesima ferita a questa terra fragile e delicata, ma piena ancora di risorse e bellezze da valorizzare. 

Ci sono circa 1.500 specie di piante spontanee, il 25% delle 6.000 specie presenti in Italia. Eppure ben pochi hanno parlato della Murgia come di una grande risorsa dal punto di vista ambientale, un polmone verde nella Provincia di Bari, anzi Tommaso Fiore, scrittore e uomo politico antifascista altamurano,  nei suoi scritti ne parlava come di un territorio arido:  l’Alta Murgia è stata da sempre considerata terra pietrosa, aspra e brulla, al punto che negli anni 80 era diventata oggetto di progetti dove allocare rifiuti,  per costruire una megadiscarica della provincia di Bari;  addirittura si  progettava di installarvi  una centrale nucleare.

 Alla ricchezza della superficie verde si aggiunge il patrimonio a prima vista invisibile delle 1.500 grotte ipogee, dove si trovano tracce di insediamenti preistorici. La Murgia per la sua biodiversità è stata abitata nei millenni da varie popolazioni, i Peuceti, i Greci, i Bizantini, i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi, gli Spagnoli. Ciascuna di queste popolazioni ha lasciato il suo segno e per questo il territorio è ricchissimo di presenze archeologiche, oggi abbandonate. Non c’è sito dove si sia  proceduto ad uno scavo anche superficiale. E’ un territorio che deve ancora essere studiato, di cui bisogna ricostruire la sua storia, rintracciarla attraverso le infrastrutture storiche, le vie, i tratturi, emblema del territorio, le masserie  e gli ovili,  o jazzi, che si snodano attraverso gli antichi tracciati della transumanza, tutti elementi di una trama di vita secolare che devono essere valorizzati. Grazie al lavoro di ricerca ed alle pubblicazioni del “Centro Studi Torre di Nebbia”, oggi abbiamo la possibilità di conoscere tutto il territorio dell’Alta Murgia:  nel 2004, infatti,  il Consiglio dei Ministri  ha approvato  il decreto istitutivo che ha dato vita al Parco Nazionale dell’Alta Murgia.

 

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La centralità del territorio e la perimetrazione.

 Nell’equilibrio di questo territorio è centrale, come si è detto, la “biodiversità”, ma anche il “sistema bipolare” di un’economia fondata sull’agricoltura  e sulla pastorizia. Questo sistema si snoda da Altamura a Minervino, lungo il costone dell’Alta Murgia ed è formato da masserie da campo e per pecore: così sono detti da un lato gli insediamenti votati all’agricoltura, situati nelle “matine”, territori molto fertili con coltivazioni di lenticchie, fave, grano ecc., dall’altro quelli, oggi in gran parte abbandonati, destinati all’allevamento degli ovini (Jazzi). Impropriamente si parla di masserie fortificate, in quanto le stesse sono strettamente legate alle attività economiche. Questo sistema bipolare si trova per metà nel parco, per metà fuori. Quando si è proceduto alla perimetrazione del Parco, non si è tenuto conto del “sistema bipolare” come indicato dall’Università di Bari e da alcune associazioni, ma delle proprietà e dei confini catastali di noti proprietari terrieri locali. In questo modo si è deciso chi doveva stare dentro e chi fuori, senza un criterio di razionalizzazione dei confini, ma in un sistema molto confuso al punto che oggi è difficile definire dove comincia e dove finisce la Murgia.

 

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Il degrado

Lo “spietramento” ha rappresentato un danno irreparabile alla geomorfologia e alla biodiversità del territorio murgiano. Si tratta di un processo che tende a trasformare i pascoli della Murgia in seminativi mediante la lavorazione più o meno profonda e la frantumazione meccanica del materiale di risulta. Facilitata da una miope politica di incentivazioni pubbliche (CEE e Regione) e da una disponibilità sul mercato di macchine idonee allo scopo,  questa pratica è stata giustificata come volta al fine di produrre più foraggio per incrementare le attività zootecniche, ma i contributi che avrebbero dovuto essere erogati alle aziende zootecniche in realtà sono stati devoluti  anche  alle aziende cerealicole, che non hanno affatto prodotto foraggio. Così sono sati accelerati i processi di desertificazione: il terreno seminativo, che ha  una profondità troppo breve,  viene spazzato via da vento e pioggia;  i dati forniti da alcuni ricercatori del CNR che da anni fanno rilievi sul terreno misurando il tasso di umidità, ci dicono che la desertificazione è in aumento, ma anche questo viene  usato ancora oggi come motivo per accedere ad ulteriori finanziamenti integrativi. Questa pratica, che ha colpito i tre quarti del territorio murgiano,  è stata utilizzata anche per nascondere lo sversamento di rifiuti tossici e pericolosi, producendo quella che nel 2003 è stata chiamata “Murgia avvelenata”: un fenomeno che ha interessato circa 400 ettari di territorio, inquinando, per via del carsismo, le falde idriche e che ha fatto perciò tremare l’economia locale, rivelando al contempo la delicatezza e la fragilità di questo territorio. Ancora oggi quelle aree inquinate non sono segnalate da cartelli e centinaia di persone raccolgono funghi in maniera inconsapevole. Le servitù militari, con la presenza di cinque poligoni militari che coprono una superficie di 24.000 ettari, compreso quello di Torre di Nebbia che è uno dei più grandi del Sud Italia, rappresentano non solo un danno all’ambiente, ma soprattutto un freno allo sviluppo delle attività agro-pastorali: e paradossalmente si spara con armi pesanti mentre si vieta la caccia con i fucili.   

 

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Le cave e le attività estrattive. Nonostante le norme CEE ed i regolamenti della Regione Puglia, che vietano aperture di cave, il fenomeno estrattivo abusivo nella Murgia continua, procurando devastazioni ambientali irreparabili. Più di un anno fa, in località “Macchia di Fico” di Minervino Murge, è stata scoperta e sequestrata una cava che operava da qualche anno. In questo contesto si pone anche il problema delle discariche abusive che con grande facilità occupano spazi lasciati dalle ex cave. La tutela a fini culturali di questi enormi ed interessanti spazi si rende necessaria, onde evitare che si traducano in “buchi” da colmare con rifiuti. I laghetti artificiali. Presentata come progetto di “sistemazione idraulica” del bacino del Capodacqua, la realizzazione di cinque laghetti artificiali ha coperto otto ettari di Murgia di opere sussidiarie, complementari ad una infrastruttura di ordine superiore, la diga di Capodacqua, che non è mai stata costruita. Un monumento alla stupidità, sostenuto da tutte le forze politiche e sindacali in nome del lavoro e dello sviluppo, costata alla collettività circa 100 miliardi di vecchie lire. Come si poteva pensare di raccogliere acqua superficiale in laghetti, in un territorio completamente privo di rete idrografica e dove non si sono mai verificati fenomeni di piena? Una cementificazione che ha lasciato una ferita indelebile, per la  quale nessuno ha mai pagato.

 

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L’abbandono del patrimonio architettonico ha permesso furti sempre più numerosi (abbeveratoi, pavimenti, tettoie, sculture ecc.) che mettono a rischio il nostro patrimonio storico-culturale. Gli incendi, in gran parte dolosi,  sono un altro fenomeno molto diffuso sul territorio murgiano, a cui non si riesce a porre rimedio, per mancanza di una politica di prevenzione da parte dell’Ente Parco. Nel  mese di luglio del 2017 un incendio probabilmente doloso ha distrutto circa 300 ettari di bosco della “Mena”, il più esteso della Murgia, nel quale sono presenti esemplari di  “Quercus Pubescens Wild”. I cinghiali. Il forte aumento della presenza dei cinghiali, che proliferano senza controllo, sta creando grossi problemi all’agricoltura ed alle persone, provocando incidenti stradali. Il piano realizzato nel gennaio del 2013 dall’Ente Parco, al costo di 186 mila euro, non ha funzionato. Le denunce con le richieste di indennizzo per risarcimento danni in seguito alla distruzione di coltivazioni (gli operatori parlano di oltre 10 milioni di danni), continuano a crescere. Uno degli ultimi problemi in ordine di tempo, è quello dell’uso senza controllo dell’erbicida glifosato della  Bayer (prima Monsanto), che sta avvelenando l’Alta Murgia. L’IARC, agenzia che si occupa  di ricerca sul cancro, ritiene questo erbicida probabilmente cancerogeno. Dalla ricerca di 17 esperti emerge una forte correlazione epidemiologica tra l’impiego del glifosato (riscontrato nelle urine e nel sangue degli agricoltori) ed il linfoma non-Hodgkin. E’ sicuramente il prodotto chimico più usato sulla Murgia e nel nostro paese. Esaltare l’agricoltura biologica, la sicurezza agroalimentare ed i tesori della enogastronomia murgiana, senza valutare l’impatto di questo erbicida sull’ambiente, è il peggior danno che si possa fare alla salute ed al turismo.

 

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Il parco oggi tra problemi e proposte

E’ innegabile che lo spopolamento della Murgia, certamente non totale (sono 300 le aziende che lavorano e vivono sul territorio a fronte di 5.000 formalmente registrate), dovuto alla meccanizzazione e poi alla globalizzazione, ha messo in crisi le attività produttive. L’unico modo per risollevare le sorti del Parco è quello di coinvolgere le popolazioni, utilizzare il contributo diretto degli operatori economici e delle Comunità locali, che vivono il territorio e che sono molto spesso all’oscuro delle scelte e delle iniziative dell’Ente Parco: molto spesso queste si tengono in aziende esterne al Parco, penalizzando quelle interne, legate come sono ad alcuni vincoli. Le iniziative promozionali o propagandistiche, come il “festival della ruralità” o le “ciclovie”, 70 Km che non esistono, rimangono inerti se realizzate senza coinvolgere le risorse giovani e meno giovani di trent’ anni di battaglie per il Parco. Questo grande patrimonio non può essere ignorato o considerato marginale, perché è una grande risorsa di idee e proposte per aiutare a crescere il territorio murgiano. Bonificare il territorio è un altro provvedimento urgente. Ci sono aree molto sporche e inquinate dallo sversamento dei veleni. La Regione ha speso migliaia di euro per la carotizzazione: è ora di bonificare i siti interessati, non si possono aspettare altri vent’ anni, con ulteriori danni alla salute ed all’ambiente. Per ripulire i rifiuti, molto presenti nel Parco, lo strumento più efficace potrebbe essere quello di affidare la prevenzione al controllo del territorio,  e la pulizia alla aziende che operano localmente, attraverso una convenzione premiale ogni volta che consegnano all’Ente Parco il materiale da smaltire. Per i laghetti artificiali, togliere il cemento significa imporre altre ferite al territorio, spendendo soldi inutilmente. Si può avviare  una iniziativa di recupero, trasformando quei luoghi degradati in spazi destinati all’arte, come è stato fatto in altre realtà. Ad oggi non c’è nel Parco un punto vetrina per esporre tutti i prodotti enogastronomici: un turista che arriva sulla Murgia non ha punti di riferimento. Manca un sistema centralizzato di WI-FI, ogni azienda provvede per conto proprio impiantando decine di antenne, che mandano in tilt tutto il sistema,  compreso quello dei vigili urbani. Nei pascoli della Murgia, la pecora altamurana “moscia” è stata completamente soppiantata da quella sarda: una scelta a favore della quantità, dato che questa produce più latte, ma di qualità inferiore. La pecora altamurana fa meno latte ma di qualità, il suo vello ha filamenti lanosi poco increspati e cadenti, la carne è più pregiata ed è più resistente al clima ed all’ambiente del territorio, non ha bisogno di essere vaccinata, né di essere curata con antibiotici. L’Ente Parco può avviare percorsi per far adottare alle aziende zootecniche pecore altamurane e garantire loro un marchio di qualità nella produzione casearia. E’ possibile avviare una filiera corta per la carne per garantire qualità ai consumatori, come pure una filiera corta per il grano per garantire il vero pane di Altamura, quello DOP fatto col grano e la farina della nostra terra e non con grano che proviene dal Canada o dall’Australia, molto ricco di glutine e causa dell’aumento nel nostro paese di soggetti affetti da celiachia, una patologia ormai cronica che colpisce a tutte le età. Il problema del deposito delle scorie radioattive è sempre dietro l’angolo. In tutti i documenti ufficiali ministeriali si parla di Murgia come area prioritaria per il deposito unico di scorie nucleari, perché è un territorio poco antropizzato, c’è la polveriera di Poggiorsini, ci sono tutte le condizioni per realizzarlo. La comunità tutta deve vigilare e stare all’erta, per impedire l’ennesima ferita a questa terra fragile e delicata, ma piena ancora di risorse e bellezze da valorizzare.

 

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Le notizie storiche sono state riportate da “Guida al Parco nazionale dell’Alta Murgia”. Ringraziamo il “Centro Studi Torre di Nebbia” per l’autorizzazione e per l’uso delle foto di archivio che sono state scattate da Luciano Montemurro.

Gli autori di Vorrei
Michele Lospalluto
Michele Lospalluto
Speaker e giornalista di Radio Regio di Altamura. Appassionato di musica rock, blues, jazz, etnica, d'autore e sperimentale.