La situazione del pendolarismo italiano:
statistiche, comitati di protesta e la dura legge dell'economia

 

Incazzature, esasperazione, lamentele, ritardi. Mettiamo vicino a queste le parole “pendolarismo” e “pendolari”. Per caso vi pare di scorgere delle naturali associazioni di idee? Probabilmente sì. Del resto in Italia il legame tra la condizione di chi si sposta per lavoro e le connotazioni negative insite nelle modalità/tempi dello spostamento sono parte dell’immaginario collettivo e, in larghissima parte, anche del vissuto personale.

Sì, perché parliamo di numeri enormi: secondo uno studio del Censis aggiornato al 2007, sono più di 13 milioni i pendolari italiani, il 22,2% della popolazione italiana. E la fetta cresce! Tra il 2001 e il 2007, coloro che si spostano fuori dal comune di residenza per motivi di studio o lavoro sono aumentati del 35,8%, a un tasso medio annuo del 6%. Il Censis individua tre principali cause delle tendenza espansiva in atto:

a) l’aumento degli occupati, passati dai 21,6 milioni del 2001 ai quasi 23 milioni attuali;

b) l’incremento degli studenti delle scuole secondarie di II grado e degli iscritti all’università, aumentati dai 4,2 milioni del 2001 ad oltre 4,5 milioni;

c) i fenomeni di “diffusione abitativa” che hanno cambiato le concentrazioni urbane in molte aree del Paese.

 

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I numeri enormi nascondo però più importanti pezzi di vita. Per quasi l’80% lo spostamento dei pendolari avviene fra comuni della stessa provincia di residenza. Solo nel 4% dei casi si tratta di tragitti extraregionali. La distanza percorsa in media è di 24,2 km, con il 28% dei viaggiatori pendolari che copre giornalmente tratte superiori ai 25 km. Un terzo degli spostamenti richiede più di 45 minuti, e in media si impiegano 42,8 minuti per ciascun tragitto. E gli spostamenti costano: la spesa mensile a carico dei pendolari è in media di 45,30 euro per gli utenti degli autobus extraurbani, di 49,20 euro per chi viaggia in treno, e aumenta notevolmente per i pendolari automobilisti, che spendono 109,50 euro al mese solo per il carburante.

 

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Con l’aumento della domanda di spostamenti, aumenta pure l’offerta? No, i dati non dicono questo, almeno a guardare il mondo della ferrovia. Due numeri anche qui: nel 2005 Trenitalia ha trasportato 444 milioni di passeggeri sulle tratte locali e regionali ma erano 435 milioni nel 2004, 430 milioni nel 2003, 423 milioni nel 2002, 412 milioni l’anno prima. A questi dati bisogna sommare i passeggeri che hanno viaggiato sulle altre ferrovie regionali concessionarie, anch’essi in continua crescita (243 milioni nel 2005). A tale impennata della domanda (+7,7% tra il 2001 e il 2005 per i passeggeri trasportati da Trenitalia, ossia +8,1% i passeggeri-km) non ha corrisposto un proporzionale aumento dell’offerta (+6,3% i treni-km e +5,2% i posti-km offerti da Trenitalia nello stesso periodo di tempo).

 

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La conseguenza? Un florilegio di esasperazione, che si traduce ormai non solo in proteste singole ed estemporanee ma in azioni collettive, organizzate, sistematiche. Soltanto guardando alla Lombardia, basta una ricerca online e ci si può imbattere in organizzazioni come le seguenti:

Alcuni nomi (“pollo nord”, “in orario”, “i treni dei 7 nani”) la dicono lunga su quello che si può leggere cliccando sui link. Se poi si è particolarmente trendy, su facebook ci si può imbattere nel gruppo “Odio la Milano-Mortara” (655 membri al 28 ottobre). È importante notare come la protesta sia quasi monopolizzata dai pendolari che utilizzano il treno, che del resto sono quasi 2 milioni, ossia il 15% del totale di quanti ogni giorno entrano ed escono dalle grandi città (un dato percentuale che sale addirittura al 32,7% se si considerano solo gli studenti). Sette su dieci invece utilizzano l’auto privata per spostarsi giornalmente (ma evidentemente in questo caso prevale l’egoismo dell’automobilista rispetto allo spirito di corpo dell’utenza ferroviaria).

 

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Rimanendo sulle strade ferrate, alle volte il peone si incazza davvero e decide di passare alle vie di fatto… legali. È il caso di uno studente pendolare sulla linea Bassano-Venezia che nelle scorse settimane ha citato per danni Trenitalia, che a suo avviso impedisce di fatto il diritto allo studio con la caterva di disservizi che fa subire all’utenza. Vincerà, perderà? Difficile dirlo.

Intanto chiariamo un aspetto: non esiste nessuna società ferroviaria al mondo che svolga un servizio “generalista” (per intenderci: che copra tutte le linee, non solo quelle a grande traffico tra grandi aree urbane a media distanza) e che sia in attivo. Nessuna. Il servizio ferroviario si basa infatti su enormi investimenti iniziali di infrastrutturazione, con in aggiunta costi fissi di esercizio che arrivano all’80% del totale: un moloch affrontabile solo dalle spalle larghe statali (e la dura legge vale anche per gli Stati Uniti: il principale azionista di Amtrak è a larga maggioranza il governo federale). Rimanendo all’Italia, l’unica tipologia di treno il cui prezzo del biglietto rispecchia i reali costi del servizio (più un margine di guadagno) è l’eurostar. Tutto il resto è offerto ad un prezzo che non remunera i costi. Per quanto riguarda il servizio regionale, Trenitalia offre alle varie regioni un vero e proprio listino di servizi (treni) attivabili che varia a seconda dell’entità del rimborso a chilometro offerto dalla regione stessa. In altre parole, l’amministrazione regionale contribuisce di suo per tenere i biglietti a certi (bassi) livelli: più contribuisce, più Trenitalia è disposta a far correre treni su quegli specifici binari. Teoricamente, anche altre società (italiane ed estere) possono partecipare ai bandi annuali dei vari servizi di trasporto regionale in concorrenza con Trenitalia ma, essendo certo già in partenza che si perderebbero un mucchio di soldi, i “campioni” nazionali vincono sistematicamente (perché per legge non possono esimersi). Tali accordi quadro annuali hanno anche altre conseguenze: se una regione vuole ampliare il servizio offerto all’utenza oltre le possibilità di Trenitalia, viene da questa invitata a partecipare all’acquisto del materiale rotabile (fino al 30% del costo totale), che però poi rimane di proprietà delle Ferrovie. Trattandosi infine di un vero e proprio contratto, ne derivano anche conseguenze in caso di ritardi e disservizi: il governo regionale può disporre ispezioni a bordo dei treni e arrivare a sanzionare Trenitalia (e non è raro che decida di redistribuire gli introiti sotto forma di sconto su biglietti e abbonamenti).

Insomma, come si abusa dire di questi tempi, la situazione è complessa. In ogni caso, un prezzo del biglietto artificiosamente basso non giustifica il servizio spesso scadente, le zecche, le cimici, i ritardi infernali, le latrine al posto dei bagni. Di certo, finora nessuno ha provato la strada contraria: ti faccio pagare in po’ di più ma ti assicuro che viaggerai in maniera decente. E farò di tutto per farti entrare in città con mezzi pubblici efficienti scoraggiando l’uso del tuo veicolo personale. È proprio così arduo il cimento in Italia?

Gli autori di Vorrei
Ivan Commisso
Ivan Commisso

Vado per i quaranta, mi occupo di soluzioni pubblicitarie online in una grande concessionaria. La mia formazione universitaria è economica. Sono giornalista pubblicista e su Vorrei scrivo per lo più di economia perchè da lì verranno (ulteriori) problemi e su quel tema si dicono un sacco di fesserie. Nota Bene: mi piacciono le metafore, i dolci e la Calabria.

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