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 I. In un mio contributo al programma elettorale del nuovo Sindaco, Paolo Pilotto, relativo all’I.R. Villa e Parco d Monza, indicavo le molte cose che potevano essere dette e alcune che era meglio non toccare in campagna elettorale.
Perché?
Perché l’opinione pubblica monzese è influenzata da narrazioni, modelli mentali, luoghi comuni relativi al complesso monumentale, frutto di ignoranza o disinformazione, che fanno sì che alcune proposte fondamentali per il suo recupero potevano far perdere voti.

La questione riguarda soprattutto tre aspetti:

 

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1. La storia del monumento.

La situazione è paradossale. La consapevolezza popolare del fatto che la costruzione della Villa risale al settecento, per opera degli Asburgo, e la realizzazione del Parco all’inizio dell’800, su decreto di Napoleone, è vaga o assente o rimossa. Ne deriva una scarsa o nulla considerazione dei valori storici, architettonici e paesaggistici del monumento realizzato da maestri urbanisti e paesaggisti come Giuseppe Piermarini e Luigi Canonica. Al contrario e assurdamente, è viva la memoria degli eventi del novecento che hanno quasi distrutto il monumento: la realizzazione dell’autodromo, del golf, dell’ippodromo, dell’hockey, del tennis. La storia del monumento è stata rimossa e sostituita dalla storia degli impianti e delle vicende sportive che ne hanno compromesso la sopravvivenza! E’ quella che io chiamo “la maledizione degli impianti sportivi nel Parco”, che ancora incombe con installazioni o proposte che non suscitano obiezioni, come la moltiplicazione di inutili e deturpanti segnavia permanenti di diversi sport nel Parco; il costoso e inutile restauro di un rudere (il dressage) dell’ippodromo, in presenza di ben altre esigenze di restauro; la recente proposta di recuperare l’inadeguata e devastante pista di hockey nei Giardini Reali; il rinnovo forzato della concessione del tennis, sempre nei Giardini; le proposte indecenti di una reintroduzione dell’ippodromo. Eccetera.

2. La demolizione della pista di alta velocità dell’autodromo.

Pochi sanno o sono consapevoli del fatto che nell’autodromo non c’è una sola pista, ma due. La prima è quella storica, cosiddetta “stradale”, su cui da sempre si corre il Gran Premio di F1. La seconda è il residuo dell'anello  di alta velocità, fallita due volte. Si tratta del rudere di un impianto sbagliato dal punto di vista sportivo e ingegneristico, mal costruito, rifiutato da piloti e scuderie, dannoso a suo tempo per la stessa immagine internazionale dell’Autodromo. A tutti gli effetti, un ecomostro che sottrae al Parco luoghi magici come il Bosco Bello, il Rondò della Stella, il Serraglio dei Cervi, in stato di completo abbandono. Ma nell’immaginario casalingo è un mito, è parte integrante del “tempio dell’alta velocità”. Espressione che, pur sopportando la retorica nazionalista a uso interno e interessato di chi la alimenta, se mai si addice solo alla pista storica su cui da sempre si corre il Gran Premio di F1.

3. Una concezione contraddittoria, ma sottilmente classista, del monumento.

L’immagine corrente dell’I.R. Villa e Parco è bifronte: da una parte essa viene vista come un teatro riservato alle élite: l’ippodromo ora scomparso, il golf, ristoranti stellati, feste di debuttanti, rally di auto d’epoca, eccetera. Dall’altra come un parco periurbano privo di identità, trascurato, un semplice “polmone verde” per il popolo dei gitanti del fine settimana.

 

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Mappa del 1845

 

II. In questa situazione, la prima cosa da fare all’inizio della nuova amministrazione del Comune di Monza è l’informazione, la comunicazione, allo scopo di contrastare la disinformazione imperante. In un precedente articolo le ho definite  “fiabe ignoranti”, in assonanza con il titolo di una canzone di Andrea Guerra e di un film di successo di Ferzan Ozpetek (“Le Fate ignoranti”). Questo lavoro di ripulitura dell’opinione corrente era impossibile da fare in campagna elettorale, ma è possibile e doveroso all’inizio di mandato. Occorre porsi nella veste di quel bambino della fiaba che, nel silenzio compunto e titubante  dei sudditi, ebbe il coraggio di dire pubblicamente ad alta voce: “Il re è nudo!”.

Occorre peraltro argomentare la comunicazione.

Per il primo punto (quello della corretta memoria storica) sarebbe utile chiedersi perché mai nelle mappe dell’ottocento la Villa e il Parco vennero definiti “Imperial Regi”. Gli Asburgo avevano decretato nel 1806 la fine del Sacro Romano Impero, dopo un millennio. Ma Napoleone aveva ancora ripreso l’utopia, in un certo senso eterna, del continuum dell’Impero Romano, con riferimento all’Europa o addirittura globale. In questo contesto, è riduttiva l’idea che la scelta di Monza come sede estiva del Governatore di Milano, Ferdinando d’Asburgo, sia stata fatta per mere ragioni climatiche. Monza è depositaria della Corona Ferrea, simbolo del Regno d’Italia nel quadro della Sacro Romano Impero, è stata proclamata intorno all’anno mille “Sede del Grande Regno d’Italia”, come si legge nel suo stemma, e prima ancora è stata un luogo privilegiato da chi si proponeva come re di una Italia “eterna”, dall’ostrogoto Teodorico, a Teodolinda, regina dei Longobardi, ricordata nei dipinti del duomo trecentesco, a Federico Barbarossa, a Napoleone, fino ai Savoia che non osarono, nel clima risorgimentale, porsi in capo la Corona Ferrea, ma la inclusero nei propri simboli regi. L’I.R. Villa e Parco si inserisce del tutto coerentemente in questa storia, europea e italiana insieme, della città di Monza. (Per chi fosse interessato, suggerisco la lettura del libro di Fabio Finotti, docente di italianistica all’Università di Filadelfia, “Italia. L’invenzione della patria”, Bompiani 2016).

Sono argomenti da approfondire per promuovere la consapevolezza dei monzesi sulla identità della propria città, un’identità aperta ai rapporti e scambi con l’esterno, in primo luogo con Milano. In questo contesto, l’istituzione a Monza di un centro universitario di studi storici sui rapporti tra l’Italia e l’Europa, o un festival deicato, sarebbero più che appropriati.

Per il secondo punto (le sorti del catino di alta velocità dell’autodromo), è necessario smitizzarne la memoria, farne capire l’inutilità, e soprattutto l’insensatezza di un terzo tentativo di recupero. E al contrario, far capire che la demolizione è condizione imprescindibile della rinascita della Villa e del Parco, senza alcun effetto negativo sul “vero” autodromo.

Per quanto riguarda il terzo punto (la concezione “classista” del monumento), sarebbe necessario che tutta la Villa e il Parco fossero caratterizzati da una immagine degna e coordinata,  rivolta a tutti i visitatori, con chiari e semplici cartelli esplicativi agli ingressi sul disegno paesaggistico e culturale del monumento (oggi del tutto assenti o confusi con altri), il recupero della suggestiva toponomastica storica che restituisca un nome a viali, rotonde, ville, cascine, mulini. E l’imposizione ai concessionari dei servizi ad adottare l’immagine unica e coordinata, adeguata stilisticamente all’alto valore del luogo.

 

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III. L’azione contro l’ignoranza e la disinformazione creerebbe il clima adatto per gli interventi di recupero del monumento. Un clima che dovrebbe essere facilitato al giorno d’oggi grazie alla crescente sensibilità per i problemi dell’involuzione ambientale e delle disuguaglianze sociali.

Questa strategia ha due caposaldi, formulati negli anni novanta del secolo scorso, e purtroppo dimenticati, anzi addirittura invertiti.

Il primo è dato dall’ “Atto di cessione gratuita da Demanio dello Stato ai Comuni di Milano e di Monza del complesso immobiliare Villa Reale e Parco di Monza” del 4 aprile 1996, che all’articolo 8 stabilisce che «i comuni di Milano e di Monza si impegnano a curarne la conservazione permanente ed a destinarli ad attività museali, culturali, di rappresentanza e di fruizione e conservazione del verde”.

Il secondo è costituito dal “Piano per la rinascita del Parco di Monza”, approvato con la Legge Regionale 40/95. Parte integrante e qualificante dell’approvazione di questo piano è l’”Osservazione” della Sovrintendenza per i beni culturali e architettonici di Milano in rappresentanza del Ministero per i Beni culturali e Ambientali, che è opportuno ricordare:

«L’importante lavoro condotto dalla Commissione è da considerarsi preparatorio ad un progetto di più ampio respiro che, definendo in ogni aspetto le future destinazioni dell’eccezionale complesso Villa, Giardini e Parco reale nella sua globalità, porti all’indifferibile riqualificazione delle valenze storico-artistiche e culturali dello stesso ed al conseguente allontanamento degli impianti, individuati nell’autodromo, nel golf, nel polo, nei parcheggi interni, nell’edificio e strutture della RAI e degli impianti sportivi del tennis e dell’hockey ubicati nei Giardini della Villa».

Questa osservazione può apparire radicale. Ma in realtà esprime una visione ampiamente acquisita sul finire del secolo scorso: la necessità di porre fine alle devastazioni di Parco e Villa operate nel novecento, per il recupero del monumento storico firmato da Giuseppe Piermarini e Luigi Canonica.

Secondo questa visione era già stato eliminato l’ippodromo, con la reintroduzione del Viale dei Carpini che congiunge di nuovo le Ville Mirabello e Mirabellino e il recupero dello scenario delle Alpi lombarde. Sempre negli anni novanta il grande urbanista Leonardo Benevolo aveva firmato un Piano regolatore che prevedeva la demolizione della pista di alta velocità. Il Piano Intercomunale di Milano (PIM) e il Piano del Parco Lambro (tuttora vigente) accoglievano lo stesso progetto. La demolizione era prevista anche dalla concessione dell’autodromo del 1996.

Del resto lo stesso Accordo di Programma del 2017 impone, nelle Linee Guida per la definizione del Master Plan di valorizzazione del monumento, il riferimento al Piano di Rinascita del Parco ex LR 40/95.

Semmai, è da chiedersi come mai oggi, quando la sensibilità per i problemi ambientali e sociali è viva più che nel passato, nel caso dell’I.R. Villa e Parco di Monza sia in atto una così forte regressione.

E’ quindi auspicabile un "ritorno al futuro",  rilanciando  la strategia prospettata dai due documenti sopracitati.

IV. A questo scopo, e per concretezza, mi sembra utile verificare in che misura le specifiche indicazioni della Sovrintendenza di allora possono essere declinate operativamente al giorno d’oggi. Esaminiamole distintamente:

1. Impianti sportivi del tennis e dell’hockey.

La pista dell’hockey è un rudere di cui si prevedeva l’eliminazione e la rinaturalizzazione, nell’ambito di un piano di restauro congiunto di Giardini e Boschetti Reali, elaborato dalla Regione Lombardia e dal Comune di Monza, rimasti nel cassetto. Gli impianti del tennis sono inadeguati per poter svolgere attività non solo dilettantistiche, ma anche professionistiche, e per poter accogliere competizioni di livello almeno nazionale, con il relativo afflusso di spettatori.

In contrasto con questa prospettiva,  il Consorzio ha recentemente deliberato di sollecitare manifestazioni di interesse per un restauro dell’impianto, con indicazioni generiche sulle possibili caratteristiche, non solo riferibili allo sport, ma anche ad attività ludiche o quant’altro.

Eppure dovrebbe essere evidente l’impossibilità di conciliare il restauro dei Giardini Reali, che costituiscono un orto botanico e un arboreto di valore eccezionale e di potenziale attrattività internazionale, con adeguati impianti sportivi per il tennis e l’hockey.

Più in generale si avverte la mancanza, da parte del Comune di Monza, di una strategia degli impianti sportivi, con particolare riguardo proprio e soprattutto al tennis e all’hockey. Questa mancanza fa sì che le giuste aspirazioni degli appassionati di questi sport si riversino sul Parco, secondo la già citata “maledizione degli impianti sportivi nel Parco”. Ma un’esperienza ormai secolare dimostra chiaramente l’incompatibilità tra le valenze culturali e ambientali del Parco e le esigenze tecnologiche dello sport professionistico seguito da grandi masse di appassionati. Esperienza che ha visto da una parte devastazioni inaccettabili dell’ambiente, e dall’altra puntuali fallimenti per gli impianti stessi costretti in un territorio giustamente vincolato.

E’ quindi essenziale predisporre un “Piano degli impianti sportivi di Monza”, che potrebbe trovare collocazione in aree dismesse  e in particolare  all’est della città, dove già si trovano lo stadio del calcio, il palazzetto dello sport e il centro natatorio. Si potrebbe, ad esempio, proporre ai proprietari della Cave Rocca di trasformare le cave (30 ha) in un grande Parco destinato alle attività sportive e agli eventi che richiamano grandi afflussi di pubblico, come concerti o manifestazioni varie. Una sorta di Circo Massimo monzese. Conversione che potrebbe avere interessanti ritorni economici.

 

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Viale dei Carpini e Villa Mirabellino

 

2. Edificio e strutture della RAI.

 L’edificio ex-RAI non merita, a mio parere, la demolizione. In un complesso monumentale che ha nella sua storia anche importanti esperienze nel campo dell’architettura e del design, una costruzione come quella firmata da Gio Ponti, poco invasiva ed esteticamente elegante, può essere recuperata per funzioni al servizio del pubblico (uffici del Consorzio da potenziare? Aule per i progetti di sviluppo del Liceo Artistico Nanni Valentini?).

Se mai, si sarebbe dovuto esigere dalla RAI, e forse lo si può ancora, la demolizione del  traliccio delle antenne, oggi abbandonato e negativo dal punto di vista paesaggistico.

3. I archeggi all’interno del Parco.

Il loro impatto ambientale rende del tutto auspicabile la loro estromissione. Ma l’urbanizzazione selvaggia che ormai circonda il monumento da ogni parte può rendere difficile trovare spazi adeguati.

Una soluzione potrebbe trovarsi nell’interramento dei parcheggi, e nella ri-naturalizzazione delle superfici. Essa dovrebbe riguardare in particolare il parcheggio di Porta Monza, ubicato in quella che una volta era la “parte francese” dei Giardini Reali. Si prevede che in questa zona venga realizzata la fermata della metropolitana in progetto. Sarebbe l’occasione per ripensare la risistemazione di tutta la zona, tenendo conto, con gli opportuni aggiornamenti, del Progetto Carbonara di “Recupero e valorizzazione della Villa Reale di Monza e dei Giardini di pertinenza”, vincitore nel 2005 della gara indetta dal Comune di Monza e dalla Regione Lombardia. Il progetto potrebbe includere anche l’interramento della Via Boccaccio, con la ricongiunzione del monumento ai Boschetti e, tramite questi, alla città.

4. Il Golf.

Quando si parla del Golf  Milano nel Parco di Monza, occorrerebbe ricordare sempre come venne realizzato nel 1928. Il luogo prescelto non era tale di cui si potesse dire: “Per la natura del terreno, della vegetazione, dell’ondulazione, della tranquillità sembra fatto apposta per un campo di golf”. Si trattava invece di un bosco planiziale di oltre 100 ettari, intercalato da viali e rotonde, abitato da una ricca fauna (sia pure a scopi venatori). Questo bosco fu raso al suolo integralmente per ricavarne un campo artificiale, pianeggiante, costoso e ambientalmente nocivo, e bucolico come può esserlo l'adiacenza a un autodromo. Il tutto a beneficio esclusivo di una ristretta cerchia di privilegiati. Del resto, lo sport del golf in Italia è vocazionalmente  riservato alle élite, ed è improbabile che un programma di diffusione popolare possa avere successo.
Il ritorno allo stato originario appare quindi più che opportuno. La convenzione scade quest’anno. La soluzione potrebbe essere trovata in un rinnovo molto breve, propedeutico alla definitiva dismissione. La convenzione potrebbe prevedere, per il breve termine, il ritorno all’uso pubblico di parte dell’area in concessione poco utilizzata. Il rimboschimento potrebbe essere finanziato nell’ambito del Green Deal europeo. La riqualificazione e nuova destinazione della prestigiosa Club House, collocata ai margini del Parco, non dovrebbe essere difficile, anche in un’ottica puramente economica (una foresteria?).

5. L'autodromo.

L’autodromo, di cui ricorre quest’anno il centenario, ha una rilevanza internazionale e un seguito di appassionati dello sport automobilistico di cui non si può non tener conto.

Molti lo considerano una struttura datata, oberata di debiti per la cattiva gestione dei concessionari, sempre facenti capo all'Automobile Club,  e quindi destinata alla chiusura, come accaduto per molte altre strutture sportive nel Parco.

Per contrastare questa prospettiva, l'ACI chiede continuamente risorse pubbliche ingenti, puntando sull’ampliamento delle proprie attività anche al di fuori delle finalità legate all'automobilismo sportivo. Di qui l’organizzazione di concerti rock nelle aree in concessione, e l’aspirazione di poter trasformare tutte le vaste aree in un grande impianto ludico, finalizzato esclusivamente al profitto. A questo scopo la gestione dell’autodromo è sempre stata ed è caratterizzata da una forte aggressività verso il Parco, considerato come puro spazio a disposizione. Gli ultimi progetti, prospettati dal presidente dell’ACI Stucchi Damiani, per i quali si è sparata la cifra assurda di 100 milioni di euro (oltre tre volte il finanziamento del Master Plan per la Villa e il Parco!), seguono la stessa logica arrogante e devastante.

La sopravvivenza dell’autodromo è invece legata a un suo cambiamento radicale che lo renda  in qualche modo compatibile  con le finalità culturali e ambientali del monumento che lo ospita.

A questo scopo, sarà necessaria una revisione consensuale della concessione vigente, che scade nel 2026.

La nuova concessione dovrebbe tornare a quella del 1997, che prevedeva la demolizione progressiva della pista di alta velocità, a partire dalle curve sopraelevate, con il conseguente recupero al Parco di 60 ettari il cui restauro condiziona la rinascita del monumento e la sua inclusione nel patrimonio dell’Unesco.

La convenzione dovrebbe inoltre esigere l’esclusiva focalizzazione delle strutture dell’impianto al settore automotive e della mobilità. Oltre a conservare la pista su cui si corre il Gran Premio di F1 come realtà storica, occorrerebbe pensare a ristrutturazioni con finalità di ricerca scientifica e didattiche di livello universitario, accompagnate da una ri-naturalizzazione di diverse aree oggi cementificate e abbandonate,. In sostanza, occorrerebbe pensare a uno sviluppo qualitativo, e non quantiativo, dell'autodromo. In questa logica sarebbero da escludere dalla  concessione , restituendole al Consorzio,  aree non comprese dalla pista storica, come i prati della Gerascia e del Roccolo.  La focalizzazione della missione e l’essere inserito in un Parco di valore internazionale dovrebbero divenire per l’autodromo un fattore di prestigio, e non di costrizione.

 

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Villa Mirabellino, vista da Villa Mirabello

 

E’ auspicabile che indicazioni come queste trovino conferma nel Master Plan di cui si attende con ansia (dato il grande ritardo) la presentazione al giudizio del pubblico. Ma soprattutto esse dovrebbero formare oggetto del programma della nuova amministrazione, in modo che a un certo punto si possa dire delle narrazioni, dell’opinione pubblica cittadina, delle attività programmate e realizzate: “Qualcosa è cambiato”.

Tenendo presente che la pianificazione e realizzazione degli interventi necessari richiederà non solo un paio di mandati, ma la continuità di una gestione a tempo indeterminato. Perché l’I.R. Villa e Parco di Monza non è da meno del Duomo di Milano.

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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